Luganese

Violenza e stupri: le versioni (dei coniugi) divergono

Il caso del 40enne è di nuovo in aula penale, la figlia si schiera con la mamma, ma il padre ha dei problemi

(Ti-press)
20 dicembre 2023
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È tornato in un’aula penale, quella della Corte di appello e revisione penale, il caso del 40enne kosovaro condannato in primo grado a 3 anni e 8 mesi per ripetute violenze, anche sessuali, sequestro e coazione nei confronti della allora moglie, connazionale. Un misto di botte e di atti sessuali forzati, questa l’accusa e il processo di primo grado, si ricorderà, terminò con l’arresto in aula dell’imputato, che si era presentato a piede libero. La sua detenzione durò ben poco e oggi è nuovamente in libertà. Come un anno fa davanti alle Assise criminali, chiederà il proscioglimento del suo assistito l’avvocato difensore Yasar Ravi. Nel frattempo ha chiesto una serie di complementi istruttori – documenti delle autorità della migrazione e cartelle mediche della ex moglie.

La procuratrice pubblica Pamela Pedretti da parte sua ha chiesto un aumento della pena a 4 anni e mezzo, con la conferma dell’espulsione dalla Svizzera, aggiungendo ai reati già contestati – violenza carnale, sequestro di persona, coazione – anche quello di lesioni semplici. Il dibattimento è stato aggiornato a venerdì mattina.

In assenza di testimoni diretti, si può definire questo un processo indiziario. Nega tutto l’imputato, ma sull’altro piatto della bilancia le accuse della ex moglie, della loro figlia, e alcune contraddizioni in cui il 40enne incorre spesso. Dovute forse a un livello intellettivo piuttosto limitato: una perizia psichiatrica stabilisce una lieve scemata responsabilità per questo motivo. Ma resta un dubbio: ci è o ci fa?

Andando a ritroso nel tempo, la storia iniziò nel 2011 quando la donna arrivò in Ticino, e subito ebbe un figlio. Un matrimonio combinato dalle famiglie. Lui era qui già dal 1996: scuole Medie non terminate, poi lavoretti nei ristoranti, la disoccupazione, una rendita di invalidità. Un matrimonio blindato, chiuso a chiave, sostiene l’accusatrice privata e con lei l’accusa. La moglie usciva mai di casa? «Sì, per portare la bambina all’asilo». «Perché ho comprato una lavatrice? Lei aveva paura a scendere a da sola in lavanderia» risponde il 40enne. Guarda caso, ha annotato la procuratrice Pamela Pedretti, la lavatrice venne acquistata proprio quando l’imputato trovò un posto di lavoro in un programma occupazionale. Insomma non voleva che la moglie uscisse dall’appartamento senza di lui?

Ci è o ci fa?

Di fronte alle numerose contestazioni, in aula penale il kosovaro ha manifestato evidenti difficoltà nell’esprimersi. «Per scrupolo di patrocinio chiedo una perizia sulla sua capacità di discernimento, anche su domande innocue il mio assistito non è in grado di rispondere» ha detto l’avvocato Ravi. La procuratrice Pedretti ricorda che però c’è una perizia psichiatrica già agli atti. «È vero che fa confusione sui numeri e le date però ad altre domande è stato in grado di rispondere» ha commentato la pp. La presidente della Corte, Giovanna Roggero Will, ha rimandato pure questa istanza a una fase successiva del processo.

«Possiamo oggi ritenere provvidenziale per la moglie il trasferimento del 2018 in Svizzera francese» ha detto in requisitoria la procuratrice Pedretti. Fu la fuga da una pericolosa prigione. «Poteva chiamare sua mamma in Kosovo solo in presenza del marito». E poi le ripetute minacce: «Se dici qualcosa a qualcuno uccido te e i bambini» sarebbe stata una frase ricorrente. Anni di violenze e maltrattamenti, la porta chiusa a chiave e lei non aveva la chiave. La suocera? Le diceva che «le botte fanno parte del matrimonio». La figlia? Davanti agli operatori per i minorenni, in Svizzera francese, vuotò il sacco fra le lacrime. «C’era sempre mio papà che rompeva qualcosa o picchiava qualcuno». O entrambe le cose, come quando spaccò il computer sulla testa della moglie. «Voleva sempre fare sesso dopo avermi picchiata, minacciando di continuare a darmi botte» racconta la ex consorte. La sua patrocinatrice, l’avvocato Valentina Zeli, ha chiesto a titolo di torto morale 18mila franchi per la ex moglie, 5mila per la prima figlia e 3mila per la seconda.

Denunce non credibili, invece, per l’avvocato difensore Yasar Ravi. Denunce depositate dopo 12 anni di matrimonio, un ricongiungimento famigliare in Svizzera e due figli. Contestata anche la teoria della ‘prigione domestica’ e quindi del sequestro di persona. «L’inchiesta non fa menzione delle numerose visite del fratello; peraltro, sappiamo che in Svizzera vive pure una sorella. La figlia maggiorenne parla pure della frequentazione di sua mamma con un’amica. L’arringa della difesa continuerà domani, giovedì, poi dupliche (già annunciate) e repliche.

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