Cronaca di una vicenda che ha fatto e continuerà a far discutere dopo la chiusura dell'inchiesta e la prospettata accusa per due agenti della PolCantonale
Inchiesta terminata. Il procuratore generale Andrea Pagani ha concluso le indagini sull’incidente, e sulla successiva procedura di constatazione dei fatti da parte della polizia, in cui è rimasto coinvolto il consigliere di Stato Norman Gobbi lo scorso 14 novembre poco dopo la mezzanotte sulla A2 in zona Stalvedro. Il pg ha quindi prospettato alle parti le decisioni. Ovvero: “L’emanazione di un decreto di abbandono nei confronti dell’ufficiale della Polizia cantonale che era di picchetto la sera dei fatti; l’emanazione di un atto d’accusa dinanzi alla Pretura penale (per l’ipotesi di reato di favoreggiamento) nei confronti del sottufficiale superiore di Gendarmeria di picchetto la sera dei fatti e del capogruppo in servizio quella notte”. Per quest’ultimo, si legge ancora nel comunicato diramato stamattina dalla Procura, l’ipotesi di reato “viene prospettata in via principale nella forma della correità, subordinatamente in quella della complicità”. Si profila dunque un processo. Insomma, il troppo tempo (due ore e alcuni minuti) trascorso fra l’incidente e l’alcol test probatorio al quale è stato sottoposto il ministro, dopo che l’apparecchio per il test precursore era risultato ‘non calibrato’, avrebbe dovuto comportare il prelievo del sangue. Ciò che non è avvenuto. E comunque nei confronti di Gobbi “non è pendente alcun procedimento penale”, precisa la Procura, confermando quanto aveva riferito nelle scorse settimane.
Il reato di favoreggiamento è previsto dall’articolo 305 del Codice penale il cui primo capoverso recita che “Chiunque sottrae una persona ad atti di procedimento penale o all’esecuzione di una pena o di una delle misure previste negli articoli 59–61, 63 e 64, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria”. Tramite i rispettivi legali, gli agenti hanno ora dieci giorni, termine che scatta dall’intimazione, avvenuta ieri, della chiusura dell’inchiesta, per eventualmente sollecitare complementi istruttori. «Chiederemo solo le indennità per le spese legali sostenute», indica l’avvocato Elio Brunetti, difensore dell’ufficiale per il quale Pagani ha prospettato l’abbandono. «Prendiamo atto della decisione del pg, ma il mio cliente, e io con lui, contestiamo integralmente l’imputazione», afferma l’avvocato Maria Galliani, che patrocina il sottufficiale superiore. «Il mio cliente contesta ogni accusa mossa nei suoi confronti», sostiene a sua volta l’avvocato Roy Bay, legale del capogruppo. Per le decisioni formali bisognerà dunque attendere almeno la scadenza dei dieci giorni. A quel punto si saprà, inoltre, se l’accusa sarà di favoreggiamento per dolo diretto oppure per dolo eventuale, nel senso che i due agenti avrebbero preso in considerazione e accettato la possibilità che il loro agire sottraesse Gobbi quel 14 novembre all’esame del sangue.
Già, quell’ormai famoso14 novembre 2023, quando il consigliere di Stato viene coinvolto sull’autostrada in un incidente provocato da terzi. È Gobbi a chiamare la polizia. Sul posto si porta una pattuglia della Cantonale. I due gendarmi procedono con l’alcol test precursore. Il ministro risulta leggermente al di sopra del limite, ma sull’etilometro compare la scritta ’non calibrato’ (a proposito, quanti gli etilometri in uso alla polizia non calibrati?). La vedono gli agenti che, a quanto pare senza dire nulla a Gobbi, si allontanano e decidono di chiamare il loro diretto superiore, cioè il capogruppo. Il quale contatta il sottufficiale superiore. Che a sua volta interpella l’ufficiale di picchetto. Colloquio a tre e la decisione infine dell’ufficiale di inviare sul luogo del sinistro sottufficiale superiore e capogruppo e di procedere con l’alcol test probatorio. Viene eseguito ad Airolo. Stavolta Gobbi risulta sotto il limite. Secondo però la Procura, ma anche secondo la legge, l’ordinanza, andava fatto l’esame del sangue dato il lungo tempo trascorso dall’incidente.
