Mentre il Municipio prende tempo, Brughera (portavoce dell'Aida) invita gli autonomi a tornare al tavolo delle discussioni. Gobbi: ‘Il Cantone c'è’
Vuole andarci con i piedi di piombo il Municipio di Lugano. Nella seduta odierna, l'esecutivo fa sapere di aver approfondito il tema relativo al futuro dell’autogestione all’ex Macello, coinvolgendo i comandanti della Polizia cantonale, Matteo Cocchi, e della Polizia comunale, Roberto Torrente, sentiti in videoconferenza. Risultato? L’approfondimento ha fatto emergere la necessità di completare la verifica di alcuni elementi tecnici legati alla sicurezza (e all'ordine pubblico), che saranno presentati da un rapporto di Polizia atteso nei prossimi giorni e che consentirà al Municipio di prendere una decisione entro la prossima seduta. Da Palazzo civico, dopo l'annullamento della conferenza stampa annunciata nel pomeriggio, bocche cucite.
Gli approfondimenti richiesti vertono sul numero di agenti da impiegare e per quanto tempo, nel caso l'esecutivo scegliesse di nuovo la via di un intervento definitivo, come ha fatto nel novembre scorso in seguito alla manifestazione di Molino Nuovo quando lo votò a maggioranza (4 a 3). Sì, perché un'azione muscolosa susciterebbe reazioni e disordini difficilmente preventivabili e quindi merita ulteriori verifiche. D'altro canto, c'è quella convenzione siglata nel 2002 tra i rappresentanti del Centro sociale autogestito (Csoa) Il Molino, la Città e il Cantone per l'occupazione dell'ex Macello che è ancora valida, come ha stabilito la perizia commissionata dall'esecutivo ai servizi giuridici della Città. Una perizia che tuttavia potrebbe anche essere disdetta e prima o poi succederà visto che è all'esame delle commissioni c'è il progetto di trasformazione del sedime in uno spazio per tempo libero, eventi e cultura, senza centro sociale.
Senza spiegazioni, la nota stampa della Città lascia ampio spazio alle interpretazioni. Non vogliamo credere che si stia creando quel clima pre-sgombero durante il quale le allora autorità politiche cantonali e cittadine non rilasciarono dichiarazioni pubbliche, come avvenne nei giorni precedenti al 18 ottobre 2002. Quel giorno, lo ricordiamo, verso le 5 di mattina un'ottantina di agenti della Polizia cantonale allontanarono e portarono via (alcuni di peso) dall'ex grotto al Maglio in territorio di Canobbio, oltre agli autogestiti (una trentina di persone), anche una cinquantina di cittadini dell'Ecuador (fra cui donne e bambini) trasferiti poi in una struttura della Protezione civile di Vacallo. Lo sgombero venne giustificato dal mancato rispetto, da parte degli occupanti, del divieto comunicato dal Consiglio di Stato, proprietario dell'immobile, di organizzare e promuovere manifestazioni di richiamo pubblico sino al ripristino di una situazione che potesse garantire la sicurezza dei partecipanti e il rispetto dell'ordine pubblico. Però, quella soluzione di forza suscitò una serie di grossi problemi di ordine pubblico in centro città, con gli autonomi che scesero in piazza e nelle strade di Lugano inscenando sit-in di protesta. La situazione perdurò aggravandosi tanto da spingere l'allora sindaco di Lugano Giorgio Giudici affiancato dal collega di Municipio Giuliano Bignasca a concedere poco più di due mesi dopo, circa la metà degli spazi dell'ex Macello contro la volontà della maggioranza del Consiglio comunale che espresse la propria convinta contrarietà.
L'opzione sgombero immediato, come richiesto dalla Destra cittadina, potrebbe quindi ricreare quella situazione generando conflitti e manifestazioni di protesta. Si prende tempo dunque. Contrariamente alle prime reazioni a caldo rilasciate dal sindaco di Lugano Marco Borradori che ha evocato l'ipotesi dopo gli scontri con la polizia nella manifestazione non autorizzata andata in scena lunedì sera, indetta per protestare contro l'esito del voto di domenica sull'iniziativa popolare anti-burqa, la decisione dell'esecutivo rimane in sospeso. Dal canto suo il consigliere di Stato e direttore del Dipartimento istituzione, Norman Gobbi «sarà importante capire le riflessioni che farà la città di Lugano». Però anche il Cantone è coinvolto avendo sottoscritto nel dicembre 2012 quella convenzione con l'allora Municipio e con gli autonomi... «È vero che la situazione attuale è figlia di quella convenzione ma è anche evidente che operativamente e territorialmente stiamo parlando di un problema più attinente alla Città di Lugano – replica Gobbi –. Il Cantone cerca di fare da sponda per trovare soluzioni ma all'appello manca il terzo interlocutore, ossia il rappresentante dell'assemblea del centro sociale che sostanzialmente non vuole partecipare alle discussioni». Riguardo alla mozione del 2012 che chiede al Cantone di fare la propria parte? Mi pare che la stiamo facendo: c'è anche un gruppo di lavoro che cerca di approfondire la questione e le valutazioni fra Città e Cantone vengono fatte ma il terzo interlocutore non partecipa per cui diventa difficile individuare una soluzione condivisa e questo rifiuto mi sembra un atteggiamento pretestuoso».
