Il bar di Mendrisio, per il 35enne, era diventato 'un territorio di caccia'. A farne le spese due ragazze minorenni.
Meno di sedici anni la prima, diciassette la seconda. Due ragazze pronte a provare una delle prime esperienze lavorative in un bar di Mendrisio, il Civico 21. La disponibilità del proprietario, che nel maggio dello scorso anno, dà loro la possibilità di svolgere uno stage professionale. Uno stage che, però, ben presto si trasforma in un incubo per le due giovani donne. Perché l'uomo attivo nel bar – un 35enne di origini calabresi residente in Italia – ben presto si trasforma nella persona che ha “sostanzialmente rubato l'adolescenza” della prima vittima e “la libertà” della seconda. “Ha pregiudicato – soprattutto nel caso della minore di 16 ani – un sano sviluppo fisico e psichico, il piacere di scoprire lentamente, con i giusti tempi, la sessualità”. Quelle appena riportate sono le parole del procuratore pubblico Nicola Respini, il quale quest'oggi – davanti alla Corte delle assise criminali di Mendrisio presieduta dal giudice Marco Villa – ha chiesto che l'uomo venga condannato a 6 anni e tre mesi carcere, oltre all'espulsione dalla Svizzera per 12 anni (oltre a 30 aliquote giornaliere da 30 franchi l'una per un reato riferito all'infrazione della Legge sulla Circolazione stradale, segnatamente guida senza autorizzazione). Ripetuta, tentata e consumata coazione sessuale nonché violenza carnale le ipotesi di reato nei confronti dell'imputato. Lui, sposato e padre di 3 figli (l'ultima, nata quando già si trovava in carcere) che tra il 13 e il 18 maggio del 2019 ha trasformato il bar – per dirla con le parole dell'accustrice privata, l'avvocatessa Letizia Vezzoni – “in un territorio di caccia”.
I primi “approcci”, ha ricordato il pp durante la requisitoria, sono cominciati il 13 maggio con la “tecnica del 'insegno alle ragazze a fare il caffé'”: ovvero porsi dietro la vittima, prenderle le mani a 'appoggiarsi'. Dal bancone del bar, però, ci si è ben presto spostati all'interno del cucinino dove, la sera del 14 maggio, tenta di costringere la diciassettenne ad avere una congiunzione carnale (la vittima riuscirà a sottrarsi). Il 18 maggio, invece, riuscirà nel suo esecrabile intento con la minore di 16 anni. “L’imputato ha sfruttato in primo luogo la sua forza fisica, l’ambiente ristretto di un bar, l’effetto sorpresa. Le vittime hanno avuto paura – ha ricordato ancora in aula il magistrato inquirente –. Ha sfruttato la sua posizione di superiorità professionale, ha violato e approfittato del rapporto di fiducia”, macchiandosi così di una colpa definita “estremamente grave”.
“Le responsabilità del mio assistito – ha confermato durante l'arringa il difensore d'ufficio Marco Masoni – sono pesantissime”. Si è trattato, ha ribadito, “di episodi gravi, gravissimi, che per dinamica e luogo oserei definire odiosi. Nulla può giustificare quanto messo in atto dall'imputato”. Trentacinquenne che, di fatto, ha ammesso quanto commesso (fatta eccezione per un tentato rapporto orale). “Nessuna scusante”, ha ancora evidenziato la difesa, precisando tuttavia alcuni aspetti riguardanti le configurazioni giuridiche dei reati. E, al momento di quantificare la pena, Masoni si è battuto per una massiccia riduzione, identificata in una condanna massima a 3 anni di reclusione, metà da scontare e metà da porre al beneficio della sospensione. Nessuna opposizione, invece, sull'espulsione dal territorio elvetico. Ma su quanto tempo dovrà passare in carcere l'imputato se ne saprà di più domani in tarda mattinata, quando la Corte si pronuncerà.