Meno tremori e più coordinazione: questi, alcuni dei risultati incoraggianti emersi dal progetto avviato l’anno scorso dalla Croce Rossa con vari partner
Meno tremori, migliore qualità di vita, più coordinazione e concentrazione. Questi i benefici maggiori che emergono dai risultati del progetto Music Park, avviato lo scorso 19 aprile e durato dieci settimane. Lo scopo è stato quello di aiutare, alleviando il carico della malattia, i pazienti affetti da malattia di Parkinson attraverso un programma di musica di gruppo. A partecipare sono stati 30 pazienti tra i 50 e gli 80 anni scelti basandosi su specifici criteri di inclusione e in diversi stadi del disturbo. I risultati ottenuti dai pazienti coinvolti nell’attività musicale sono stati paragonati a quelli raggiunti da un gruppo corrispondente, ma coinvolto in un programma di attività ludiche che non comprendevano la musica. Il progetto nasce da una collaborazione multidisciplinare tra vari enti quali: Croce Rossa Svizzera sezione Sottoceneri (Crss), il suo Centro di ergoterapia, l’Istituto di neuroscienze cliniche della Svizzera italiana (Nsi), la Divisione di ricerca e sviluppo del Conservatorio della Svizzera italiana (Csi) e il Centro di riabilitazione di Brissago Clinica Hildebrand. Abbiamo discusso dei risultati ottenuti con Paolo Paolantonio, musicista e ricercatore alla Divisione ricerca e sviluppo del Csi, e Salvatore Galati, neurologo esperto in disturbi del movimento all’Nsi.
Cosa è emerso dai dati raccolti?
Galati: Non ci sono stati peggioramenti, chiaramente c’è da tenere in considerazione che alcuni pazienti sono rimasti stabili mentre altri sono migliorati più rapidamente rispetto al resto del gruppo. La cosa più interessante e sorprendente è che non abbiano somministrato dei farmaci aggiuntivi oltre alla terapia standard seguita dai pazienti. Quello preso in considerazione era un gruppo di pazienti eterogeneo in diversi stadi di malattia che, suonando strumenti a percussione insieme a musicisti del Csi, ha potuto notare un giovamento a livello di tremori. Non solo, questo studio ha offerto la possibilità di accedere in modo appropriato ad attività artistiche di valore, aspetto importante in quanto numerose ricerche a livello internazionale suggeriscono che la partecipazione culturale può offrire importanti benefici sulla salute e il benessere delle persone. Inoltre, ciò che è avvenuto a livello di modifica dei circuiti cerebrali è stato qualcosa di indiretto. Da sottolineare anche che i soggetti che hanno partecipato all’attività musicale lo hanno fatto per tutte le sessioni garantendo aderenza al percorso o all’attività del programma. I benefici dello studio sono stati notati anche su quelli che sono gli 8 domini della qualità di vita come il coinvolgimento sociale, dei sintomi non motori della malattia e molto altro. Globalmente i pazienti che sono stati esposti all’attività musicale hanno presentato dei punteggi di questa scala inferiori rispetto ai soggetti che sono stati esposti all’attività neutra suggerendo in qualche modo un miglioramento della qualità di vita, alleviando il carico che questa malattia comporta.
Paolantonio: Bisogna sempre essere cauti con risultati di questo genere, ma diversi pazienti hanno riferito che mentre suonavano con noi percepivano un controllo migliore sulla propria coordinazione oltre che una capacità di concentrarsi migliore. Da un lato dunque è importante essere cauti perché questo non significa che siamo riusciti a curare questi sintomi, dall’altro è importante sottolineare che lo stare insieme ha fatto sì che queste persone si siano anche confrontate tra di loro, quindi c’è stato un momento di incontro e supporto reciproco.
Visto il successo ottenuto l’obiettivo è quello di poter replicare e continuare con lo studio? Se sì, questo quando avverrà?
Galati: La speranza è quella di proseguire questa attività e di esplorare ancora il potenziale di programmi musicali, magari con un numero più grande di pazienti, rispetto a quello che abbiamo osservato in questo studio pilota, ma ci stiamo lavorando. Inoltre questo è un progetto molto bello ed emozionante che implica però anche dei costi non indifferenti. Naturalmente abbiamo ricevuto un supporto sostanzioso da parte della Crss, che ha reso possibile questo studio. Si stanno dunque svolgendo delle ricerche affinché si possa proseguire con lo studio. Inoltre ambisco a fare in modo che ‘Music Park’ diventi un progetto pilota che si possa espandere anche in tutto il resto della Svizzera.
Paolantonio: Stiamo lavorando in quanto quello di andare avanti è un obiettivo comune. Siamo fiduciosi grazie anche alla rete interdisciplinare creatasi alla base del progetto.
I partecipanti allo studio come possono continuare a migliorarsi?
Paolantonio: A questa domanda ho due risposte. La prima è che è di fondamentale importanza andare avanti e offrire più spazi, sessioni e programmi, sviluppando ulteriormente un approccio già creato insieme ai vari partner del progetto. La seconda risposta è che dalle interviste fatte, a inizio e a fine progetto, è emerso che per alcuni pazienti il rapporto con la musica si è intensificato o addirittura è stato recuperato. Alcuni pazienti hanno riferito che adesso, portando un esempio effettivo, ascoltano attivamente e con attenzione l’autoradio, prima mero sottofondo del traffico. Scegliendo cosa ascoltare ciò va a giovare la loro condizione. Altri pazienti invece riascoltano le cose che abbiamo ascoltato insieme durante le varie sessioni. Quindi una risposta vera, sistematica e solida non c’è ancora, in quanto questo è stato un primo passo. Sicuramente, almeno per qualche persona, il modo di fare musica e ascoltarla che abbiamo offerto nelle dieci settimane ha in qualche modo reso la musica più presente nella vita dei pazienti.
Il riscontro degli specialisti è dunque positivo. Come altrettanto lo sono le considerazioni della direttrice della Crss Debora Banchini Fersini. «La Crss si è appassionata al progetto Music Park, che non solo ha promosso, ma si è impegnata in prima linea a sostenerne la realizzazione, donando alle persone affette da Parkinson uno spazio privilegiato che permettesse di ‘dimenticare’ la malattia. È nata così una meravigliosa sinergia tra enti e realtà di capaci professionisti, che hanno messo a valore comune le reciproche aree di competenza a vantaggio di una popolazione che, colpita da una malattia implacabile, spesso si ritrae in solitudine. Abbiamo pertanto potuto osservare sul campo gli effetti positivi della musica nel trattamento terapeutico del Parkinson, grazie alla meravigliosa disponibilità del gruppo che ha partecipato allo studio. La musica dunque ha oltrepassato barriere agevolando la comunicazione, le relazioni e la socializzazione dei e tra i pazienti. Ci tengo a sottolineare l’importante ruolo coperto dagli ergoterapisti del team che hanno valutato, per ogni singolo utente, difficoltà e risorse affinché si potessero fornire benefici reali nella vita quotidiana del paziente». Inevitabilmente positivo dunque lo sguardo rivolto al futuro: «Sulla base dei primi risultati ottenuti siamo convinti che il progetto abbia tutti i presupposti per veder sviluppata una seconda fase nei prossimi mesi e stiamo lavorando attivamente affinché questo avvenga».