Un 36enne serbo residente nel Bellinzonese è accusato di tentato omicidio e violenza carnale. La difesa chiede il proscioglimento: ‘Non ci sono prove’
È una storia di gravi violenze perpetrate tra le mura domestiche nei confronti della moglie. Tra le accuse più gravi di cui deve rispondere un 36enne serbo residente nel Bellinzonese, in carcere dall’ottobre 2023 e da oggi dinanzi alla Corte delle Assise criminali di Bellinzona riunite a Lugano, vi è l’omicidio intenzionale, tentato ripetuto; violenza carnale, coazione sessuale, lesioni gravi, vie di fatto reiterate. Ma è pure accusato di minaccia ripetuta, violazione del dovere d’assistenza o educazione, truffa qualificata, consumata e tentata nei confronti di compagnie assicurative (per un importo complessivo di almeno 115mila franchi circa), consumata e tentata, falsità in documenti, ripetuta; ottenimento illecito di prestazioni di un’assicurazione sociale o dell’aiuto sociale; contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, ripetuta.
L’accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, ha chiesto che il 36enne venga condannato a una pena detentiva di 18 anni e l’espulsione dalla Svizzera per 15 anni. “L’imputato anche oggi ha dato dimostrazione della desolante strafottenza mista a lacrime di coccodrillo a cui nessuno può credere”, ha detto la pp. “Con il suo egoistico comportamento ha degradato la moglie a oggetto delle sue pulsioni sessuali, di sua proprietà. Lei doveva fare ciò che lui voleva e subire umiliazioni. Non si è fatto scrupoli nemmeno verso i figli, minaccioso e degradante anche con loro, costretti ad assistere alle violenze verso la madre. Il suo agire è cessato solo perché la moglie ha avuto la forza di segnalare alla polizia quanto subito”, ha aggiunto. “La pena è oggettivamente gravissima, la violenza reiteratamente mostrata non può che qualificare in modo nefasto il suo comportamento. Colpisce la brutalità fisica nei confronti di una persona che ritiene di amare, la madre dei suoi figli”. La vittima si è definita una contraddizione vivente: “Portavo i miei figli allo sciopero femminista e poi mi facevo picchiare in casa”, aveva affermato la donna davanti agli inquirenti. “Ma le violenze subite in ambito domestico sono le più difficili da denunciare proprio a causa dei legami affettivi”, ha evidenziato la pp.
Una lista di reati dalla lunghezza impressionante ripercorsi in aula dal presidente della Corte Mauro Ermani, giudici a latere Luca Zorzi e Monica Sartori-Lombardi. Sette episodi che sarebbero dei tentati omicidi che si sono verificati tra le mura domestiche tra il 2010 e il 2023: in un’occasione l’imputato, dopo un litigio dovuto alla gelosia nei confronti dell’ex della moglie le ha fatto perdere i sensi dopo averla picchiata. Sempre mosso dalla gelosia, nel 2014, mentre la moglie era seduta con il figlio piccolo in braccio sul divano, lui le aveva messo alla gola il lato seghettato di un coltello da cucina. Nel settembre 2022, per futili motivi, in automobile l’aveva insultata, colpita con pugni e sberle al viso e in diverse parti del corpo, una volta rientrati a casa l’aveva afferrata con una mano al collo e sollevata da terra e portata per almeno cinque metri facendole mancare il respiro. Poi nel 2023 si verifica un’escalation nell’intensità della violenza: nei primi mesi dell’anno il marito una sera, a seguito di una discussione, aveva afferrato un coltello da cucina e l’aveva colpita in testa più volte, con la parte piatta della lama del coltello. Nel febbraio dello stesso anno, in occasione di un litigio in cui gli veniva rimproverato dalla moglie di non essere presente in casa, lui l’aveva colpita con un numero imprecisato di pugni al torace, aveva poi afferrato un mestolo da cucina in ferro e l'aveva colpita almeno una volta con molta forza in testa a tal punto da farle perdere l’equilibrio e provocarle uno svenimento, causandole una ferita in testa che sanguinava copiosamente. Il mese seguente, a seguito di un litigio, l’aveva sollevata prendendola per il collo e le aveva fatto mancare il respiro. Nel luglio 2023, venendo a sapere che la moglie aveva contattato una sua amante e che le aveva rimproverato di avere una relazione con suo marito, lui le aveva detto di avergli fatto fare una brutta figura e l’aveva afferrata per il collo, stringendolo, sollevandola di peso per poi sferrarle un pugno violento su una costola fratturandogliela, dopodiché le aveva sferrato un numero imprecisato di pugni sul corpo e le aveva schiacciato il viso sul letto togliendole il respiro fino a farla svenire. Una volta ripresa, lui le aveva messo il cuscino sulla faccia con l’intento di soffocarla, l’aveva poi afferrata per il petto e coperto la bocca e il naso fino a farle di nuovo mancare il respiro. Dimenandosi la donna era riuscita a togliergli la mano e gli aveva urlato ‘basta smettila’, lui aveva smesso solo quando aveva udito il forte pianto del figlio piccolo che veniva preso poi in braccio dalla mamma. Tutti episodi che lui nega.
