Condanna per una coppia del Bellinzonese riconosciuta colpevole di aver abusato sessualmente dei figli minorenni per oltre un decennio
Colpevoli: quindici anni di reclusione per il padre e tredici per la madre. Sono queste le condanne inflitte a due coniugi del Bellinzonese riconosciuti colpevoli di aver abusato sessualmente dei figli minorenni per oltre un decennio.
La procuratrice pubblica Marisa Alfier aveva chiesto una pena detentiva di 15 anni per il padre e di 14 anni e mezzo per la madre. Le difese si erano battute invece per una pena di 6 anni e mezzo per il padre e di 6 anni per la madre.
Il giudice ha parlato di una colpa di una “gravita inaudita”. “La Corte si associa a quanto detto ieri dalla pp: il termine di genitori è del tutto fuori luogo se non per il senso biologico del termine e non di certo per quello affettivo. Gli imputati hanno commesso quanto di più abietto e ignobile una persona possa compiere ai danni dei minori. Chiunque sa che non si fa sesso con i bambini. Chiunque sa che non si fa sesso con i propri figli. Figli che nel loro caso erano divenuti oggetti per soddisfare il proprio piacere sessuale. Hanno corrotto i propri bambini, sapendo che mai avrebbero raccontato nulla”.
Il padre, ideatore dell’inferno imposto ai figli sin da quando avevano 3 e 7 anni, è stato condannato singolarmente per i reati di violenza carnale (una decina gli atti sessuali completi ai danni alla figlia), incesto, coazione sessuale e atti sessuali con fanciulli. Per quanto riguarda la madre, è stata riconosciuta colpevole di coazione sessuale, atti sessuali con fanciulli e pornagrafia dura. Reati, che ha commesso in correità col marito, che la Corte non ha potuto quantificare precisamente (l’atto d’accusa ne riportava più di 130, l'uomo ne riconosceva solo venti).
Se i reati commessi in correità erano già stati ammessi dai genitori (il padre non riconosceva però la cifra degli episodi, alcuni dei quali documentati con filmati e foto), la Corte ha dovuto basarsi sugli indizi per confermare il reato di violenza carnale che il padre non riconosce. In questo senso hanno pesato le dichiarazioni fornite dalla vittima, poi confermate dalla madre che era stata avvisata dalla giovane quando il padre l’aveva costretta a consumare il primo rapporto sessuale completo. "La versione della giovane è del tutto credibile – ha affermato il giudice -. Non aveva nessun motivo per mentire e non ha mai cercato di aggravare la posizione dei genitori. Ma ha invece ammesso che per un periodo non si sono più verificati gli abusi, e che solo successivamente a questa pausa sono cominciati i rapporti personali col padre. Se avesse voluto infierire, avrebbe per esempio potuto aumentare il numero degli episodi”. Se la versione della ragazza è stata dunque giudicata genuina, “l’imputato ha invece reiteratamente mentito. Si è rivelato un bugiardo che ha cercato di salvare la propria faccia incolpando la figlia di aver raccontato il falso. Dopo l’arresto ha continuato a mentire senza pudore, perdendo l’ultima occasione per riguadagnare un minimo briciolo di dignità”.
Pagnamenta ha poi commentato l’agire della donna, che nel corso del processo ha giustificato la sua approvazione alle idee malsane del marito col fatto che non avrebbe mai voluto contraddirlo per paura di perderlo, mettendo l’uomo davanti ai propri figli. “Ha tradito il suo ruolo di madre. È questo non può che pesare come un macigno. Era perfettamente in grado di opporsi al coniuge quando voleva, ma solo quando toccava la sua pelle”. Nella commisurazione della pena, la Corte ha tenuto in considerazione i minori episodi sul suo conto e la presa di coscienza, “seppur a livello embrionale”, messa in mostra dopo l’arresto avvenuto nel 2016.
I quindici anni inflitti al padre rappresentano il massimo della pena prevista dal codice penale per un reato di questo genere. Entrambi gli avvocati difensori, Maurizio Pagliuca per l’uomo e Sandra Xavier per la donna, non hanno voluto pronunciarsi sull’eventualità di impuganre la sentenza e ricorrere in seconda istanza al Tribunale d'appello.