Axel, con gli altri degenti e tutti i loro familiari, chiamano casa il foyer per invalidi adulti che la Clinica di Orselina vuol chiudere
Axel a torso nudo che gioca a fare Mister Muscolo mentre Selene, sua sorella, gli si avvinghia addosso. Axel da piccolino con i cani di famiglia, beato, sorridente, come se sapesse che qualcosa di bellissimo sta succedendo. «Era a casa dei nonni mentre Selene nasceva», ricorda mamma Sonja, emozionandosi. Fratello e sorella rimarranno legatissimi, come una cosa sola. Anche dopo l’incidente sul lavoro di tre anni fa, che tanto ha cambiato ma non nei cuori: lì, tutto è rimasto uguale. Nelle altre foto Axel è in vacanza con gli amici, o mostra di sé «i suoi punti forti», come dice Sonja osservando tre primi piani incastonati dentro un’unica cornice: «La passione per il lavoro, la furbizia e la bellezza».
Dal giorno della diagnosi – coma irreversibile – il rapporto fra mamma e figlio è forzatamente cambiato, concentrando in piccoli preziosi gesti mille significati che trascendono le parole: il tatto, le carezze, il tono della voce, i sorrisi che sono come abbaglianti raggi di sole. In un «ciao amore» pronunciato dalla mamma c’è tantissimo passato: quel ciuffo biondo a 18 anni, la chitarra che tanto amava, la piccola scultura che Selene ha costruito con il legno del bosco in cui Axel si sentiva a casa.
Già, la casa. Da due anni quella di Axel è una stanza al primo piano della Clinica Varini di Orselina. Super-personalizzata, contiene tanto passato e altrettanto presente. Il futuro, quello, lo ha già deciso qualcuno là fuori. “A medio termine”, questa la vaga tempistica, la casa medicalizzata Lispi per grandi invalidi adulti sarà dismessa nell’ambito di una nuova strategia che dovrebbe permettere al nosocomio di cambiare rotta e non affondare dopo lo squarcio nella chiglia prodotto dagli oltre tre milioni di franchi di debiti cumulati a causa di “fattori strutturali negativi”, in particolare quelli pianificatori cantonali che “hanno sconvolto l’equilibrio finanziario della clinica”, come ha affermato il presidente del Consiglio di Fondazione, Giorgio Pellanda.
Ne sono conseguiti diversi licenziamenti e un piano di rientro che prevede la rinuncia a due dei quattro mandati di prestazione garantiti dal nosocomio. Fra essi quello, delicatissimo, del foyer per invalidi adulti che Axel, con gli altri degenti e tutti i loro familiari, chiamano, appunto, casa, perché lì si concentrano abitudini, punti di riferimento, affetti e, più materialmente, le migliori possibilità di cura e accudimento.
Nel limbo, in attesa che il processo giunga a compimento e determini nuovi traumi legati al cambiamento – ma quale, poi, considerando che in Ticino non vi sono né sono da prevedere alternative valide? –, all’angoscia delle famiglie e del personale curante si aggiunge un evitabilissimo teatrino. È quello dell’incomunicabilità fra la clinica stessa e gli uffici del Dss, cui non risulta la formale richiesta di rinuncia al mandato, contenuta invece in un dossier presentato e discusso a novembre.
Sollecitato dai familiari, il direttore del Dss Raffaele De Rosa ha augurato loro di “trovare la serenità e la forza per affrontare il vostro difficile ruolo di genitori”. La speranza è che lo Stato dimostri voglia e capacità di agire, più che di consolare.