Si temporeggia anche a livello cantonale. È pendente addirittura da nove anni la mozione che chiede al Cantone di fare la sua parte, presentata dai deputati Fabio Schnellmann, Gianrico Corti e Roberto Badaracco (oggi municipale di Lugano). Ma non si sbloccherà domani mattina. Nella riunione di stamane la Commissione Sanità e Sicurezza sociale del gran Consiglio, non ha infatti firmato i due rapporti sulla mozione riguardante l'ex Macello. Motivo? Si cerca di trovare un compromesso per tornare su un unico rapporto aspettando gli sviluppi sulla questione da parte della Città di Lugano. Risultato: slitta il dibattito previsto nella prossima seduta del Gran Consiglio. Le posizioni non sono così distanti. Da una parte il deputato Tiziano Galeazzi, relatore di uno dei due rapporti, sulla futura sede per l'autogestione che potrebbe essere individuata anche fuori dai confini luganesi. Dall'altra, Raoul Ghisletta chiede di sciogliere il gruppo misto di lavoro sull'ex Macello costituito da persone inadeguate perché già schierate, per cercare un mediatore al di sopra delle parti.
E mentre in Municipio le bocche sono cucite, sulla questione abbiamo interpellato anche Bruno Brughera, portavoce dell'Associazione Idea Autogestione (Aida), nata un paio d'anni fa con lo scopo di sostenere appunto l'autogestione. L’anarchismo è una disciplina inclusiva e non esclusiva – ci dice –. Ci sta l'essere provocatori, verso una società giudicata razzista, è ok, ma il dialogo deve rimanere la base».
Brughera, che sostiene che il Municipio abbia «deciso di non decidere» oggi, valuta ottimisticamente il succinto comunicato della Città: «Potrebbe essere un segnale di nuova disponibilità al dialogo. Mi sento di fare pertanto un sentito appello all'assemblea del Csoa affinché torni un attimo sui suoi passi e provi a proporre una forma di dialogo che la Città possa accogliere. Potrebbero esporsi direttamente loro. L'altra opzione è che la Città e l'assemblea del Csoa facciano delle proposte con delle figure di mediazione (vedi sopra, ndr) o un comitato interpartitico, come proposto da Forum Alternativo, che sondi e cominci a movimentare un certo dialogo». I fatti e le dichiarazioni di queste ultime giornate lasciano intendere però una rottura definitiva. «Se così fosse sarebbe grave da parte dell'ente pubblico. Io però non credo che un'autorità possa escludere qualsiasi possibilità di dialogo. Ritengo inoltre non ci siano stati fatti gravi a tal punto da non potersi più parlare. Si è voluto criminalizzare questa manifestazione che era partita di fatto in modo pacifico nel giorno della commemorazione dell'8 marzo...», beh, però è degenerata. «Sì, è vero, però non sarebbe successo se non ci fosse stato un così ampio dispiegamento di forze. Credo che a livello legale una manifestazione non autorizzata si risolva con un'ammonizione. Il messaggio che è passato è che agenti in tenuta antisommossa siano stati aggrediti, ma ricordiamo che dall'altra parte c'erano dei giovani, non molti e parecchie ragazze per altro. Mi sembra un po' surreale...».
«L'autogestione è un patrimonio culturale, un bene pubblico – continua Brughera –. Che sia antagonista, che piaccia o no, è una realtà di cultura alternativa. È riconosciuta sia dalla Legge della scuola sia dalla Legge giovani. In quest'ultima addirittura il Csoa Il Molino, che ha un valore storico e culturale notevole, è riconosciuto ufficialmente. Nelle maggiori città svizzere l'autogestione ha trovato una sua forma d'essere, peccato che a Lugano non ci si riesca. Hanno contribuito non poco alla costruzione di una scuola a Kobane (Siria, ndr), devolvendo di tasca propria una somma importante. Organizzano cose molto interessanti anche a livello culturale, ma non vengono mai detto e si parla sempre di criminalizzazione». È un problema anche di comunicazione da parte loro però, o no? «Sì, anche, hanno un sito, ma evidentemente non basta a far passare il messaggio. Non deve essere uno spazio chiuso, impenetrabile, ma aperto. Un luogo dialogante, propositivo, di confronto».
Un dialogo che per forza di cose deve essere con l'esecutivo secondo il portavoce di Aida. «L'ex Macello non è un dono dal cielo, gli è stato concesso. C'è stata una convenzione e a questo punto non si può non riconoscere il Municipio, che di fatto è l'amministratore di quel bene pubblico. E allo stesso tempo l'esecutivo deve avere l'accortezza di gestirlo come tale e non come una cosa sua. Due terzi degli spazi il Municipio li ha utilizzati come magazzino, è stato poi organizzato uno spazio espositivo che non viene adeguatamente utilizzato. Ma c'è un degrado delle strutture che è lì da vedere. Nella parte occupata dal Molino si respira una determinata atmosfera: a essere trasandati sono gli spazi gestiti dalla Città. Ricordiamo che gli incendi sono partiti in quella parte lì, non in quella occupata. È stato fatto un concorso, ma al momento è un contenitore vuoto».
A proposito del progetto, c'è ancora margine per farvi rientrare l'autogestione che al momento non risulta contemplata? «Dopo aver regolato le questioni in sospeso, secondo me sì. Se l'autogestione si dotasse di regole, di comunicazione, se ci fosse un dialogo costruttivo che porti a soluzioni concrete – penso ad esempio ai concerti o alla mescita delle bevande – in linea con i regolamenti della Città, allora si potrebbe fare. Essere antagonisti non significa non parlarsi. Significa invece punzecchiare chi ha il potere per far sì che cambi qualcosa. Invece c'è un problema anche nel far passare i propri messaggi. Perché ad esempio non far partecipare i giornalisti alle proprie assemblee? Non hanno nulla da nascondere, non si esporrebbero, cosa gli costerebbe? L'autogestione non è una cosa privata, ma per tutti quelli che lo vogliono».