Chieste pene fino a tre anni per i tre imputati. Il procuratore pubblico: 'Mentre la gente soffriva negli ospedali, si arricchivano'
«L'uso fatto dai prestiti lascia di stucco». Oltre ai reati in sé, per il procuratore pubblico vi è anche una componente morale nella truffa legata ai crediti Covid, commessa da un 47enne in correità con un 51enne. «Mentre si soffriva negli ospedali – ha detto Daniele Galliano –, mentre le terapie intensive erano allo stremo, i confini chiusi e i commercianti facevano fatica, lui si arricchiva. Lo scopo del prestito era evitare il fallimento, non avviare un business con i soldi dello Stato. Ha avuto un comportamento egoista e meschino, tra l'altro nei confronti di uno Stato che lo stava ospitando, e l'ha fatto consapevolmente». Nella requisitoria si è ricostruito il presunto modus operandi degli imputati, che avrebbero utilizzati i crediti da un lato per un fittizio commercio di mascherine e guanti di lattice e dall'altro per arricchirsi personalmente, con regali di lusso quali auto e orologi.
«Sono stati preparati dei bilanci sulla base del nulla, con appunti scritti a mano e delle note sul cellulare. Non c'è stata alcuna serietà, neanche da parte del fiduciario (il 51enne, ndr) – ha evidenziato il pp –. Hanno ingannato le banche, fornendo dati inventati. La colpa del 47enne è oggettivamente e soggettivamente molto grave. Vi è sì stata una collaborazione, ma le sue dichiarazioni non sempre sono state lineari». Galliano ha tuttavia riconosciuto all'imputato il gesto di aver «già rimborsato una larga parte del denaro (490'000 franchi, ndr) ottenuto», a differenza invece del 51enne. Quest'ultimo «ha accettato di scrivere bilanci fittizi, senza registrazioni contabili. Nessuna attenuante per lui, non ha collaborato con gli inquirenti fornendo versioni non credibili». Colpa «nettamente inferiore» infine per il 67enne, definito «solo un partecipante accessorio», essendosi prestato anche lui a stilare due bilanci fittizi.
Differenti evidentemente anche le richieste di pena. Tre anni, dei quali cui dieci mesi da espiare e il resto sospesi per due anni, per il 47enne. Si aggiungono poi una pena pecuniaria di 180 aliquote giornaliere da 30 franchi e una multa da 5'000 franchi per esercizio abusivo della professione e l'espulsione dalla Svizzera per sette anni, «che si giustifica dalla gravità dei reati commessi». Diciotto mesi sospesi per due anni invece per il 51enne, come anche una multa da 20'000 franchi per l'esercizio abusivo della professione, dato che «era cosciente che era necessaria un'autorizzazione essendo stata un'attività che ha svolto in precedenza». La pena chiesta per il pensionato infine è di 150 giorni sospesi per due anni e 5'000 franchi di multa.
Durante la fase istruttoria i tre imputati si sono parzialmente rimpallati le responsabilità. «Mi sono fidato di persone sbagliate, non conosco bene la legge» ha detto il 47enne, ammettendo sostanzialmente i fatti ma contestandone la qualifica giuridica e quindi il reato. Secondo lui, una colpa l'avrebbe in parte anche un quarto uomo, un egiziano residente in Egitto, presidente del Cda di una delle due società che hanno ricevuto i crediti: «Con lui i rapporti si sono raffreddati, ha smesso di rispondermi alle richieste che gli facevo. Io non capisco nulla di numeri, delle cifre si sono sempre occupati gli altri». Secondo l'uomo inoltre, per le spese di lusso contestategli sarebbero stati utilizzati soldi dei crediti: semplicemente questi sarebbero confluiti su conti già accesi dalle due società, mischiandosi ad altro denaro lì già presente.
E mentre per il 47enne l'idea di richiedere i prestiti sarebbe stata del 51enne, quest'ultimo sostiene l'esatto contrario. «Dal 2018 eravamo diventati molto amici, facevo tutto per lui – ha ammesso –. È vero, non ho fatto verifiche sui dati che ricevevo. Ma lui si è presentato, dopo aver parlato con un consulente bancario, dicendo di volere il credito e io gli ho detto 'non mi sembra il caso'. Mi ha poi detto che non avrebbe utilizzato i prestiti Covid, ma li avrebbe presi solo come garanzia, per una questione di sicurezza». Infine, il 67enne ha contestato il reato di esercizio abusivo della professione di fiduciario, sottolineando che si è limitato a inserire i dati che gli venivano trasmessi.