Come nega anche la violenza carnale: “Non l’ho mai costretta, non sono uno stupratore”. Nell’atto d’accusa viene invece precisato che nel mese di aprile dell’anno scorso, dopo averla picchiata e minacciata, una volta che la moglie si era recata in camera da letto per allattare il figlio che nel mentre si era messo a piangere, le aveva imposto di smettere di allattare e insistito con tono minaccioso di raggiungerlo e spogliarsi per avere un rapporto con lui. Lei per paura delle ripercussioni fisiche si era tolta gli indumenti sotto la vita, lui l’aveva quindi obbligata ad avere un rapporto e quando lei voleva smettere l’aveva obbligata anche con la violenza, trattenendola con la forza. Lei era riuscita a liberarsi e a prendere in braccio il figlio per continuare ad allattarlo fino a quando il marito si era addormentato.
Oltre a questi fatti vi sono poi altri numerosi episodi di violenza: lesioni semplici ripetute: ginocchiate alle costole, colpi con la cintura, sberle, pugni e calci in varie parti del corpo tra cui il viso e la testa. “A me il coltello sulla testa, le ginocchiate e i mestoli sulle costole, alle amanti attenzioni, sorrisi e complimenti”, ha dichiarato la moglie davanti agli inquirenti.
Accusato anche di lesioni semplici ripetute per averla colpita più volte con la cintura, averla colpita con sberle, pugni, morsi e in due occasioni averla bruciata con una sigaretta accesa appoggiata sulla coscia. Poi le minacce, come quella di morte: ‘Ti ammazzo, oggi morirai, vuoi che i tuoi figli ti sentano o vuoi morire in silenzio?’. Dopo ripetuti tentativi della donna di calmarlo e dettogli che si sarebbe ammazzata da sola, lui le ha detto di buttarsi dalla diga della Verzasca, aggiungendo che aveva una settimana di tempo per farlo e che nel mentre l’avrebbe picchiata ogni giorno.
L’imputato è accusato anche di violazione del dovere d’assistenza o educazione nei confronti dei figli, costretti ad assistere alle violenze fisiche, psicologiche e verbali rivolte alla madre. Di tutti questi reati l’imputato non ammette nulla, soltanto i tradimenti e i messaggi scritti con toni inadeguati «altrimenti a casa era tutto perfetto». Nemmeno le testimonianze dei figli lette in aula che riferivano delle botte inferte alla madre hanno indotto l’imputato a riconoscere le sue colpe. «Ma qui mentono tutti?», lo ha quindi incalzato il giudice. «Penso che siano le parole della suocera che le hanno suggerito di rispondere così».
La rappresentante dell'accusatrice privata, avvocata Nuria Regazzi, dal canto suo ha chiesto un risarcimento per torto morale all'ex moglie di 14mila franchi, mille franchi per ogni anno di violenza subito e mille franchi per ogni figlio.
“L’imputato deve essere prosciolto dal reato di omicidio intenzionale perché le accuse si basano sulle dichiarazioni della moglie, non vi sono messaggi, fotografie che possano dimostrare che i fatti siano realmente accaduti”, ha affermato la difesa, rappresentata dall’avvocata Elisa Lurati. “Lui ha sempre negato questi episodi. Se avesse voluto cagionare la morte della moglie, data la sua corporatura robusta, non avrebbe avuto problemi a farlo. Agli atti non vi è alcuna prova concreta che lui abbia messo in pericolo la vita della donna”. La difesa ritiene che vi sia stato un accanimento contro l’imputato e tutte le dichiarazioni della vittima sono state prese per buone. “È un ragazzo giovane con una vita davanti che non può essere rovinata dal desiderio di vendetta della moglie. Non vi è alcuna prova concreta che permette di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio i reati di cui è incolpato”, ha evidenziato la patrocinatrice. La difesa ha quindi chiesto il proscioglimento dai reati ascrittigli e un risarcimento per i giorni di carcere sofferto. “Sono innocente riguardo a tutto”, ha affermato l’imputato quando gli è stata data l’ultima parola. La sentenza verrà pronunciata giovedì.