Condannato un giovane affetto da una turba psichica che nel 2020 minacciò il papà: voleva che riconoscesse il dolore arrecato a lui e ai fratelli
Armato di un coltello da cucina è arrivato a casa dei suoi genitori con uno scopo preciso: costringere il padre a chiedere scusa a lui, ai suoi fratelli e alle sue sorelle per i maltrattamenti subiti nell’arco degli anni. Ha fatto sedere il papà su una sedia, lo ha dapprima minacciato verbalmente prima di estrarre la lama e puntargliela alla gola, salvo poi gettarla dopo pochi secondi e cercare di allontanarsi venendo però bloccato e trattenuto dal fratello fino all’arrivo della polizia. Per la giustizia ticinese, essendoci state in quella sera del 1° novembre del 2020 le circostanze affinché la situazione degenerasse per esempio a causa di una reazione del genitore, è colpevole di esposizione a pericolo della vita altrui il 22enne condannato oggi dalla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani.
Dietro la brutta vicenda si cela una situazione familiare e personale decisamente complicata. Durante la fase dibattimentale il giudice Ermani si è focalizzato a lungo sullo stato di salute del giovane, il quale soffre di una turba psichica dovuta a una disturbo della personalità e al consumo di alcol e sostanze stupefacenti. «Avevo problemi di dipendenza, in particolare con l’alcol. Sono sempre stato una persona calma, i veri problemi sono arrivati dopo i 18 anni, quando ho cominciato a bere di più. Ogni sera ero ubriaco e spesso usciva la mia impulsività», ha dichiarato in aula l’imputato. Qualche mese prima dei fatti del 1° novembre aveva persino pensato di farla finita, commettendo il secondo, grave, reato per il quale è stato giudicato colpevole: in una notte di febbraio del 2020 aveva tentato di togliersi la vita mentre si trovava alla guida della sua macchina, perdendo però il controllo del mezzo e andando – dopo avere invaso la corsia – a collidere contro un’altra vettura. Quest’ultima era finita contro il guardrail a più di 60 metri dall’impatto: fortunatamente la donna che si trovava al volante non aveva riportato ferite. «Ha rischiato di fare del male a tante persone che non c’entravano assolutamente niente», ha affermato Ermani, il quale ha sottolineato come nell’eventualità di una tragedia sarebbe stato difficile limitarsi a configurare l’omicidio colposo. «Mi rendo conto della pericolosità delle mie azioni – ha risposto l’imputato, dettosi pentito e molto dispiaciuto per quanto accaduto –. Quella notte il mio malessere era dovuto a una situazione sentimentale».
Il processo si è tenuto oggi davanti alla Corte delle assise criminali di Blenio (Ti-Press)
Ermani è poi tornato sui fatti del 1° novembre. «Due settimane prima, a casa mia, ho avuto un acceso litigio con mia padre. Ho iniziato a rimuginare ed è uscita una rabbia che fino a quel momento non avevo manifestavo. Mi sono davvero reso conto che tanto del mio malessere ero dovuto a mio papà e che volevo le sue scuse, anche a costo di fargli paura. Quando sono arrivato a casa dei miei genitori non avevo bevuto ma ero molto arrabbiato e non ero comunque lucido. Quando ho tirato fuori il coltello lui è rimasto pietrificato. Mi sono reso conto di quello che stavo facendo, ho gettato il coltello e ho cercato di andarmene».
Ovviamente senza giustificare la minaccia, il presidente della Corte ha condannato con fermezza l’agire del padre, peraltro giudicato colpevole per quanto subito dai figli nell’ambito di un procedimento penale. «Pretendeva ordine e usava la violenza come sistema», ha detto il giudice, citando in seguito un passaggio di una lettera scritta da uno dei figli: “Papà ci gonfiava di botte”. Ermani ha parlato di episodi «abbastanza inquietanti». «Si arrabbiava per delle stupidaggini, per cose futili – ha confermato il giovane –. La frequenza con cui ci picchiava dipendeva dal periodo, dal suo umore». Il 22enne, che ha scontato 60 giorni di carcere in regime di espiazione anticipata della pena prima di essere trasferito in un centro terapeutico, ha raccontato che oggi i rapporti col padre sono inesistenti.
L’avvocato difensore Marco Masoni e il procuratore pubblico Zakaria Akbas si sono accordati per una pena detentiva di tre anni e mezzo, interamente sospesa al beneficio di un percorso terapeutico e ambulatoriale in una struttura specializzata. La Corte (giudici a latere Carlo Luigi Caimi e Luca Zorzi) ha confermato la richiesta delle parti, tenendo conto della sua giovane età e della stato di scemata imputabilità in cui ha agito (così come stabilito da una perizia psichiatrica). «Chi commette reati simili, normalmente va in prigione», ha affermato Ermani, aggiungendo che la Corte ha valutato anche l’auspicata utilità del trattamento stazionario. «Questa è un’opportunità che le viene offerta; non sarà facile, adesso arriva il momento più impegnativo, ma la Corte è convinta che lei ha le capacità per camminare in futuro con le proprie gambe e convivere con la sua problematica», ha aggiunto il giudice, ricordando all’imputato che ci sarà la prigione ad attenderlo se dovesse nuovamente commettere reati. «Questo ragazzo ha una rara onestà intellettuale – ha dal canto sua affermato l’avvocato Masoni –. Ha alle spalle un percorso di vita molto pesante e rimane da capire come potrà reagire a nuovi possibili ostacoli. Oggi è per lui un monito che deve fargli capire le conseguenze delle sue azioni».