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La famiglia di Assange a Lugano per la libertà

In occasione del Plan B Forum il padre, il fratello e la moglie riportano l’attenzione sulla carcerazione del fondatore di WikiLeaks

(Keystone)
28 ottobre 2022
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«Le cose per Julian possono solo andare peggio». Il padre naturale di Julian Assange, John Shipton, è un uomo alto e magro che va verso l’ottantina, parla sottovoce, non ti guarda mai negli occhi e lascia trasparire la sua determinazione – come pure la sua ironia e la sua intelligenza – solo attraverso il velo della timidezza. La sua amara considerazione è immortalata dal documentario ‘Ithaka’, dedicato alle vicissitudini del figlio e proiettato fino a domenica a Lugano, al Padiglione Conza, nell’ambito del Plan B Forum. Anche quando ce lo troviamo davanti, a Palazzo Civico, l’atteggiamento è lo stesso e l’amarezza, sebbene lontana dalla rassegnazione, rimane: «Quella frase l’ho detta due anni fa e Julian è ancora in carcere, quindi sì, le cose sono peggiorate». Anche perché il figlio, rinchiuso dal 2019 nella prigione londinese di massima sicurezza di Belmarsh, rischia l’estradizione dal Regno Unito agli Usa e una condanna per spionaggio e crimini informatici che prevede fino a 175 anni di reclusione.

Persecuzione ‘grottesca’

Da anni Shipton si batte per la libertà del fondatore di WikiLeaks, girando il mondo e sostenendo l’impegno legale della moglie e avvocato di Assange Stella Moris (anche lei a Lugano insieme al fratello del marito, Gabriel). L’accusa secondo la quale il figlio – al quale si è riavvicinato dopo decenni di lontananza – avrebbe messo a rischio la sicurezza americana pubblicando documenti segreti su Iraq, Afghanistan, Guantánamo (vedi accanto) la respinge al mittente: «È grottesco», ci dice alzando per un attimo lo sguardo dalle farfalle ricamate sulla sua cravatta. «È grottesco vedere il governo americano e quello britannico sostenere che è stato Julian a mettere a rischio le vite altrui. Proprio loro che hanno organizzato e compiuto la distruzione di interi Paesi mediorientali, creando 37 milioni di rifugiati – la stima è della Brown University – e 7 milioni di morti». L’atteggiamento del potere è «qualcosa che supera le possibilità del linguaggio, anche perché l’accusa è falsa: il testimone-chiave al processo di Chelsea Manning (ex militare statunitense accusata di avere consegnato un’enorme quantità di informazioni riservate a WikiLeaks, ndr) ha confermato che non si è creato un pericolo, e anche l’ex segretario della Difesa Robert Gates ha ammesso che per quanto certe rivelazioni siano state imbarazzanti, non hanno davvero minacciato la sicurezza nazionale».

Assange è stato anche accusato di aver flirtato con la Russia, in particolare alimentando lo scandalo delle e-mail ‘rubate’ a Hillary Clinton che finì per favorire l’elezione di Donald Trump, tanto che l’Economist lo definì "se non un agente nemico, almeno un utile idiota": «Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito», taglia corto Shipton sull’argomento. «Il fatto è che il grosso delle pubblicazioni di WikiLeaks riguarda i crimini della Nato e degli Usa». Come dire: è per quello che lo perseguitano, mentre «il nostro scopo dovrebbe essere quello di portare davanti alla giustizia i responsabili di crimini costati milioni di vite».

Quando infine gli chiediamo cosa aspettarci dall’amministrazione del presidente Usa Joe Biden, che non ha fermato l’offensiva anti-Assange scatenata dal suo predecessore e anzi continua a chiedere l’estradizione, Shipton mette le mani avanti: «Non sta a me capire cosa c’è nella testa di Biden». E aggiunge subito: «Piuttosto mi impegno a fare del mio meglio per portare a casa Julian il prima possibile, affrontando ogni situazione che mi si presenta di volta in volta e continuando a credere nella vita, e nel fatto che la fame di giustizia costituisce un impulso fondamentale nel cuore dell’uomo. Mi pare sia quello che il filosofo Immanuel Kant definiva imperativo categorico».

L’EVENTO

Tra lotta e criptovalute

La famiglia di Julian Assange – il padre John Shipton, il fratello Gabriel e la moglie Stella Moris – sono a Lugano perché quest’ultima sarà relatrice stamattina al convegno sulle criptovalute organizzato dalla città. Non è un caso: proprio questo tipo di monete ‘digitali’, scambiate tramite blockchain e indipendenti da banche nazionali e altre istituzioni centralizzate, sono servite a finanziare WikiLeaks quando, una decina d’anni fa, le principali banche e carte di credito bloccarono la possibilità di pagamenti alla piattaforma, congelando anche i conti svizzeri di Assange.

«Questo tipo di moneta ci ha permesso di bypassare gli intermediari utilizzati politicamente per censurarci, qualcosa che sta diventando sempre più comune», ha spiegato Moris in conferenza stampa. Il padre dell’attivista ha aggiunto che «in un certo senso c’è un parallelo tra la tecnologia peer-to-peer delle criptovalute e quella di scambio delle informazioni e protezione delle fonti alla base di WikiLeaks». In entrambi i casi, ha chiosato Moris, i sistemi di crittografia permetterebbero di sfidare la legge distopica del ‘1984’ di George Orwell, secondo cui «chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato». Il riferimento, naturalmente, è anzitutto alla censura di notizie e informazioni decisive per la democrazia. Per questo Moris ha salutato l’iniziativa di Lugano – che punta a diventare capitale delle criptovalute e dedica il convegno di questi giorni al nesso tra il loro utilizzo e la libertà – come cifra di «una città all’avanguardia dell’innovazione».

