Dopo il ‘no’ in legislativo alla mozione sulla parità di genere, il vicesindaco di Locarno torna sugli impegni e sulle ombre delle certificazioni
«Questa sera non discutiamo di aiuti concreti alle donne di Locarno. Questa sera discutiamo sulla forma, sull’adesione a procedure di analisi e rendicontazione di vario genere. Ebbene, noi, come Municipio, preferiamo concentrarci sulla sostanza anziché sulla forma o, meglio, preferiremmo discutere sulla parità di genere nella sostanza, anziché partecipare alla gara a chi si dice più virtuoso». È in queste poche righe il senso del distinguo operato lunedì in Consiglio comunale dal vicesindaco di Locarno Giuseppe Cotti, a nome del suo Municipio, per giustificare il “no” alla mozione sull’adesione alla Carta europea per l’uguaglianza e la parità delle donne e degli uomini nella vita locale.
Cotti doveva rispondere alle critiche di scarsa sensibilità emerse da più parti – indirettamente anche dalla Legislazione, che era favorevole alla mozione Sirica e cofirmatari – e portate anche da diverse persone giunte a Palazzo Marcacci.
Se nella sua presa di posizione sul tema il Municipio aveva in un primo momento puntato molto sulla mancata sostenibilità economica del processo di adesione alla Carta europea, in seduta Cotti ha allargato l’orizzonte puntualizzando innanzitutto che «il Municipio è favorevole alla parità di genere», partendo da ciò che la Città già fa per favorirla. Ovverosia, aveva ricordato, «garantiamo la parità salariale; favoriamo, laddove è concretamente possibile, l’impiego a tempo parziale; è tematica giornaliera la concessione di congedi retribuiti e non retribuiti; sosteniamo gli asili nido, sia quello comunale, sia gli altri presenti sul territorio, così come i servizi extrascolastici – tra l’altro, in prima regionale, quest’anno abbiamo aperto una sezione dell’asilo durante le vacanze scolastiche, offrendo un sostegno concreto alle famiglie, per un accesso equo di entrambi i genitori al mondo del lavoro; e abbiamo adottato una serie di direttive interne, in particolare l’Ordinanza municipale concernente le molestie sul posto di lavoro».
E allora, ha proseguito, «di cosa stiamo parlando? Non di misure concrete a favore della parità di genere, ma della richiesta di aderire alla Carta europea: un processo formale piuttosto laborioso, che crea molta burocrazia ma nessun cambiamento immediato nel mondo reale. Parliamo dell’ennesima certificazione, dell’ennesimo label, vera passione della politica ticinese. Potremmo discutere a lungo di queste etichette, e soprattutto del business che vi ruota intorno. Non ci piace l’idea di caricare sulle spalle dell’Amministrazione un altro processo di analisi e rendicontazione, sprecando risorse considerevoli. Il Municipio lavora così perché cerca di non dimenticare mai che le nostre risorse umane sono pagate dal contribuente, che in alcuni settori sono già state ridotte al minimo, che quindi abbiamo il dovere anche morale di impiegarle nel modo più efficace possibile. Non intendiamo aggiungere un altro processo burocratico per la paura di sfigurare nel confronto con altri Comuni».
Concludendo, per il vicesindaco, «si tratta di una questione di onestà intellettuale. In futuro non vorremmo trovarci nella stessa situazione di altri Comuni, come Bellinzona, che ha sottoscritto questa Carta nel 2007 ma che non ha ancora avviato il processo formale che la Carta richiede. E non sto insinuando che a Bellinzona manchi la buona volontà: al contrario, la loro esperienza ci dimostra quanto complicata si possa rivelare l’adozione di questo genere di strumento».
A bocce ferme la ‘Regione’ ha raggiunto il vicesindaco per qualche chiarimento supplementare.
Giuseppe Cotti, lei ha parlato di “business dei label”. Una definizione forte.
Quando sollevo la questione del “business” legato a queste certificazioni, lancio una provocazione per arrivare a discutere sulla loro reale utilità. Sebbene all’inizio queste certificazioni possano sembrare un segno di impegno per la qualità, la parità e la sostenibilità, è molto importante analizzare attentamente gli effetti che possono avere sulle organizzazioni coinvolte, compresi i Comuni.
Che genere di effetti?
In primo luogo, il processo di ottenimento di una certificazione, che sia una certificazione Iso, il riconoscimento di Città dell’energia o Comune amico dei bambini, può trasformarsi in una burocrazia costosa e complessa. I Comuni e le aziende devono investire notevoli risorse finanziarie, umane e di tempo per conformarsi agli standard, assumere consulenti esterni e gestire audit e verifiche. Questo può determinare un carico veramente eccessivo su un Comune e i suoi collaboratori. E non è ancora tutto.
Dica.
Spesso il conseguimento di una certificazione diventa uno scopo fine a sé stesso per molte organizzazioni, piuttosto che un mezzo per migliorare effettivamente le proprie prestazioni. In altre parole, il processo di ottenimento di una certificazione può spingere gli enti a concentrarsi sull’aspetto formale anziché sul reale miglioramento delle proprie pratiche. L’obiettivo principale diventa superare l’audit per ottenere il riconoscimento ufficiale, invece di concentrarsi sullo sviluppo di soluzioni innovative e sostenibili. Senza dimenticare che tali certificazioni rischiano di creare aspettative eccessive, che a volte non vengono soddisfatte. A questo aggiungo la constatazione che non di rado si instaura il cosiddetto fenomeno della “certificazione-washing”, dove le aziende cercano di migliorare la propria immagine pubblica attraverso una certificazione, senza un autentico impegno verso gli obiettivi fissati.
Ma non si può generalizzare, ovviamente.
Chiaro. Non intendo assolutamente affermare che questa sia sempre la situazione. Nel caso specifico di Locarno, il label Città dell’energia è stato ad esempio accompagnato da numerose misure concrete a favore della sostenibilità energetica e ambientale. Ma c’è un “ma”.
Ovvero?
Ritengo che il merito di tali azioni vada principalmente attribuito alla convinzione e all’impegno concreto di alcuni collaboratori dell’Amministrazione, i quali assumono un’importanza decisamente maggiore rispetto alla “semplice” certificazione ottenuta. Sono consapevole che il tema è complesso e può scatenare un dibattito infinito. Ma personalmente credo sia più importante per un Comune agire in modo concreto e dimostrare i risultati ottenuti, anziché limitarsi alla forma. O, detto altrimenti, meglio “fare bene e parlarne” piuttosto che “parlare di fare bene”. Su questo punto, il Municipio ha dimostrato un reale impegno, a partire dalla parità di genere.