Condannato a cinque anni e mezzo alle Assise criminali di Lugano il 53enne colpevole di reati finanziari milionari. Assolto invece il 46enne
«A farlo scivolare nell’irregolarità è stata l’ingordigia. È irrilevante che parte del denaro sia stata donata a Scientology». Con queste motivazioni la Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta da Amos Pagnamenta, ha condannato il 53enne italiano a cinque anni e mezzo per amministrazione infedele aggravata, truffa, falsità in documenti e riciclaggio. L’uomo, lo ricordiamo, è stato ritenuto colpevole di malversazioni milionarie nell’ambito delle sue attività da trader nel settore del commercio di materie prime danneggiando il patrimonio di alcune società che gestiva e riconducibili a membri della Chiesa di Scientology, della quale lui stesso è stato membro per circa vent’anni. Integralmente prosciolto invece il 46enne ucraino, direttore finanziario di una delle società.
La pena per l’imputato principale nel processo che ha riportato all’attenzione del grande pubblico l’organizzazione interna del controverso culto fondato da Ron Hubbard è dunque più contenuta rispetto a quella proposta dalla procuratrice Veronica Lipari – ovvero sette anni –, ma sostanzialmente il suo atto d’accusa è stato accolto quasi integralmente. A cominciare dall’amministrazione infedele aggravata. «Ha violato ogni dovere che gli incombeva da amministratore, secondo il Codice delle obbligazioni – ha detto Pagnamenta –. Gestire una società non significa utilizzarne il denaro come se fosse il proprio. Invece di effettuare transazioni con finalità commerciali, spostava soldi da una tasca all’altra dei pantaloni. Le malversazioni non si sono limitate a questo genere di operazioni, ma ha effettuato anche bonifici e prelevamenti, il tutto coperto a bilancio con iscrizioni ai crediti correntisti».
Riguardo a questi ultimi – sostanzialmente dei debiti temporanei nei confronti della propria società, permessi per legge –, Pagnamenta ha smentito la difesa degli avvocati Damiano Salvini e Tuto Rossi, sottolineando come non sia vero che ci sia un limite massimo ma che a fare la differenza «sono semmai la possibilità e l’intenzione dell’imputato di restituire il denaro». Una circostanza non data: «Il denaro circolante sostanzialmente non c’era, se non quello che proveniva dagli Stati Uniti (da parte in particolare della miliardaria, principale finanziatrice di Scientology su scala mondiale, che ha immesso capitali nella società statunitense coinvolta nel giro, ndr) e l’imputato ha più volte confermato che non aveva denaro da restituire. Ha allestito pezze giustificative per far apparire la situazione economica migliore di quanto fosse». L’amministrazione infedele inoltre è stata riconosciuta nella sua forma aggravata, smontando la tesi della difesa che essendosi trattato di donazioni al controverso movimento religioso, non ci sarebbe stato un lucro.
«Il 53enne ha avuto un vantaggio personale da queste donazioni, che gli hanno permesso di salire rapidamente nella scala sociale di Scientology e di entrarne in contatto con la danarosa élite. Inoltre, i soldi giravano tutti sui suoi conti, permettendo a lui e alla sua famiglia di vivere nel lusso, fra auto, ville e gioielli. Inoltre, va considerato che ha utilizzato questa attività criminosa come sua principale fonte di reddito per anni». Confermati anche gli altri reati: falsità in documenti, riciclaggio (nella sua forma semplice, però) e truffa. Riguardo a quest’ultima, il presidente della Corte ha speso qualche parola in più sul culto al quale la difesa e l’imputato hanno imputato le azioni del 53enne. «Non emerge che si sia trovato sotto pressioni tali da non sapere come sottrarsi alle richieste di donare denaro. Lui stesso ha dichiarato che non ci sarebbero state particolari conseguenze se non avesse donato. Inoltre, si tratta di una setta unita e coesa, nella quale era conosciuto e c’era un rapporto di fiducia: lui non si aspettava un controllo accresciuto, che infatti non c’è stato. Non si è fatto problemi a sottoporre fatture gonfiate per ottenere i soldi».
La Corte non si è neanche fatta intenerire dalle conseguenze ostracizzanti alle quali sono sottoposte le persone che trasgrediscono alle regole di Scientology, in quanto l’imputato le conosceva bene: «Pensava che avrebbe subito al massimo qualche tirata d’orecchi, invece la controparte è passata al penale e lui ne è rimasto sorpreso». Poche le attenuanti a suo favore, tra le quali le dure condizioni di carcerazione e il fatto che almeno in parte gli sia stato riconosciuto che con le donazioni intendeva sinceramente fare opere di bene. Di più gli aspetti negativi emersi: una memoria che «è sembrata funzionare a geometria variabile»; ha agito a fini di lucro personale; la somma in questione era molto elevata – si parla di svariati milioni di franchi, e la gravità nei reati finanziari è data proprio dall’entità del maltolto –; «ha agito in modo spregiudicato mostrando una preoccupante propensione a delinquere, anche quando i nodi erano ormai al pettine ha continuato a prelevare denaro e se ha smesso di farlo è perché è stato defenestrato dalle società». Infine, ha dimostrato scarso pentimento.
Su quest’ultimo punto, Pagnamenta ha precisato che la Corte condivide l’opinione della pp che ci sia da qualche parte un tesoretto, frutto della controversa vendita della villa che la famiglia dell’imputato possedeva a Clearwater, in Florida, che ospita il quartier generale mondiale di Scientology. In un primo momento l’imputato aveva detto che avrebbe utilizzato il denaro della vendita per iniziare a ripagare le società costituitesi accusatrici private, e rappresentate dall’avvocato Goran Mazzucchelli, alle quali sono stati accordati risarcimenti milionari. Tuttavia, l’immobile è stato poi venduto e i soldi non si sono visti. «Non è nemmeno lontanamente credibile che non sappia come sia stata venduta la villa e che fine abbia fatto il denaro – la conclusione del giudice – e, sebbene sia stata un’operazione legittima, ha perso un’occasione per avere un valido argomento a favore del sincero pentimento». Lipari stessa durante la requisitoria ha anticipato l’intenzione di provare a portare in aula penale il caso della misteriosa vendita della villa.
Poche parole sul 46enne ucraino, per il quale la pp ha chiesto otto mesi di detenzione. «Malgrado le sue indiscusse competenze ha allestito le fatture in modo piuttosto leggero. Tuttavia, le sue dichiarazioni appaiono credibili: non aveva interesse ad arrecare un danno alla società, pensava ci fossero delle forniture reali di merce né era al corrente delle effettive intenzioni del 53enne» ha sottolineato Pagnamenta, prosciogliendolo integralmente così come richiesto dal suo avvocato difensore, Paolo Bernasconi. Se quest’ultimo può dirsi dunque soddisfatto, non altrettanto possono fare i legali del 53enne. Rossi infatti ha già manifestato una probabile intenzione di ricorrere in appello.