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Julian Assange, un’odissea lunga più di un decennio

Alla cinerassegna bolognese ‘Biografilm’, in mezzo a pianisti incendiari, ‘Ithaka’, la storia del fondatore di WikiLeaks. In sala, la moglie Stella

Londra, primo maggio 2019
(Keystone)
23 giugno 2023
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Si è chiusa nei giorni scorsi la XIX edizione di Biografilm, rassegna cinematografica bolognese dedicata alle storie di vita, di personaggi celebri e a illustri carneadi la cui vita è stata stravolta da sconvolgimenti politici o dai tiri beffardi del destino. Tra i primi, quel geniaccio d’un Jerry Lee Lewis, l’artista che introdusse il pianoforte nel rock&roll, capace di risorgere più volte tra uno scandalo e l’altro. Protagonista dell’ultimo lavoro di Ethan Coen, confessa candidamente che “ho avuto una carriera lunga quasi 70 anni… basata in fondo su 4 o 5 accordi, che però ho saputo sapientemente ritoccare qua e là”. Nel palmarès di Biografilm figura pure una co-produzione elvetica, firmata da Valentina Cicogna e Mattia Colombo: ‘Sconosciuti puri’, definizione un po’ cinica con la quale vengono indicati i cadaveri senza nome che finiscono poi nella sala autopsie della dottoressa Cristina Cattaneo. Senzatetto, prostitute, adolescenti in fuga, migranti caduti dal barcone.

La ‘Guantanamo britannica’

Tra le ultime chicche proposte a un pubblico sempre attento quanto numeroso, spiccava ‘Ithaka, la battaglia per la libertà di Julian Assange’. Costato due anni di lavoro al regista Ben Lawrence tra una sponda e l’altra degli oceani (Australia, Usa, Gran Bretagna), è un docufilm che tenta di riassumere l’odissea del fondatore di WikiLeaks. Un diario filmato della lotta che stanno conducendo la moglie Stella e il papà di Julian. Si parla addirittura di tortura perché Assange, dopo i sette anni trascorsi nell’ambasciata ecuadoregna a Londra, da tempo è recluso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsch, non a caso denominata “la Guantanamo britannica” per le condizioni cui sono costretti i reclusi: lui si confonde tra stupratori seriali, pedofili incalliti e delinquenti che si son macchiati dei più orrendi crimini.

Vengono i brividi pensando che Julian si è macchiato solo della ‘colpa’ di aver rivelato verità sacrosante, che tuttavia hanno dato molto fastidio a vari potenti della Terra. Grazie al doc ‘Ithaka’ scopriamo che Stella Assange ha vissuto per parecchi anni in Botswana, da dove la sua famiglia conduceva la propria battaglia contro l’apartheid in Sudafrica: “È da quella esperienza che ho imparato a lottare contro sopraffazioni e ingiustizie”. Si denuncia che le accuse di stupro giunte sul groppone di Julian dalla Svezia erano campate in aria: furono difatti archiviate, ma solo dopo mesi, e buttate là solo per screditarne l’immagine.

Alla proiezione è poi seguita una conferenza stampa che ha visto la partecipazione della moglie Stella, della giornalista Stefania Maurizi che segue la vicenda da un decennio (ha pubblicato ‘Dossier WikiLeaks’, su cui il regista britannico Ken Loach ha chiosato: “Se crediamo di vivere in una democrazia, se ci stanno a cuore la verità e una politica onesta, dovremmo leggere questo libro!”) e di Laura Morante, attrice morettiana che ha sposato la causa per la libertà del giornalista australiano.

Impotenza

Ha esordito Stella, rispondendo a un collega che si diceva preoccupato per la scemata partecipazione popolare alle manifestazioni di solidarietà verso suo marito: “Le riprese del film si sono svolte in gran parte in piena pandemia, c’era divieto di riunirsi e dunque il pericolo di prendersi qualche randellata dai poliziotti. C’è stata però una testimonianza concreta: avevamo bisogno di almeno 5mila persone per circondare il parlamento britannico dai due lati del Tamigi. Se ne sono presentate il doppio, a riprova che l’ingiustizia è ormai palese”. Quando le si chiede come sta adesso Julian, dice che “per lui è stata una settimana pesante psicologicamente: oltre la recente decisione della Corte (che ha respinto l’ennesimo ricorso) è morto un suo caro amico, con cui ha potuto scambiare due parole solo dopo l’intervento dell’ambasciatore australiano presso il carcere. Gli pesa l’impotenza: è in una gabbia, con le mani legate quando riceve una visita. Non ha accesso a internet, non può leggere i documenti giudiziari che lo riguardano: gli vengono semplicemente letti per telefono e non può inviare un’email coi suoi commenti”. Si può sperare in un intervento di Biden? “È difficile, perché WikiLeaks ha messo alla gogna sia repubblicani che democratici. C’è però una lettera aperta dell’aprile scorso di una settantina di politici d’un certo peso che auspica il rispetto del 1° emendamento della Costituzione Usa: la libertà d’opinione e di stampa. Inoltre, paradossalmente, non può entrare in gioco la grazia presidenziale, siccome Julian non è stato condannato!”.

Stefania Maurizi la prende alla lontana: “Nel suo ultimo discorso da Presidente, Eisenhower – che di eserciti se ne intendeva! – denunciò il crescente potere dell’apparato finanziario/militare. Ora ci siamo: questi poteri sono ormai vicini all’impunità. La Cia ce l’ha messa tutta per dimostrare che le rivelazioni di Assange abbiano messo in ‘grave’ pericolo i cittadini statunitensi, ma alla fine non ha trovato nemmeno un nome. Né tra i politici, né tantomeno tra i semplici statunitensi. Ma la propaganda contro di lui funziona: i mass media ormai dedicano sempre meno spazio alla sua odissea; sebbene diverse Ong e numerose associazioni che badano ai diritti umani lo ritengano ormai palesemente vittima di un complotto. Anche l’Australia ha finalmente alzato la testa, dicendo ‘Basta! Julian deve tornare a casa!’”.

Disinformazione

Ha concluso Laura Morante: “Sono colpita da come i mass media sottovalutino la vicenda, senza che nessuno dica più bah. Eppure siamo di fronte a un chiaro attacco alla libertà di stampa, che potrebbe rappresentare la fine del giornalismo d’inchiesta. Non si fa più informazione, bensì solo propaganda, si è avviata una campagna mostruosa per screditare un giornalista che ha semplicemente quanto coraggiosamente fatto il proprio dovere. Anche nel mio ambiente, quello dello spettacolo, considerato aperto e sensibile, ho trovato molte resistenze da chi poteva dimostrargli solidarietà. Ho trovato l’adesione di pochi: Fiorella Mannoia e, tra gli altri, quella di John Malkovich. Dopo un primo timido sì, la maggior parte di chi avevo contattato si è incredibilmente defilata. Julian da dieci anni è vittima di una disinformazione che probabilmente non ha precedenti. Bisognerebbe sempre leggere i giornali chiedendosi perché quell’articolo compaia su quel foglio proprio in quella giornata. Non ci sono notizie innocenti: crediamo di vivere in democrazia, ma all’informazione si è sostituita la propaganda. Non è una cosa nuova, ma si è aggravata in questi ultimi anni”.


Da sinistra: Stefania Maurizi, Stella Assange, Laura Morante

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