‘Un’enorme farsa’

Tornando al caso del marito – un’estradizione che, come aveva spiegato in Ithaka, ha a che fare «al 99% con la politica e solo all’1% col diritto» – Moris spiega alla Regione che «è completamente inaccettabile avere uno dei tre finalisti per il premio Sakharov (assegnato dal Parlamento europeo per la libertà di pensiero e conferito quest’anno a popolo e governo ucraino, ndr) rinchiuso in un carcere in attesa di ricevere l’estradizione. Questa contraddizione diventerà sempre più evidente. Credo che adesso sia diventato davvero palese che si tratta di un’enorme farsa» e che «le autorità stanno abusando dei procedimenti legali per farla franca. L’impressione è che la legge venga usata per scopi illegittimi». Anche perché «questa è la prima volta in assoluto che si impugnano leggi antispionaggio contro un editore». Per Moris «la reputazione di Julian è sotto attacco da diversi anni perché vogliono ridurre il suo potere. Ora ci si deve concentrare sugli aspetti politici e portare l’attenzione su tutte le irregolarità del caso, dal fatto di spiare gli avvocati ai piani di sequestro e omicidio. Ci sono moltissime prove».

Molte, negli anni, sono state anche le proteste e le manifestazioni per la liberazione di Assange nate in seno alla società civile di mezzo mondo. Tuttavia, secondo il fratello Gabriel «anche in passato è successo, per esempio per la situazione in Iraq, che la gente abbia protestato e protestato, ma anche in quel caso il governo ha voltato la faccia. Adesso credo sia responsabilità dei media non solo raccontare quel che accade, ma anche sostenerlo, perché raccontarlo e basta non favorirà la pubblicazione di informazioni d’interesse pubblico».

Il personaggio

Un calvario lungo oltre dieci anni

A essere fuori del comune non è solo la situazione attuale in cui si trova Assange, ma lo è in egual modo anche il suo trascorso. Lui e la sua ‘creatura’, la piattaforma online WikiLeaks, hanno pubblicato centinaia di migliaia di documenti classificati del Pentagono, della National Security Agency (Nsa) e della Central Intelligence Agency (Cia), facendo emergere crimini di guerra, massacri di civili, torture, scandali e machiavellismi politici. Un lavoro giornalistico il cui coraggio eguaglia quello dei Pentagon Papers che rivelarono come la Casa Bianca ingannasse gli americani circa la guerra in Vietnam, secondo alcuni. Un tradimento e un’azione di spionaggio, secondo altri.

Voce del verbo ‘to leak’

WikiLeaks vede la luce nel 2006, diventando un progetto rivoluzionario con l’obiettivo di sfruttare la potenza della rete e della crittografia per ottenere e ‘far filtrare’ – in inglese ‘to leak’ – documenti riservati su scala internazionale: file scottanti ottenuti da fonti anonime, i cosiddetti whistleblower (in italiano: ‘talpe’ o ‘gole profonde’). La rete dell’audacia parte da loro e l’organizzazione di Assange si premura di proteggerne l’operato.

Nel 2010, dopo aver già diffuso varie sconcertanti informazioni, lo staff di WikiLeaks – che a quel punto conta ormai più di 1’200 volontari registrati – inizia a fornire più di 70mila file segreti – gli ‘Afghan War Logs’, riguardanti uccisioni di civili e giornalisti bersaglio della Nato o dell’esercito americano durante la guerra in Afghanistan – a tre testate giornalistiche: New York Times, Guardian e Spiegel. Si tratta di una delle più grandi fughe di notizie della storia militare americana e rappresenta una finestra aperta su quel conflitto. La collaborazione con i tre giornali e l’attività della piattaforma si amplieranno a tutta una serie di scoop: la pubblicazione del manuale dell’esercito americano su come nascondere agli ispettori della Croce Rossa certi detenuti di Guantánamo, il video di un elicottero Apache che spara sui civili di Baghdad, gli abusi di mercenari e polizie mediorientali e così via, con storie che hanno lambito anche il sistema finanziario svizzero.

Le controversie

In tempi più recenti, a partire almeno dal 2016, WikiLeaks è stata però al centro di notevoli controversie. Finita la collaborazione coi grandi media, la piattaforma decide di pubblicare online enormi quantità di cablogrammi e altre informazioni riservate senza passare dal tipico processo di verifica e selezione redazionale, incappando nelle critiche di chi ritiene pericoloso e indiscriminato questo modus operandi. Assange è inoltre accusato di essersi fatto manipolare dall’intelligence russa – o addirittura di avervi collaborato – durante la corsa alla presidenza di Donald Trump, finendo per favorire quest’ultimo a scapito di Hillary Clinton, travolta dallo scandalo delle e-mail rubate (Trump stesso disse di "amare" WikiLeaks, salvo poi avviare una potente macchina legale per ottenere l’estradizione di Assange).

Nel 2019, dopo sette anni all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra e con un’accusa di molestie in Svezia, Assange perde la protezione diplomatica ed è arrestato dalla polizia inglese, che lo confina in isolamento nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Da lì inizia un tortuoso percorso di ricorsi contro l’estradizione negli Stati Uniti. È la prima volta che l’Espionage Act americano viene utilizzato contro chi fa informazione, tanto da far temere un grave attacco al Primo emendamento che difende la libertà di parola e di stampa. I difensori di Assange fanno notare come un precedente del genere scoraggi l’attività di informatori e giornalisti in ogni angolo del mondo. Per ora il 51enne non è ancora stato estradato anche a causa del suo stato di salute, in continuo peggioramento.