Il procedimento penale viene avviato circa tre mesi fa, in seguito all’interpellanza con la quale il presidente del Centro Fiorenzo Dadò chiede al Consiglio di Stato lumi sul sinistro avvenuto in Leventina e sulle procedure seguite dalla polizia in quella circostanza, in particolare nel controllo alcolemico. È il 14 marzo quando ‘laRegione’ riferisce dell’atto parlamentare. L’articolo contiene anche la versione dei fatti data da Gobbi. “Anzitutto l’incidente non l’ho provocato io, ma è accaduto – spiega il direttore del Dipartimento istituzioni – perché un veicolo ha lasciato la corsia di emergenza immettendosi in quella di scorrimento senza accorgersi che stavo sopraggiungendo: l’impatto, pur con la prudenza dovuta, è stato inevitabile. Nonostante lo spavento non ci sono per fortuna state conseguenze gravi. Sono stato io a chiamare la polizia. All’alcol test precursore sono risultato lievemente superiore al limite, sono quindi stato sottoposto al test probatorio, quello definitivo, da cui è risultato che ero nella norma. Il tutto si è svolto – sia ben chiaro – nel rispetto della procedura”. E poi: “Sono venticinque anni che ricopro cariche pubbliche e alla luce anche di casi analoghi che hanno coinvolto in passato politici, tenere segrete certe cose, oltre a mancare di rispetto verso i cittadini e le cittadine, non serve a nulla, perché prima o poi, escono. Se mi avessero ritirato la patente, lo avrei subito comunicato pubblicamente scusandomi con i ticinesi. Ma non ci sto quando mi si mette in cattiva luce per cose non vere”.
Nel rispetto della procedura? Per il procuratore generale non proprio visto che ha prospettato a carico dei due graduati della Polcantonale l’accusa di favoreggiamento. Ma Gobbi avrebbe appreso dell’etilometro non calibrato solo nell’interrogatorio davanti al pg come persona informata sui fatti.
Ma torniamo ai giorni in cui viene pubblica l’interpellanza di Dadò. La Procura vuole vederci chiaro e apre così un’inchiesta. L’avvio delle indagini viene reso noto dal pg Pagani il 26 marzo. “Gli accertamenti hanno preso avvio a metà marzo a seguito di notizia di possibile reato – scrive il magistrato –. L’istruttoria è finalizzata a ricostruire l’accaduto e ad accertare se sussistano eventuali fattispecie penali nel contesto dell’incidente e della successiva procedura di constatazione dei fatti. Le ipotesi di reato, al momento nei confronti di un agente della Polizia cantonale e contro ignoti, sono di abuso di autorità e favoreggiamento”.
Una comunicazione che sposta inevitabilmente il caso dell’incidente leventinese sul terreno politico, dello scontro politico. Il giorno dopo, mercoledì 27, Gobbi si autosospende dalla conduzione politico-amministrativa della polizia cantonale, dipendendo quest’ultima dal Dipartimento istituzioni, nell’attesa che venga chiarita la sua posizione. Come scritto, il consigliere di Stato verrà sentito dal pg quale persona informata sui fatti: nei suoi confronti non emergono indizi di reato, indica il procuratore generale in un comunicato diffuso il 18 aprile alle redazioni. Comunicato nel quale si segnala anche l’estensione del procedimento ad altri due agenti della Polcantonale. Da uno a tre imputati: oltre al sottufficiale superiore, sono un capogruppo in servizio quella notte e l’ufficiale che era di picchetto.
“Ho preso atto della decisione del procuratore generale che chiude definitivamente qualsivoglia ipotesi di mio coinvolgimento nell’intervento della Polizia cantonale”, commenta pochi minuti dopo la nota diffusa dal Ministero pubblico il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi. Che aggiunge di aver “altresì preso atto che il pg ritiene che il comportamento di due agenti intervenuti debba essere valutato da un giudice“. Gobbi, infine, conclude così: ”Solidarizzo umanamente con i due agenti manifestando piena fiducia nella magistratura, così come nel corpo della Polizia cantonale e a tutti gli agenti”.
Frase, questa, che fa saltare la mosca al naso all’Mps: “È prassi del governo esprimere pubblicamente solidarietà con i funzionari per i quali si prospetta una messa in accusa?”, chiedono infatti i deputati Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini in un’interpellanza urgente inoltrata al Consiglio di Stato. “Non sappiamo cosa il consigliere Gobbi intenda con ‘solidarietà umana’, ma appare difficile immaginare che essa significhi altro che, nell’attuale contesto, una decisa e chiara ‘benevolenza’ – chiamiamola così – nei confronti dell’agire dei due agenti che il pg vuole portare davanti a un giudice”.
