Pene di 28 e 12 mesi rispettivamente all'imprenditore 47enne e al fiduciario 51enne che hanno ottenuto indebitamente 660'000 franchi. Assolto il 67enne.
«La loro colpa è gravissima, in particolare dal profilo soggettivo». Si è concluso con due chiare condanne il processo alle Assise criminali di Lugano a carico di un imprenditore 47enne e del suo fiduciario 51enne: la Corte presieduta da Amos Pagnamenta ha condannato il primo a ventotto mesi – venti dei quali sospesi per un periodo di prova di due anni – e a dodici mesi integralmente sospesi il secondo. Assolto invece il contabile 67enne. Il processo iniziato ieri, ricordiamo, rappresenta il più importante emerso sinora in Ticino nell'ambito delle truffe legate ai cosiddetti crediti Covid: 660'000 i franchi ottenuti indebitamente tramite due prestiti – elargiti dalle banche sulla base di bilanci falsi –, 170'000 dei quali mancano ancora all'appello.
«I bilanci erano falsi e lui (il 47enne, ndr) non poteva non saperlo – ha premesso il giudice –. Non poteva non conoscere la reale condizione della società. Avrebbe dovuto rendersi conto che l'utile indicato sul bilancio non era verosimile, in quanto lui stesso ha affermato che era cosciente che c'era qualcosa che non andasse in quel bilancio». Pagnamenta ha sottolineato che il caso in oggetto sarebbe stato considerato dalla Corte come una truffa anche al di fuori della tipologia di credito Covid, ma è proprio quest'ultima caratteristica ad aggravare i fatti. «Visto il clima che regnava la scorsa primavera si era consapevoli che il grado di vigilanza non era particolarmente elevato. Dal profilo oggettivo, in ragione della cifra malversata (i 170'000 franchi, ndr) la colpa è di media gravità. Ma è gravissima dal profilo soggettivo: l'uso del denaro che è stato fatto».
Il giudice ha sottolineato infatti che l'imputato principale «ha inteso ottenere denaro facilmente per avviare un business e soprattutto concedersi dei lussi (come auto e orologi, ndr). Ha impiegato questi soldi a proprio beneficio e non certo nell'interesse della comunità, quale era lo scopo della Confederazione». Per la Corte si tratta di un «comportamento che va a minare una delle fondamenta del nostro Paese: la fiducia reciproca fra Stato e cittadini. l'egoismo mostrato è semplicemente inqualificabile». Considerato inoltre che «il prestito Covid riveste tutte le caratteristiche di ammortizzatore sociale» e che l'imputato, un cittadino italiano di origine mediorientale e benestante, «non ha nessun legame con la Svizzera e svolge attività nebulose, per usare un eufemismo (c'è il sospetto che una delle due società a lui riconducibili fosse attiva sul fronte del riciclaggio, ndr)» è stata anche pronunciata nei suoi confronti l'espulsione per cinque anni: «Nel nostro Paese non c'è spazio per persone che approfittano degli aiuti della Confederazione».
Condannato come detto anche il 51enne. «Per lui valgono le stesse considerazioni – ha detto il giudice –, ma la sua partecipazione è stata giudicata di grado medio-basso: ha agito a favore dell'amico con un guadagno relativo. Non è credibile che non abbia visto i bilanci né che non fosse a conoscenza della reale situazione economica delle società, a maggior ragione se hanno compilato assieme i formulari per la richiesta dei finanziamenti. Ha negletto il suo dovere di verifica». Sul suo capo hanno pesato anche una scarsa collaborazione e il fatto che non abbia, a differenza del 47enne, «intrapreso nessun passo per risarcire il danno». La pena è tuttavia integralmente sospesa trattandosi di un incensurato. Integralmente assolto infine il contabile 67enne, che tuttavia per la Corte ha peccato di leggerezza: «Tenere la contabilità non significa allestire un bilancio inserendo numeri a caso».
Ieri in aula il procuratore pubblico Daniele Galliano ha invocato tre anni di condanna per il 47enne, diciotto mesi per il 51enne e cinque per il 67enne. Mentre le difese – gli avvocati Walter Zandrini, Nadir Guglielmoni, Sandra Xavier e Raffaele Caronna – hanno chiesto massicce riduzioni di pena o assoluzioni, a seconda dei casi.