Luganese

‘Ho mostrato il coltello ma non volevo colpire’

Il 20enne a processo per l'accoltellamento all'esterno di una discoteca di Lugano respinge l'accusa di tentato omicidio intenzionale

Un coltello d’archivio: quello utilizzato aveva una lama di 6 centimetri
(archivio Ti-Press)
27 giugno 2023
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Ammette di aver mostrato il coltellino con fare minaccioso il 20enne algerino a processo da stamattina, martedì, davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano per rispondere di tentato ripetuto omicidio intenzionale (in via subordinata tentate ripetute lesioni gravi o lesioni semplici qualificate) per i fatti avvenuti il 10 luglio scorso all'esterno della discoteca Blu Martini di Lugano. In un racconto dove non sono mancati i «non ricordo» e dove spesso è sembrato non capire le domande, l'imputato contesta il reato principale. La Corte ha dapprima esaminato il contatto con la prima vittima, rimasta illesa. «Non volevo colpirlo – ha spiegato rispondendo alle domande della giudice Francesca Verda Chiocchetti –. Ho colpito il muro: l'ho fatto solo per spaventarlo e farmi dire chi mi aveva picchiato». Stando all'atto d'accusa l'altezza stimabile è quella tra l'orecchio e la spalla. All'interno del locale era infatti scoppiata una lite dopo che l'imputato ha toccato il sedere, ed è stato aggredito da ignoti, a una ragazza che stava ballando. «Pensavo mi avessero picchiato ingiustamente, mentre oggi so che avevano anche un po’ ragione perché avevo toccato un sedere ed è una cosa che non si fa. Avevo anche bevuto tanto e fumato un po’ di erba». Di quella sera il 20enne ricorda che «mi hanno picchiato forte, anche quando ero a terra. Quando ho visto il sangue scendere dalla mia faccia ho provato di tutto: ero arrabbiato, sconvolto, c’era tanta gente, non capivo niente, avevo paura che mi picchiassero ancora». Uscito dal locale «ero frustrato. In quel momento volevo litigare». In aula sono stati mostrati i fotogrammi di quella notte. L'avvocato difensore Ryan Vannin ha evidenziato come «tutto quanto accade in un contesto di assoluto disinteresse da parte degli altri avventori».

Il ferimento della giovane

Dopo che il 20enne è stato allontanato dal sedime della discoteca, l'azione si è spostata in piazza San Rocco, dove una giovane, che l'aveva già redarguito e spintonato su un divanetto all'interno del locale (lui le ha messo le mani al collo, senza stringere), scatenando in seguito il pestaggio, è stata colpita due volte con un coltello da tasca (lunghezza della lama 6 centimetri): una prima al mento (la ferita lacero contusa è stata di 3 centimetri) e una all’avambraccio (ferita di circa 10 centimetri). «Mi ricordo di averla spinta ma non so se avevo il coltello in mano, mi ricordo un movimento dall'alto verso il basso. Avevo paura di lei, stava venendo a picchiarmi. Non ero in me: ho fatto uno sbaglio, mi dispiace».

In Ticino senza permesso

La famiglia dell'imputato continua a vivere in Ticino nonostante le decisioni di allontanamento. «Sono nato a Bellinzona e non conosco il mio Paese: quando siamo tornati qui avevo 6 anni, non so nemmeno leggere l'arabo – ha spiegato il 20enne –. Seguo quello che fanno i miei genitori: sono nato e ho fatto le scuole qui (fino alla seconda media, mi hanno espulso dalle Medie di Chiasso), mi sento come tutti gli altri». In passato il giovane ha fatto un breve stage in una carrozzeria («mi piaceva più lavorare che andare a scuola»); alla Stampa ha iniziato a seguire un corso di informatica che ha dovuto interrompere dopo il suo trasferimento in una struttura giurassiana e che spera di riprendere nei Grigioni, dove sta imparando il tedesco. Pensando a quando verrà scarcerato, «vorrei fare un apprendistato e prendere la patente. In prigione sono maturato, anche i detenuti più anziani mi hanno detto che questa non è vita e che devo imparare un mestiere e le lingue».

Le vittime chiedono un risarcimento per torto morale

Entrambe le vittime hanno chiesto un risarcimento per torto morale di 5mila franchi. L'imputato, ma non il suo difensore che ha definito la cifra eccessiva, si è detto disposto a risarcire la ragazza. «Ho sbagliato: sono io che le ho fatto la cicatrice e pago. Ma c'è anche la mia parte che non è mai uscita nonostante la mia denuncia». La richiesta dell'altra vittima è invece contestata.

Il processo continuerà nel pomeriggio con la requisitoria della procuratrice pubblica Anna Fumagalli (che chiederà una condanna superiore ai 5 anni di carcere). La parola passerà in seguito ai rappresentanti degli accusatori privati, gli avvocati Felice Dafond e Fiammetta Marcellini e all'avvocato della difesa Ryan Vannin. La sentenza potrebbe essere pronunciata domani, mercoledì.