IL COMMENTO

Biologiche o adottive: e se le chiamassimo solo famiglie?

Il diritto di parificazione nell'iniziativa cantonale incontra resistenze in commissione parlamentare. Due o tre cose di cui tenere conto

In sintesi:
  • Pochi deputati sostengono il testo oggi al voto in parlamento
  • In troppi considerano privilegio un sacrosanto diritto familiare
17 settembre 2024
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Siamo entrati nello stanzone pieno di lettini con le sbarre attorno e nell’unico lettino occupato c’era lui, in piedi, già vestito di tutto punto e con un peluche in mano. Ricordo bene lo sguardo di nostro figlio: era perplesso. Non come noi, mamma e papà, che per mesi lo avevamo rimirato solo in foto ma non lo avevamo mai visto in carne e ossa. Dentro di noi c’era il festival delle emozioni: un tumulto fatto di gioia, paura, preoccupazione, mille domande su quel presente così incredibilmente intenso, su cosa fare, cosa dirgli, sul futuro insieme da quel giorno in avanti.

Poi ci siamo avvicinati. Ci avevano detto di consegnargli un gioco qualsiasi, per creare il contatto. Noi avevamo una palla. Gliel’abbiamo data. L’ha presa e subito lasciata cadere. E continuava a guardarci. In quel momento, forse, più che perplesso era spaventato. E ne aveva ben donde, visto che nel mio primo, goffo tentativo di prenderlo in braccio l’ho urtato e lui è caduto all’indietro, povera stella. E si è messo a piangere, furibondo e incredulo. Forse, chissà, era stato il nostro modo di partorirlo.

Ma la vera magia è arrivata subito dopo, quando per consolarlo lo abbiamo preso in braccio senza più tentennamenti. Prima io, ansioso e credo anche un po’ egoista, poi la sua mamma, che dentro di sé sapeva probabilmente già molte più cose che occorreva sapere. Un bellissimo abbraccio a tre. Era il primo, ma era anche come se non avessimo fatto altro nel resto della nostra vita. Perché improvvisamente era diventato nostro figlio. Un attimo prima, un desiderio che finalmente esisteva; poi, stabilito il primissimo legame, nostro figlio. Nulla avrebbe più potuto insinuare qualsiasi dubbio sulla legittimità di quell’appartenenza reciproca, perché quel fagottino di un anno e mezzo chiamava noi, e noi non avremmo mai più potuto fare a meno di prenderlo, stringerlo, riempirlo di baci, guardarlo negli occhi e dirgli “ciao, amore, siamo arrivati”.

Sono passati 14 anni da quel primo incontro con nostro figlio, in un grande orfanotrofio di Bangkok. In 14 anni è successo di tutto, ma non è cambiato il sentimento nato con quel contatto originario che ci ha resi una famiglia. Una famiglia che ha sbagliato, bisticciato, sperato, costruito, e che ogni giorno, come tutte le famiglie, biologiche e adottive, ha semplicemente vissuto.

Capita che gli amici mi dicano delle cose: “Da come siete insieme sembra che sia proprio vostro”. “Lo sgridate come si fa con un figlio biologico”. “Che bravi, io non ce l’avrei mai fatta”. Non so, probabilmente la decisione di adottare dev’essere già scolpita nel cuore, essere un’opzione sentita e interiorizzata a prescindere da tutte le vicissitudini della vita. Solo chi lo sente dentro lo può considerare naturale, e tutti i “ma” di chi ne è fuori suonano come il verso, un po’ stonato, di chi non è in grado di capire.

Per fare un figlio biologico basta poco e nella maggior parte dei casi è un processo piacevole. Per adottarlo no. Lo devi, appunto, sentire, volere; non “accettare”, perché se hai un dubbio, come certi nostri amici, allora non cominci neppure.

Aspettarlo, come dei genitori biologici, dura 9 mesi. Come genitori adottivi dura anni. Sempre. In comune, c’è un grande desiderio a monte, che nella maggior parte dei casi viene esaudito dalla provvidenza; negli altri, a costo di tanta (che qualche volta si rivela anche troppa) pazienza.

Mi si dirà: una diversità esiste. Concordo. Ci sono la ferita originaria, la questione delle radici, molti possibili perché e altrettante strade per raggiungerli, o anche solo per rincorrerli. Ma come genitore no, non c’è differenza nell’amare, accudire, temere e sperare.

Ecco perché la decisione del Gran Consiglio sull’iniziativa cantonale che chiede la parificazione delle mamme adottive a quelle biologiche nelle prime 16 settimane – proteggendole dal licenziamento – non potrà non tenere conto delle esperienze, dei sentimenti, delle sacrosante rivendicazioni di chi si ritrova a dover elemosinare quello che qualcuno (molti!) considera un privilegio. Atterrisce l’evidenza che in commissione parlamentare le firme di chi appoggia l’iniziativa siano poche e che pare si stia spaccando il capello in quattro per ammansire la coscienza nel caso di una bocciatura.

Io ricordo un abbraccio. Lo metto a disposizione di chi voglia, semplicemente, capire. Ma lo avverto: potrebbe essere meraviglioso.

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