laR+ IL COMMENTO

Bambini spaesati, genitori frustrati, operatori senza parole

Il rispetto dei più fragili passa anche da decisioni in tempi ragionevoli sul presente e sul futuro dei loro legami familiari

In sintesi:
  • Ogni volta che l’autorità toglie un giovane da una famiglia e lo colloca in un istituto è destabilizzante per tutti
  • A questi ragazzi tolti dalle famiglie chiediamo di diventare adulti responsabili. Ma quale esempio diamo loro, quando devono aspettare mesi per sapere se possono vedere per qualche ora i loro genitori?
(Depositphotos)
14 novembre 2024
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«Nessuno ha chiesto il mio parere». Marta si è sentita come un pacco. Dalla sera alla mattina, all’età di 12 anni, le autorità l’hanno collocata al von Mentlen di Bellinzona, perché la situazione a casa era difficile. Ci è rimasta fino ai 18 anni, cambiando 5 assistenti sociali. Ogni volta, dice, era una sofferenza dover raccontare di nuovo tutta la sua storia. Jesus aveva 6 anni quando è arrivato nello stesso Centro educativo per minori. Dice: «È diventato la mia famiglia». Ci è rimasto fino ai 18 anni. Il ragazzo ricorda, ancora con frustrazione, tempi infinitamente lunghi per avere (o meno) il permesso di vedere sua madre.

Jesus ha terminato l’apprendistato come costruttore di ponteggi e Marta sta studiando psicologia all’università. Malgrado le difficoltà in famiglia e grazie al sostegno quotidiano degli operatori sociali del von Mentlen, questi due ragazzi hanno trovato la loro strada. Guardando indietro ricordano la disorganizzazione dell’autorità, che decideva per loro; le lunghe attese e le non decisioni che alimentavano ansia e incertezza. A questi ragazzi tolti dalle famiglie chiediamo di diventare adulti responsabili. Ma quale esempio diamo loro, quando devono aspettare mesi per sapere se possono vedere per qualche ora i loro genitori? Una decisione la si può contestare; una non decisione ha ripercussioni a cascata su molti individui inanellando una catena di frustrazioni, sensi di colpa e conflitti. Quando un bambino va a dormire e chiede con ansia se potrà vedere la mamma nel fine settimana si ritrova l’operatore muto che gli rimbocca le coperte. Tace perché non sa che cosa rispondere.

Ogni volta che l’autorità toglie un giovane da una famiglia e lo colloca in un istituto è destabilizzante per tutti. Una misura mai presa a cuor leggero. Ma i tempi (troppo lunghi) dell’autorità non sono in linea coi bisogni dei ragazzi. Lo dicono i responsabili di tre centri educativi in Ticino (alle pagine 2 e 3). I presidenti delle Autorità regionali di protezione (Arp) rispondono che sono oltre il limite. I casi aumentano, gli strumenti valutativi e le misure di protezione diminuiscono. I Servizi medico-psicologici e quelli psicosociali sono sotto pressione e spesso non riescono ad assolvere i mandati; gli psicologi disposti a fare mandati peritali sono diminuiti. Servirebbe anche una quindicina di unità in più tra curatele e tutele, coloro che applicano le misure a tutela dei minori, decise dalle Arp. Si lavora sempre in emergenza, ma dietro ogni dossier ci sono bambini spaesati, genitori frustrati, famiglie che arrancano, operatori sociali senza parole. L’entrata in funzione delle nuove Preture di protezione è più che urgente.

Veniamo da una storia di collocamenti coatti disastrosi, di bambini strappati dallo Stato a genitori ritenuti incapaci di allevarli, per poi ‘dimenticarli’ in istituti, dove venivano maltrattati. La loro unica colpa era essere ‘illegittimi ’, orfani, figli di donne sole, povere. La regola era spezzare legami familiari ritenuti tossici. Succedeva fino agli anni 80 in Svizzera, quando poi la Confederazione ha rivisto le basi legali del collocamento in istituto. Una dolorosa pagina che solo di recente le università hanno investigato mentre le autorità chiedevano scusa e risarcivano le vittime. I tempi sono ovviamente cambiati, ma occorre vigilare perché il rispetto dei più fragili passa anche da decisioni in tempi ragionevoli sul presente e sul futuro dei loro legami familiari.

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