Stefano Vizzola, titolare del Camelot Store di Lugano, ha chiuso dopo tredici anni. Con lui un bilancio sul passato e futuro del gioco da tavolo
C’era una volta a Lugano una scaletta che portava gli amanti del gioco da tavolo in un piccolo antro sotto il livello stradale popolato di scaffali pieni di giochi di ogni tipo: era il Camelot Store, gestito da Stefano Vizzola che dopo 13 anni dietro il bancone ad aiutare i giocatori nella scelta ha chiuso l’attività a fine 2023. Lo incontriamo per un bilancio di questi anni fra dadi, carte e tabelloni e per parlare di gioco da tavolo, hobby che coinvolge milioni di persone nel mondo.
«Lasciato il lavoro all’Usi — racconta a laRegione — ho preso un po’ alla cieca il locale per vendere o libri o giochi, due delle mie passioni. Per i primi, però, era un momento di crisi, e il posto era piccolo. Per i giochi, invece, all’inizio il posto mi sembrava anche troppo grande: c’erano abbastanza giochi per riempirlo? Alla fine questa fu la scelta giusta, e in questi 13 anni, in soli 25 metri quadrati è passato il mondo! Non solo ticinesi, ma anche tante persone di passaggio provenienti da ogni parte del pianeta. Come dimenticare la gioia di 4 ragazzi del Tajikistan? O di russi e ucraini qui residenti a cui ho venduto (dopo l’inizio della crisi) nello stesso giorno? O medici brasiliani e coreani partecipanti al congresso di Lugano? O viaggiatori dal Nevada o dalla Frisia che raccontano le loro storie? Quante narrazioni, che esperienza! Parlando con tutti loro capisci che desideri e bisogni sono gli stessi ovunque. Con la globalizzazione anche i giochi sono gli stessi in tutto il mondo: un po’ peccato per la perdita di tutto ciò che è tradizionale o regionale».
Cosa è cambiato negli anni?
Quando ho aperto, comprare online non era ancora l’abitudine. A complicare le cose non è stato l’e-commerce in sé (verso cui la pandemia ha spinto anche i più reticenti) ma le nuove abitudini a ciò collegate: il gioco che scopri dal blogger o dal sito preferito lo vuoi oggi, al massimo domani. Così spesso l’acquisto è impulsivo e chi compra non ha parametri di paragone. Pure chi magari sta dietro l’angolo vuole comprare online e ricevere il gioco a casa, forse abituato al sistema. Sono ormai una minoranza i giocatori che si lasciano sorprendere, che, senza un’idea precisa, setacciavano il negozio gioco per gioco per vedere quello che offrivo, ascoltare i miei suggerimenti e poi scegliere.
Quali giochi vanno oggi per la maggiore?
Non c’è una scelta sempre ponderata, si seguono trend, ma tutte le categorie sono ben rappresentate, dai giochi di strategia ai party-games. Qualcuno, come i recensori, sceglie per te: si parla di un gioco e per un tot diventa il gioco del momento. Difficile dare titoli: i giochi ben promossi durano 5-6 anni, ma la stragrande maggioranza si esaurisce del tutto con la prima uscita, al massimo con la prima ristampa. Quelli che durano più a lungo sono pochi.
Che ne è dei giochi classici?
Giochi come Risiko vendono sempre: divenivano classici perché seguiti da editori che facevano il mercato, si identificavano con una tipologia e producevano molto sperando che qualcuno avesse successo. Quel mondo è finito. Agli editori non importa più avere un’identità, vanno sul sicuro: comprano e pubblicano ciò che vende di più su Kickstarter (sito di crowdfunding per progetti creativi, ndr), dove peraltro i super appassionati lo hanno già prenotato. Con l’arrivo dei videogame i grandi nomi sono poi morti tutti, non per un calo di interesse ma perché all’inizio i videogame costavano: chi spendeva soldi per essi non li aveva per altro. A fine anni Novanta tanti volevano provare i nuovi videogiochi, così gran parte delle case storiche americane ha chiuso perché non vendeva più.
Come è cambiato il mondo del gioco?
Oggi vanno per la maggiore gli European Games o German Games, basati sulla sequenza di azioni nel proprio turno e con un’interazione minore fra i giocatori: un sistema che permette di adattare varie tematiche a una struttura di fondo più astratta. C’è stato poi lo sviluppo dei giochi cooperativi e di strategia, divenuti molto più attrattivi, con meno eventi risolutivi dati dal solo caso. Nei classici americani il dado resta lo strumento-chiave: senza dado non è un vero gioco, si diceva. Nei giochi moderni l’alea non è più così determinante: definisce, magari, alcune situazioni di partenza, lasciando però al giocatore gran parte delle scelte.
Ho constatato però un’accresciuta difficoltà (e avversità) verso le regole scritte, a volte anche semplici o molto illustrate, presumo dovuta alla perdita dell’abitudine di leggere. Per fortuna oggi i video tutorial abbondano, di uno stesso gioco ce ne sono decine o centinaia, il che promette una sfida vera: trovare il video adatto a ognuno.
Qual è oggi il profilo del giocatore medio?
Quando ho aperto la clientela era in gran parte di over 30 che investivano in quest’hobby e meno in altro. Oggi il campo si è allargato molto a famiglie e giovanissimi, spesso influenzati da chi hanno intorno. In questo senso il videogame ha inciso più sulle vecchie generazioni perché era la novità: per i nati dopo il 2000 è una presenza scontata. In negozio tanti ragazzini, magari con i genitori, scoprivano che la novità del momento, per loro, era un gioco da tavolo che magari esisteva da anni. Spesso figli e genitori scelgono insieme giochi come Carcassonne o Ticket to Ride, con regolamenti memorizzabili in fretta. Moltissimi i party games, giochi semplici da fare in tanti. Il gioco di ruolo sta poi vivendo una nuova primavera fra i più giovani: Dungeons&Dragons resta un classico perché la quinta edizione ha semplificato il mosaico, ormai ingestibile, di regolamenti aggiunti negli anni»
I grandi, invece, cosa apprezzano?
Fra gli adulti che non amano la strategia hanno un successo enorme giochi spesso con temi politicamente scorretti, a volte volgari, senza grandi regole, fatti per ridere o suscitare la reazione del prossimo: dalla pandemia in poi hanno venduto più di tutti gli altri messi insieme. Vanno sempre bene anche giochi basati su identità segrete, che però richiedono un numero alto di giocatori, non sempre disponibili. Il mio long-seller è stato Dixit, gioco narrativo in cui conta la creatività, fondato sulla psicologia, sull’entrare nella mente altrui. I giochi come Dixit hanno grande seguito perché non richiedono una preparazione del materiale, hanno regole semplici e la vittoria dipende dalla propria capacità di relazionarsi con gli altri.
Il gioco può essere utile, oltre che divertire?
Nelle scuole cresce l’interesse per il gioco, dalle elementari fino anche ai licei, introdotto soprattutto da docenti appassionati. I giochi hanno un aspetto didattico, inducono a pensare, fare ragionamenti calandosi in determinati contesti (storici, geografici, matematici), ed educano alla convivenza civile: in giochi da fare in tanti, in cui tutti perdono e uno vince, si impara sia ad accettare la sconfitta sia a prevenirla. Che si può vincere ma anche, più spesso, perdere e va bene così: il vero scopo è giocare.