La sindaca di San Vittore fa mea culpa sui sorpassi di spesa e le procedure sbagliate ravvisati da Coira ma senza infrazioni sanzionabili
Se davvero esiste la politica di milizia, allora un posto in prima fila lo merita Nicoletta Noi-Togni. Granconsigliera mesolcinese a Coira per 29 anni fino alla scorsa primavera, dapprima come socialista e poi come indipendente, dal gennaio 2017 è sindaca di San Vittore, «la stessa funzione che mio padre aveva a lungo ricoperto nel secolo scorso». La testimonianza s’inserisce nel dibattito lanciato dal nostro giornale intervistando alcuni deputati uscenti ticinesi che in vista delle elezioni cantonali del 2 aprile hanno deciso di non più ricandidarsi per vari motivi, il più delle volte evidenziando quanto sia gravoso alla lunga il ruolo di chi si sbatte fra tanti impegni pubblici e privati, diviso tra professione, famiglia e quel che resta del tempo libero. Nel dibattito il deputato e sindacalista Matteo Pronzini ha dal canto suo ravvisato un diffuso approccio troppo blando al ruolo di granconsigliere, mentre l’avvocato Marco Züblin ha rimarcato le derive della politichetta laddove troppo attenta al tornaconto personale.
C’è poi chi, come Nicoletta Noi-Togni, il mandato pubblico lo ha vissuto e lo sta ancora vivendo in un misto fra irrinunciabile missione nonostante i mille grattacapi e allettante professione anche se priva di formazione e in molti casi dotata di magro salario. Attacca ricordando la sua prima candidatura come supplente granconsigliera grigionese, carica ricoperta per due anni prima di diventare deputata a tutti gli effetti: «Mi ero messa in lista quasi ‘per gioco’, mentre il destino mi aveva fatto iniziare il cammino che sarebbe diventato uno dei miei cammini di vita. Ben presto capii che ‘il gioco’ era finito». Tutt’oggi si schiera con chi considera la politica di milizia un mestiere a tutti gli effetti, pur avendone ‘a latere’ uno proprio: «Ma le almeno 15 elezioni che ho affrontato dimostrano la precarietà di questa professione. D’altronde, altre cose stanno a dimostrare che vera professione non è. A partire dalla scuola per prepararsi al ruolo che si andrà a ricoprire: una scuola che non c’è. Si deve imparare cammin facendo e quindi trovarsi sulle sabbie mobili che possono cagionare errori, specie negli organi esecutivi che sono ben altra cosa rispetto a quelli legislativi se si pensa solo alla responsabilità che si ha».
C’è poi il fatto della continuità, «che dipende anch’essa dalle elezioni perché se non si risulta più eletti, da un giorno all’altro bisogna abbandonare idee e progetti». E, come detto, per i municipali «c’è lo svantaggio di un minimo di remunerazione, a San Vittore ridotta a qualche migliaio di franchi annui a fronte di un impegno quasi quotidiano. Una retribuzione ridotta ai minimi termini e che indica chiaramente il carattere di non professionalità del ruolo politico che si riveste. La questione, per me non troppo rilevante, è comunque da esaminare per il futuro». Altre condizioni, aggiunge ancora, sottolineano questa realtà: «Per esempio come sindaca non dispongo di un posto di lavoro nella casa comunale e il nostro regolamento prescrive per i municipali una sola ora di presenza in cancelleria per settimana».
Tutti elementi – sottolinea – che sono indotti dallo stesso concetto di milizia: «Una forma particolare di volontariato che, ribadisco, non distingue tra legislativi ed esecutivi. Soprattutto vengono messi alla prova i sindaci e municipali dei Comuni medio-piccoli che non dispongono di un apparato amministrativo sviluppato e che si vedono, malgrado ciò, investiti delle stesse mansioni istituzionali dei Comuni grandi. Non c’è quindi da meravigliarsi se molti eletti lasciano abbastanza presto la carica, che è affatto onorifica, sebbene all’inizio rassicurati dallo stesso concetto di milizia che non lascia trasparire l’effettivo grado di responsabilità che il singolo va ad assumere». Non sarebbe allora il caso, chiediamo, d’introdurre nei Comuni almeno il semiprofessionismo? «Solo il 17% dei Comuni in Svizzera lo pratica e un 2% il professionismo vero e proprio, che rischia di minacciare la democrazia e ridursi a tecnocrazia. Chiedo invece che ci sia consapevolezza del problema e soprattutto comprensione, sostegno e non solo giudizio».
Cosa intende concretamente? «Alcune situazioni verificatesi a San Vittore durante il mio mandato di sindaca indicano la necessità di predisporre, gestita dai servizi cantonali, una formazione iniziale. La ritengo necessaria per aiutare chi si approccia alla carica ad acquisire le nozioni di base utili a prendere coscienza dell’importanza di molteplici aspetti tipici di un organo esecutivo, specialmente tecnici e formali, e ad affrontare con avvedutezza le questioni più importanti. Penso in particolare alla gestione finanziaria, agli investimenti e all’evoluzione dei progetti. In questo senso è un po’ riduttiva la recente campagna di ‘arruolamento’ lanciata dall’Ufficio dei Comuni intitolata ‘Diventa anche tu sindaca’. Giusto invitare le persone e le donne a mettersi in gioco, sbagliato far credere loro che si tratti di un compito che tutti possono da un giorno all’altro svolgere perché di milizia».
Quanto a San Vittore, cos’è successo? «L’Ufficio dei Comuni, sollecitato in tal senso dalla Commissione della gestione, l’anno scorso ha effettuato una pratica di vigilanza dalla quale emerge che in quattro occasioni sono state superate le competenze finanziarie del Municipio non avendo esso debitamente coinvolto l’Assemblea comunale per le decisioni di merito. A mio avviso, tirate le somme, è comunque buono il risultato ottenuto. Complessivamente i sorpassi di spesa (per opere eseguite e oggi funzionanti) si riducono a 54’145 franchi invece degli 810’000 che mi sono stati erroneamente imputati con informazione pubblica e invii di volantini nelle case del paese. Resta il fatto, come stabilito dall’Ufficio dei Comuni e ratificato tramite decreto governativo, che certe procedure sono risultate non corrette. Errori che io stessa ho commesso in buona fede, senza esserne consapevole ma affidandomi – e questo per me è di fondamentale importanza – al buon senso e operando in favore del bene pubblico. Sono forse stata una sprovveduta? Sta di fatto che Coira non ha ravvisato infrazioni sanzionabili».
Lei fa mea culpa, ma ha delle scusanti? «Nel 2017 la compagine entrata in carica con me era nuova per quattro quinti, peraltro con tre donne in maggioranza. Squadra inesperta sull’iter da seguire in casi di difficile approccio. Nessuno ci ha indirizzato, consigliato. E sono stata denunciata, anche penalmente. Infatti una cosa dev’essere chiara: entrare in un organo esecutivo di milizia significa, prima o poi, finire sul banco degli imputati e venire pesantemente criticati e insultati. E questo è profondamente ingiusto. Ma io sono ancora qui, con un moltiplicatore d’imposta al 75% (fino al 2018 era al 90%), con lo stesso capitale proprio di 4 milioni che c’era a inizio mandato, con diverse opere pubbliche realizzate e altre avviate, e con obiettivi di bene comune raggiunti».