Una mostra didattica allestita al Museo di Loco racconta gli epocali cambiamenti nel lavoro dei taglialegna lungo i secoli
Fin dai tempi più antichi, il lavoro nei boschi ha interessato le popolazioni delle valli e delle montagne. Territori non di rado inospitali, poveri di terreni agricoli pianeggianti e di risorse naturali, oltre che di sbocchi d’impiego. Per queste comunità, tuttavia, il legno ha sempre rappresentano un punto di riferimento importante per l’economia locale. I boschi di faggio, castagno, di abete, fornivano segati di ottima qualità e legna da ardere per riscaldare le abitazioni, oltre a permettere la produzione di utensili di vario genere. Proprio al lavoro dei boscaioli nel corso dei secoli dedica un’interessante mostra temporanea il Museo Onsernonese a Loco. Inserita nell’ambito del progetto “Onsernone ieri e oggi – trasformazioni nel Novecento”, l’esposizione inaugura un nuovo ciclo di piccole mostre tematiche con le quali si desidera, di volta in volta, approfondire argomenti particolarmente significativi per illustrare i profondi cambiamenti che la valle ha conosciuto nell’ultimo secolo o poco più.
La prima di queste proposte, dunque, è consacrata a uno dei mestieri maggiormente trasformati dall’evoluzione delle tecniche e degli attrezzi da lavoro avvenuta nel corso del XX secolo: quella del boscaiolo. La scelta del sottotitolo, “Dal troncon e la sovenda, alla motosega e l’elicottero”, richiama infatti, secondo i promotori, una delle tante declinazioni delle trasformazioni epocali avvenute in pochi decenni nel Novecento. È infatti evocativo pensare, ad esempio, come nel corso della propria vita professionale un boscaiolo attivo dagli anni ‘30 agli anni ’70 abbia tenuto tra le mani attrezzi di lavoro provenienti da due “mondi” la cui distanza sembrerebbe essere ben maggiore di quella della vita di un uomo. La produzione di legname, ha inoltre sempre richiesto grossi sacrifici, sia in termini di fatica, sia di condizioni lavorative, spesso massacranti e pericolose. Il legname raccolto (le famose bore, tronchi) veniva poi trasportato in vari modi a valle; a volte a spalla, con grandi fatiche, altre volte con animali. Oppure con il filo a sbalzo, più comodo ma non sempre sicuro. Veniva poi utilizzato come legna da fuoco, per la costruzioni delle case e delle stalle, per ricavare i mobili e gli attrezzi di uso quotidiano, nei forni per la realizzazione della calce e le carbonaie (si trasformava in carbone la legna ottenuta dagli alberi).
Di proprietà di Comuni e dei Patriziati, le superfici boschive costituivano una fonte entrata importante per tutti. L’apice dello sfruttamento del legname lo si raggiunse, nel caso dell’Onsernone, nell’Ottocento, quando vari commercianti ottennero i diritti di taglio. Le foreste brulicavano di squadre di giovani e meno giovani che tagliavano, segavano, accatastavano tutto il giorno e tutta la settimana. Gli attrezzi impiegati erano l’accella, il segone per i tagli trasversali, la sega (resiga), i cunei, la sovenda. Le braccia, le gambe e i piedi dei boscaioli venivano sottoposte a terribili sforzi ed è per questa ragione che il mestiere era riservato a gente forte di costituzione e coraggiosa. La conoscenza dei periodi e delle condizioni ambientali necessarie al taglio erano fattori d’importanza basilare e frutto di esperienze secolari tramandate di padre in figlio. Quando il luogo del taglio distava molto dal paese, la squadra dei boscaioli non di rado si tratteneva sul posto, alloggiando in edifici rurali di fortuna per diversi giorni prima di scendere a valle.
La costruzione della strada carrozzabile diede ulteriore impulso allo sfruttamento di questa materia (basti pensare che nel solo paese di Comologno, attorno alla metà del XIX secolo si contavano 70 boscaioli e 30 carbonari). Per evitare danni al patrimonio boschivo, nel 1876 venne introdotta la Legge federale sulla polizia delle foreste nelle regioni elevate, che evitò scempi e danni al paesaggio naturale, regolamentandone l’attività di esbosco e sfruttamento. Grazie a sistemi di gestione più consoni, fu possibile continuare a produrre legname e derivati ancora per un secolo. Fu nel dopoguerra che questa attività perse d’interesse. I boscaioli, custodi indomiti dei boschi della valle, si dovettero confrontare con i nuovi macchinari. L’attrattiva per il lavoro di fatto scomparve, soppiantata da altre professioni meno pericolose e dure e meglio remunerate.
A Loco, una serie di straordinarie foto e una raccolta di utensili sono pronte a raccontare al visitatore la vita dei tagliaboschi mentre abbattevano e trasportavano enormi alberi con il solo uso della loro forza e di quella degli animali da traino, i predecessori degli attuali trattori.
La mostra rimarrà aperta fino al 31 ottobre. In precedenza, a inizio mese, verrà inaugurato, al secondo piano della sede museale, il nuovo spazio dedicato all’ultimo secolo. All’interno ci sarà di volta in volta un approfondimento tematico temporaneo.