Il 40enne condannato per violenze sulla consorte è tornato davanti alla Corte di appello e revisione penale. Ma è imputabile?
È tornato in aula penale, davanti alla Corte di appello e revisione penale, il caso del 40enne kosovaro condannato in primo grado a 3 anni e 8 mesi per ripetute violenze, anche sessuali, sequestro e coazione nei confronti della allora moglie, connazionale. La precedente udienza, alla fine di dicembre davanti alla stessa Crp, è stata evidentemente ritenuta non risolutiva dalla giudice Giovanna Roggero-Will, che ha voluto sentire in aula la ex moglie, per una dettagliata deposizione. La pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti, chiede un incremento della pena a 4 anni e mezzo, mente l'avvocato difensore Yasar Ravi invoca l'assoluzione.
Pende però il dubbio sull'effettiva imputabilità dell'imputato, che ancora una volta ha manifestato importanti difficoltà di comprensione e di espressione, al punto che la giudice gli ha chiesto: «Ma lei sa di cosa è accusato?». Una precedente perizia psichiatrica non l'ha giudicato completamente non imputabile, ma per l'Assicurazione invalidità l'uomo è invalido al 100% a causa di difficoltà cognitive. La Corte ha così chiesto alla difesa di ricevere l'incarto dell'Ai prima di decidere come procedere in questo tribolato procedimento.
Sentiamo allora il racconto della ex consorte, che dopo 10 anni di matrimonio, nel 2018 si spostò in Svizzera francese, dove viveva il fratello di lei e dove finì anche il matrimonio. Un giorno di agosto, dopo l'ennesima sfuriata del marito, trovò la forza di dire basta. «È stato un matrimonio combinato, le famiglie erano d'accordo, noi ci siamo visti e piaciuti. Ci siamo sposati nel 2008 in Kosovo e in quell'anno siamo venuti in Ticino. Mio marito abitava già qui. Siamo andati a vivere a Lugano, insieme con la famiglia di lui, per sei o sette anni. All'inizio andava tutto bene, dopo che è nata la prima figlia sono cominciati i problemi. Lui urlava, sbatteva le porte, mi lasciava a casa e usciva da solo». Poi le botte, gli schiaffi. Per l'atto d'accusa, i fatti di rilevanza penale sono iniziati nel 2011. «Sua mamma diceva che, delle volte, il marito può picchiare la moglie, non è una cosa strana. Anche mio suocero picchiava mia suocera. Quando arrivava la polizia, chiamata da mia suocera, io e la sorella di mio marito venivamo allontanate». L'avvocato difensore Yasar Ravi ha chiesto se la donna avesse precedenti esperienze intime. «Prima del matrimonio non avevamo avuto rapporti sessuali. È la nostra tradizione. E lui è stato il mio primo uomo». Ma come precipitò la situazione? «Mio marito diventava nervoso perché la bimba piangeva, mi dava la colpa. Quando non mi picchiava, mi andava bene di fare sesso. Dopo che mi aveva picchiata, non mi andava bene, è normale. Però qualche volta lo facevamo lo stesso». Lei però resta incinta del secondo figlio. La procuratrice Pamela Pedretti: «C’è stato un rapporto sessuale di cui ha un ricordo particolare?». «Veramente, lo psicologo mi ha detto di dimenticare tutto, ed è ciò che ho fatto. Ma ci sono delle cose cui se ci penso mi fa molto male. Come quando mi picchiava e mi obbligava a fare sesso anche se non volevo. Mi prendeva con la forza».
«Avrei voluto uscire, andare con la bimba al parco, ma mio marito non mi lasciava. Diceva che non avevo bisogno, potevo guardare la televisione e occuparmi della figlia. Non avevo amici, coi vicini di casa non parlavo. Solo lui aveva la chiave dell'appartamento, quando usciva io rimanevo chiusa dentro. Dei miei parenti vivono in Svizzera interna. Non avevo nessuno a cui appoggiarmi, e lui mi diceva che se avessi raccontato ad altri qualcosa di ciò che faceva, non me lo avrebbe perdonato».
Sviscerata anche la questione del sequestro di persona. «Lui ha lavorato solo i primi due anni, poi è sempre stato a carico dell'assistenza. Così poteva sempre venire con me quando portavo la bimba all'asilo. Nel palazzo c'era una lavanderia comune, ma io non ci sono mai andata siccome mio marito comprò una lavatrice da tenere nell'appartamento. Penso che l'abbia fatto perché io non dovessi scendere di sotto. Stava sempre in casa, diventava nervoso e mi tirava addosso gli oggetti, come il telecomando, il portacenere o mi prendeva per i capelli. Una volta mi ha rotto in testa un computer portatile. Un'altra volta mi ha slogato una spalla. Picchiava anche i bambini, con delle sberle».
Lui ha respinto più o meno tutti gli addebiti: di aver chiuso a chiave in casa la moglie, di avergli rotto in testa un computer e così via. «Non ho mai picchiato mia moglie". Un racconto confuso, disordinato al punto che la presidente della Corte gli ha chiesto: "Ma lo sai di cosa sei accusato?» dandogli del tu nella speranza di venir capita. «Uno dei temi che si pone è quello della processabilità dell'imputato» ha concluso. E non è detto che il processo arrivi effettivamente ai titoli di coda.