laR+ Lupo in Vallemaggia

‘Intervento urgente e drastico per salvarci dall'abbandono’

Tradizioni e cura del territorio nella lettera al Consiglio di Stato del Municipio di Bosco Gurin: ‘Lupi problematici da abbattere’

Capre all’alpe Mergozzo
29 agosto 2024
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“Un intervento urgente e drastico da parte del Cantone, consistente nell’abbattimento dei lupi problematici (per la Valle Rovana, in particolare il cosiddetto ‘branco dell’Onsernone’) al fine di poter mantenere quanto ereditato dagli avi e salvare le zone periferiche dal totale abbandono”.

Si amplia il coro di sofferenza proveniente dall’Alta Vallemaggia in relazione alla problematica del lupo. A stretto giro di posta dopo l’allarme lanciato martedì da Ascovam, Unione contadini, Alleanza patriziale ticinese, Società ticinese di economia alpestre, Giovani contadini ticinesi e Società agricola valmaggese – tutti preoccupati per il futuro dell’economia alpestre – si leva la voce del Municipio di Bosco Gurin, mittente, come qualche giorno fa il suo omologo di Lavizzara, di una lettera al Consiglio di Stato.

‘Proprietari estenuati’

La missiva rileva innanzitutto la “seria preoccupazione” per la sempre più marcata diffusione del lupo e ricorda il susseguirsi di attacchi di lupi “alle greggi di bestiame minuto (pecore, lama, asini, capre) estivato sui pascoli montani, con ingenti perdite” e “agli ovini, che dai tempi remoti avevano frequentato i pascoli più alti”. Attacchi in seguito ai quali “i proprietari, estenuati, si sono arresi: le pecore superstiti hanno lasciato Bosco Gurin già a inizio estate, pochi giorni dopo il loro arrivo”. Di pochi giorni fa l’ultima predazione, con la perdita di una decina di caprini, avvenuta in pieno giorno sull’alpe Grossalp; alpe su cui già da alcuni anni “gli animali, contrariamente alle loro abitudini ma con lo scopo di proteggerli, vengono rinchiusi durante le ore notturne”, con conseguente compromissione dell’estivazione di capre.

Il lavoro degli antenati

Il ragionamento del Municipio di Bosco affonda nelle tradizioni: “L’agricoltura di montagna è possibile grazie all’immane lavoro delle generazioni di antenati che ci hanno preceduto, i quali hanno saputo reagire di fronte ai pericoli e adattarsi al territorio aspro e impervio, rendendolo fertile e vivibile anche in condizioni estreme. Le tradizioni, i gesti, i valori della cultura alpina, maturati nei secoli, si sono trasmessi sino ai nostri giorni e sono parte integrante della storia del nostro Cantone. Rappresentano un’eredità di cui andare fieri, un patrimonio degno di essere salvaguardato. Fare il contadino di montagna, essere alpigiano non è un semplice mestiere, ma una filosofia di vita, una vocazione”.

Lasciare le valli alla mercé dei lupi “avrebbe come conseguenza il progressivo abbandono di queste zone, significherebbe cancellare per sempre le nostre radici”. Ne subirebbero le conseguenze le famiglie di allevatori, ma ciò andrebbe anche a discapito del “benessere animale, privato della libertà di brucare sui pascoli. Anche e soprattutto verranno a mancare i prodotti di ottima qualità e molto ricercati, derivanti dalla possibilità per il bestiame di nutrirsi di erbe e fiori alpini, come i vari latticini, in particolare il molto apprezzato formaggio Vallemaggia, e la carne di produzione locale”.

‘Senza allevatori, bosco padrone’

Inoltre, pagherebbero la biodiversità e la cura del territorio, con un rischio accresciuto di scivolamento della neve in inverno. “Se dovesse venire a mancare il lavoro degli agricoltori, in poco tempo il bosco prenderebbe il sopravvento, rendendo i territori montani inospitali e cancellando per sempre il paesaggio antropico costruito nei secoli, al cui mantenimento lo stesso Cantone e la Confederazione hanno da sempre contribuito, ad esempio investendo nella ristrutturazione e modernizzazione di alpeggi e stalle. Ciò nuocerebbe gravemente anche al settore turistico, ramo fondamentale per l’economia dei Comuni vallerani”.

La testimonianza

‘Dentro i recinti metteranno noi’

Mercoledì a Lodano, durante l’incontro convocato dall’Ascovam, ha portato la sua testimonianza Valerio Tabacchi, che già il 20 agosto ha scaricato 70 capre dall’alpe Zaria. La riportiamo testualmente.

«Nel mese di agosto ho avuto tre attacchi. Mi è sembrato di avere un ladro in casa. Dopo il terzo ho deciso di scaricare l’alpe e fare solo il formaggio di mucca. L’anno prossimo non so come andrà: ci penserà poi mio figlio, perché io sarò in Avs. Ma è un peccato e credo che valga la pena parlare del formaggio Valmaggia. Non lo abbiamo inventato perché è più buono con il latte di capra: è stata la necessità dei nostri piccoli alpi, che ha spinto la gente a tenere più capre che vacche. D’inverno le vacche le mandavan giù dai contadini del piano e ne tenevano poche, quelle necessarie per mantenere la famiglia, mentre le capre si arrangiavano di fuori fino a Natale, poi stavano in stalla quei due o tre mesi. Costava poco e d’estate ti riempiva la caldaia. Io mi ricordo da ragazzo: andavo a prenderne 190-200 e mungevamo 7-8 secchi per persona di latte di capra e con quello riempivamo le caldaie.

Poi c’è un altro discorso da fare: il pascolo. Il pascolo delle capre è quello lontano, fuori dal pascolo delle vacche. Da ragazzi, dopo la mungitura, ci mandavano a spingere le capre fuori dall’erba delle vacche. Non si poteva lasciar mangiare alle capre l’erba delle vacche, perché se no li sentivi, il casaro e il pastore. Anche adesso, quando siamo nei corti in basso, a 1’500-1’600 metri, le vacche mangiano l’erba un po’ matura mentre le capre sono già su a 2’300-2’400 metri e mangiano i fiori, mangiano le erbe che trovano su. Arriva da lì, l’aroma del latte di capra che viene portato nel formaggio: quella è la particolarità del Valmaggia.

Non è per i soldi che lasci in giro le capre, perché poi tanto te le pagano. Sono forse il capraio più vecchio d’Europa, ho 64 anni e vado ancora a prendere le capre tutte le mattine. Ma è un piacere per me arrivar su: vedi l’alba che ti nasce, il sole, le capre che ti vengono incontro quando le chiami. Ho fatto un’estate da crepare, a tirarle giù dalle creste tutte le mattine. Vanno in cresta a dormire perché sono impaurite. Ho messo il Gps per vedere dov’erano: una mattina me le dava a 2’560 metri. Lassù non c’è niente da mangiare. Come le tiri giù, dopo mezz’ora cominciano a mangiare tranquille solo perché sei lì assieme a loro. Non è più un lavoro da tirare avanti, questo. Mi spiace per i giovani che cominciano. I nostri politici arrivano in valle a vedere i disastri con la loro bella felpa rosa e le scarpe di vernice. Che mettano su gli scarponi, una volta, e vengano sugli alpi a vedere i lavori che ci sono da fare. Dicono di proteggerle, che i numeri non ci sono, che diminuiscono le predazioni. Io ne ho annunciata solo una perché tanto non fanno niente. Anche se me ne ammazzano dieci c’è sempre una scusa per non tirar via il lupo. Nel prossimo recinto metteranno noi, per tenerci dentro, tranquilli. Così non parleremo più».

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