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Si è masturbato di fronte al figlio, ma ricorre in Appello

Sia la difesa che l'accusa hanno impugnato la sentenza del 2023. I primi chiedono un maggiore proscioglimento, i secondi vogliono una pena più severa

La testimonianza del figlio non era stata considerata credibile
(Ti-Press)
12 dicembre 2024
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La sentenza del 25 luglio 2023, che aveva condannato – ed espulso dalla Svizzera – a 20 mesi un uomo colpevole di abusi sui figli, aveva scontentato tutti. La difesa, che ha contestato l’espulsione e la condanna per il reato di violazione del dovere di assistenza o educazione; e l’accusa, che ha contestato il proscioglimento dal reato di atti sessuali con fanciulli, relativi a quando il 49enne kosovaro avrebbe masturbato il figlio 14enne, oltre ad avergli chiesto di toccarlo a sua volta. Questa doppia insoddisfazione ha dunque portato a due richieste di appello, e al dibattimento che si è svolto questa mattina alla Corte di appello e di revisione penale (Carp), presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will.

Già in prima istanza, il 49enne aveva ammesso di essersi, in almeno tre occasioni, masturbato in presenza del figlio, ma anche durante questo dibattimento l’imputato ha negato di avergli mai chiesto di toccarlo, perché «sono musulmano e la mia religione non mi permette queste cose». «La sua religione le permette di masturbarsi davanti ai figli?» lo ha allora incalzato il procuratore pubblico Luca Losa. «No, in quell’occasione ho sbagliato e mi dispiace averlo fatto» ha risposto.

Una delle principali ragioni per la quali è stato riconosciuto colpevole di violazione del dovere di assistenza, è perché che l’uomo ha ripetutamente usato violenza nei confronti dei suoi cinque figli. La difesa però, rappresentata dall’avvocata Anna Grümann, ha contestato questa condanna, dal momento che in corso dell’inchiesta, uno dei fratelli avrebbe riportato che questi episodi non siano più accaduti dopo il 2014, anno in cui l’uomo ha iniziato a prendere psicofarmaci. Gli episodi di violenza comprovati, a detta della difesa, cadrebbero dunque in prescrizione. Contestata anche l’espulsione, in quanto l’uomo, gravemente malato sia fisicamente che psicologicamente, non avrebbe la possibilità di curarsi in Kosovo, nè avrebbe modo di mantenersi in alcun modo. «È importante non considerarlo un vizioso sfaccendato, ma un uomo malato» ha detto Grümann citando la perizia psichiatrica.

Di tutt’altro avviso, ovviamente, la pubblica accusa, così come la vittima stessa, costituitasi accusatore privato e rappresentato in aula dall’avvocato Christopher Jackson. In prima istanza le dichiarazioni della vittima non sono infatti risultate credibili, per cui il 49enne era stato prosciolto in virtù del principio in dubio pro reo. «Il figlio si è sentito tradito due volte – ha detto Jackson nella sua arringa –, una volta dal padre, e un’altra dalla giustizia ticinese. Anche a distanza di anni soffre ancora molto per quanto accaduto, ed è tutt’ora in invalidità per i traumi psicologici subiti. Si è sentito inascoltato, e si è chiesto dove abbia sbagliato per non essere creduto. Non aveva ragioni per inventare dei fatti solo per peggiorare la situazione del padre». Il procuratore pubblico ha chiesto una pena di 35 mesi di cui 9 da espiare, oltre alla conferma del decreto di espulsione. La sentenza dovrebbe arrivare nelle prossime settimane

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