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Manette in centro a Bellinzona: agenti colpevoli o innocenti?

Domani la sentenza in Pretura penale nei confronti di due agenti della Polcom accusati di abuso d'autorità e vie di fatto

Un intervento che il procuratore generale ritiene sproporzionato (Ti-Press)
20 ottobre 2020
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Quanto può essere ritenuto corretto o al contrario sproporzionato un intervento di polizia? Il giudice della Pretura penale Siro Quadri si pronuncerà domani sulle accuse di abuso d’autorità e vie di fatto mosse dal procuratore generale Andrea Pagani verso due agenti della Polizia comunale di Bellinzona che la sera del 5 aprile 2018 hanno eseguito il fermo di uomo all’origine di una lite con minacce in un bar del centro. Entrambi si sono opposti ai decreti d’accusa con cui il pg proponeva una condanna pecuniaria rispettivamente di 2’700 e 1’350 franchi sospesa con la condizionale. I poliziotti respingono le accuse ritenendo di aver agito nel pieno rispetto delle regole. Non di questa opinione il fermato, che alcuni giorni dopo i fatti li aveva querelati rimpolpando la denuncia con fatti mai accaduti.

I fatti

Quella sera verso le 20 i due agenti udite delle urla provenire dal centro storico le ‘seguono’ per scoprire pochi istanti dopo che un uomo in stato alterato lancia insulti dalla strada minacciando di voler aggredire un altro cliente che si trova nel bar dov’era scoppiato l’alterco. Da qui e fino al momento in cui le fasi del successivo fermo sono state riprese dall’impianto video della Polcom in piazzetta Ex Mercato, le iniziali versioni divergono. Il denunciante ha scritto di essere stato subito ammanettato, preso a pedate, trascinato in centrale e deriso; i due imputati negano (idem alcuni testimoni oculari) spiegando che si è reso necessario accompagnarlo in centrale essendosi rifiutato di fornire le generalità; il breve tragitto è stato quindi affrontato dai tre con tranquillità e senza costrizioni. L’inchiesta stabilisce infine che le cose sono andate proprio in questo modo.

La spinta e le manette

E qui si apre la seconda fase dell’intervento, quella videofilmata e descritta nei due decreti d’accusa impugnati. Una volta giunti vicino all’entrata della Polcom, gli agenti indicano la necessità di condurlo dentro per verificare generalità e alcolemia; ma lui non ci sta, cambia direzione incamminandosi verso casa e li manda a quel paese. Uno dei due lo richiama, lo raggiunge, cerca di trattenerlo afferrandolo a un braccio, lui si divincola e sbiascicando le parole reagisce avvicinandosi con fare aggressivo al volto del poliziotto. Questi, ritenenendolo ubriaco e oltremodo pericoloso, mette in pratica le nozioni apprese alla Scuola di polizia e lo allontana spingendolo. L’uomo, esile e instabile sulle gambe, cade a terra dove gli agenti lo girano sulla pancia e lo ammanettano per poi condurlo dentro, procedere alle verifiche di rito per la durata di cinque minuti e infine togliergli le manette e rilasciarlo con l’invito a non tornare nel bar. Scopriranno poi che la Polcom aveva avuto a che fare con lui in precedenza una quindicina di volte per fattispecie diverse.

Le opinioni giuridiche divergono sulla proporzionalità della spinta e dell’ammanettamento. «Lo abbiamo ammanettato – hanno insistito gli agenti in aula – per riportare la situazione in sicurezza, vista la sua mancata collaborazione che è proseguita anche negli uffici fino a quando si è calmato e abbiamo potuto liberargli i polsi. Non avendo aperto ufficialmente un’inchiesta a suo carico, non abbiamo potuto imporgli l’esecuzione del test alcolemico». Nei giorni successivi, durante alcuni colloqui, i due agenti hanno ottenuto l’appoggio dei superiori riguardo alla corretta gestione del fermo provvisorio.

Accusa e difesa

Di parere opposto il pg che ritiene intollerabile quanto avvenuto davanti alla Polcom, a cominciare dallo spintone che, stando al Manuale di comportamento tattico usato per la formazione degli agenti in Svizzera, va fatto solo in caso di attacco frontale: «Mi preoccupa anche solo il fatto che un agente possa sentirsi in pericolo in una situazione del genere». Pure esagerato, secondo Pagani, l’uso delle manette per immobilizzarlo e anche all’interno alla presenza di ben cinque agenti. Che non rappresentasse una minaccia è la tesi difesa dalla patrocinatrice del denunciante, Margarita Timofejeva. L’avvocato Luigi Mattei, difensore di uno dei due agenti, ha invitato il giudice a considerare anche quanto successo nel bar e fuori, «una situazione di forte imprevedibilità che sin da subito indicava la necessità di tenere alta la guardia». Quanto alle manette, «servono a prevenire l’uso della forza. Uno scopo preventivo prima che coercitivo, ben conosciuto dagli agenti attivi sul terreno confrontati con le più disparate situazioni di messa in pericolo della sicurezza». L’altro difensore, avvocato Patrick Gianola, ha parlato di intervento «gestito con eleganza, tempestività, professionalità». Al contrario, il denunciante «ha scritto una querela fantasiosa e infamante, frutto di una mente contorta che ha infangato la buona reputazione dei due agenti. Avrebbe meritato una controdenuncia, che opportunamente gli agenti hanno evitato d'inoltrare confidando nel procuratore generale, purtroppo senza ottenere la fiducia che meritavano».