La Corte delle Assise criminali di Lugano gli ha inflitto 2 anni e 11 mesi di carcere, durante i quali dovrà curare il suo disturbo bipolare
Per l’accusa era un piano omicida, per la controparte, l’imputato aveva paura di perdere i suoi figli, pertanto non li avrebbe mai uccisi. La parole espresse al Telefono amico dal 48enne comparso alla sbarra “voglio uccidere i miei figli e poi suicidarmi” erano, secondo la difesa, una richiesta d’aiuto formulata in uno stato psichico ed emotivo grave. Per la Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Siro Quadri, il reato di atti preparatori punibili di omicidio intenzionale è stato compiuto e il 48enne va condannato a una pena detentiva di 2 anni e 11 mesi. Carcerazione durante la quale l’imputato dovrà sottoporsi a un trattamento terapeutico per curare il proprio disturbo psichico bipolare. Esclusa la condizionale in quanto «il rischio di passaggio all’atto è alto in ragione della malattia di cui è affetto». La procuratrice pubblica Margherita Lanzillo aveva formulato una richiesta di pena di tre anni di detenzione.
«Gli atti preparatori– ha affermato Quadri – erano finalizzati a compromettere il bene più importante che l’umanità conosce: la vita». La Corte – ha precisato – «non ha messo in dubbio che l’imputato tenga ai propri figli ma l’amore non deve mai avere a che fare con la violenza. La perizia indica che l’uomo ha delle difficoltà evidenti che lo portano a voler gestire le situazioni non con amore ma con dominazione. In queste situazioni diventa pericoloso sia per sé stesso che per gli altri, privandosi di quello che ha sempre desiderato: una vita famigliare armonica».
L’uomo, lo ricordiamo, tra marzo e maggio, ha pianificato l’uccisione dei propri figli e il suo suicidio. Dopo l’allontanamento volontario della sua famiglia (compresa la ex compagna) e della decisione supercautelare della Pretura che gli imponeva il divieto di contattarli e avvicinarli, il 48enne è entrato in uno stato di psicosi e sofferenza che lo hanno portato a cercare gli strumenti per commettere il crimine. Prima ha scaricato un browser per accedere al darkweb – che al contrario di Google, garantisce una navigazione anonima sul web –, poi ha cercato un’arma precisa: una pistola sig sauer. Ma la pistola, come ha affermato il giudice, «da sola non spara», e quindi ha cercato dei negozi per comprare le munizioni. Poi le varie ricerche su ‘come uccidere la compagna’ e ‘casi di genitori che hanno ucciso i propri figli’. Infine poi, le chiamate al Telefono amico che hanno portato al suo arresto. Telefonate in cui emergevano chiaramente le sue intenzioni.
Secondo l’avvocata Chiara Villa, patrocinatrice dell’imputato, le ragioni di quanto accaduto sono da ricondurre a un disturbo bipolare e al dolore profondo provato a causa dell’allontanamento della famiglia. «Le telefonate erano volte ad autodenunciarsi, infatti ha fornito spontaneamente il proprio nominativo. Richieste d’aiuto che dimostrano che non sarebbe mai riuscito a ferire i suoi figli per i quali prova un amore incondizionato. Si è sempre occupato di loro ed era un papà apprensivo e amoroso, nonostante nell’ultimo periodo le discussioni erano aumentate. Un peggioramento dovuto da diversi fattori tra i quali l’atteggiamento di ribellione dei figli, la sua psicosi e una casa in uno stato di degrado a causa dell’accumulo seriale patologico della moglie». La difesa, che non ha contestato il principale reato, aveva chiesto una pena non superiore a un anno e otto mesi di detenzione da sospendere in favore di un trattamento ambulatoriale per curare la sua grave bipolarità.
«La mia avvocata ha spiegato i motivi veri che mi tengono in vita, ovvero i miei figli. Li ho voluti con tutte le mie forze e voglio vivere con loro e supportarli». Queste sono state le ultime parole pronunciate dal 48enne in aula, che hanno seguito l’arringa della sua legale durante la quale l’uomo non ha saputo trattenere le lacrime. Pronunciata la sentenza, il 48enne è stato ricondotto in carcere, dove si trova dal 10 maggio.