A questo punto, l’Mps formula una serie di domande al governo per capire se “questa sia la prassi”, “cosa pensa della dichiarazione di solidarietà”, se “non trova strano che Gobbi esprima solidarietà nei confronti di due agenti per i quali si profila un’accusa di ‘correità’ e ‘complicità’ il cui beneficiario, indipendentemente da responsabilità diretta, è proprio il loro superiore” e tra le altre cose, “quali ulteriori passi intenda fare il governo, visto che l’inchiesta amministrativa aperta era stata sospesa in attesa della conclusione di quella della magistratura”.
Norman Gobbi, nel suo comunicato diffuso alla stampa, di più non dice: “Non rilascerò ulteriori dichiarazioni rimettendomi, se del caso, a quanto ritenesse di comunicare o di commentare il mio legale, l’avvocato Renzo Galfetti”.
Che arriva puntuale. «La soddisfazione per la decisione del procuratore generale che con la sua precisazione risolve una per una tutte le cattiverie, le falsità, le calunnie che una violenta campagna mediatica ha riportato a dismisura e senza ritegno, basandosi su “stimoli parlamentari” nonché, come questi ultimi, su lettere anonime destinate alla spazzatura, è ben poca cosa rispetto alla sofferenza, allo sgomento, che hanno colpito l’onorevole Gobbi e la sua famiglia – commenta alla ‘Regione’ l’avvocato Renzo Galfetti –. Ho segnalato doverosamente a Gobbi la mia valutazione giuridica positiva sulla corrispondenza delle false affermazioni che lo hanno colpito con i reati di calunnia e diffamazione. Spetterà a Gobbi decidere se procedere penalmente contro gli autori di tali maldicenze. Io comunque confido – continua il legale di Gobbi – che chi lo ha calunniato e diffamato abbia la dignità e la coscienza di scusarsi. Certo, c’è da chiedersi se riportare il contenuto di lettere anonime in atti parlamentari sia degno di un deputato. Attribuirle poi a sedicenti fonti “fede degne” senza indicarle o segnalarle a chi di dovere non merita commenti. E c’è pure da chiedersi se per dei giornalisti siffatto uso di lettere anonime, o il raccattare cicche, oppure il trasformare i pettegolezzi e le illazioni in notizie senza alcuna verifica sia, prima ancora che rispettoso della professione, serio». Intanto per due poliziotti si prospetta l’accusa di favoreggiamento... «La decisione del pg per i due agenti mi risulta sia in sostanza una decisione solo interlocutoria e non definitiva – sostiene Galfetti –. È dovuta a quel concetto, controverso, che i giuristi conoscono come opposto al “dubio pro reo” e chiamato “in dubio pro duriore” che permette di prevedere o rinviare il vaglio di un’ipotesi alla competenza di un giudice. Certo ci si può chiedere se sia giusto coinvolgere la vita e la carriera di agenti di polizia in un procedimento penale che avrà tempi lunghissimi. Io non lo credo. Oltretutto mi risulta che tutti gli agenti intervenuti abbiano agito come da prassi, nel rispetto delle regole e con buon senso».
«Lo sproloquio di Galfetti lo rimando al mittente e lo inviterei ad abbassare i toni, e gli consiglio di farlo anche con il suo assistito perché quelli che abbiamo dovuto sentire domenica (la ormai celeberrima “cazzata”, ndr) sono un segno di completa mancanza di rispetto soprattutto per i due agenti finiti nei pasticci», replica stentoreo il presidente del Centro Fiorenzo Dadò. Partendo dal fatto che «l’atto d’accusa prospettato dal pg dimostra in maniera chiarissima che qualcosa non quadrava e non quadra, e quello che fa strano, per modo di dire, è che di tutta questa storia sembrerebbero rispondere solo i pesci piccoli, gli ultimi della catena». Dadò non molla un centimetro: «Questa decisione dimostra che non era affatto panna montata, e che le mie domande poste in qualità di deputato erano legittime e doverose». Insomma, «la giustizia faccia il suo lavoro, ma il parlamento continui a fare il suo esercitando l’alta vigilanza: adesso il governo dovrà rispondere in maniera precisa e puntuale a tutti i quesiti sollevati dal Gran Consiglio in questi mesi, e se dovessero permanere dei dubbi faremo sicuramente altre domande. La questione penale è una cosa, quella politica un’altra».
Senza dimenticare che, per Dadò, «si prospetta un possibile reato di favoreggiamento ma sembra non esista il favorito... Sono aspetti incomprensibili ai semplici cittadini come siamo noi. Per difendere il buon nome delle istituzioni bisogna andare avanti e chiarire tutta la faccenda senza lasciare il minimo dubbio».