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Balotelli, la Spagna e le vite che cambiano in fretta

C’era anche la Russia agli Europei del 2012 giocati in Ucraina (e Polonia). Quei giorni furono l’apice e la fine della Roja pigliatutto e del 9 azzurro

La festa della Spagna dopo il 4-0 all’Italia in finale
(Keystone)
15 maggio 2024
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C’era la Russia e si giocava in Ucraina (oltre che in Polonia). Euro 2012 fu il primo campionato europeo di calcio organizzato oltre la vecchia cortina di ferro (se si fa eccezione della Jugoslavia, nel 1976, ma era un torneo con sole 4 squadre e poi il loro fu sempre un comunismo a parte).

A rivederlo oggi è anche la testimonianza di un altro mondo possibile. Il conflitto in Donbass, quello che sarà il pretesto per la guerra a cui stiamo assistendo oggi, sarebbe iniziato solo due anni dopo. Si giocava a Leopoli, a Kiev, a Kharkiv e a Donetsk, città che all’epoca dicevano qualcosa al massimo a chi seguiva il calcio (lo Shakhtar, la mitica Dinamo, il Metalist...) e agli impallinati di Europa dell’Est e che ora invece conoscono tutti per via dei bollettini di guerra. Il massimo delle polemiche era sul livello delle infrastrutture, figlie del comunismo e della corruzione, ritenute non all’altezza di un evento così importante, e su un mai realmente accertato sterminio di cani randagi per “ripulire” le strade in vista dell’arrivo dei tifosi. Certo, i rapporti tra il Cremlino e Kiev già non erano dei migliori e il sorteggio dell’Uefa fece in modo che i russi finissero in uno dei gironi giocati nell’altra nazione ospitante, la Polonia. Ma si parlava di calcio e non di artiglieria pesante.


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Un momento acrobatico di Polonia-Russia

Non fu però l’europeo dei russi, subito fuori nel gruppo più abbordabile, con Polonia, Grecia e Repubblica Ceca. E nemmeno degli ucraini, che esordirono con una vittoria contro la Svezia (2-1, doppietta di Shevchenko e gol di Ibrahimovic) per poi naufragare contro la Francia e poi con l’Inghilterra.

Fu invece l’europeo che celebrò e allo stesso tempo decretò la fine di un grande collettivo, la Spagna, e di un singolo irrisolto, Mario Balotelli. Sia la Roja che il centravanti italiano attraversano quell’Europeo nel loro punto più alto, ma anche a un millimetro dall’inizio della discesa, che si rivelerà vertiginosa per entrambi (per Balotelli di più), solo che ne erano ignari.

“La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita”, diceva Joan Didion nel suo “L’anno del pensiero magico”. Sia per la Spagna che per Balotelli si trattava della stessa sera, della stessa tavola. Lo scopriranno molto dopo la finale - che i primi stravinsero e il secondo perse - che tutto, da quel momento, era cambiato per sempre. E che sere così non ce ne sarebbero state più.


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Il secondo gol di Balotelli alla Germania

La Spagna arrivava a Euro 2012 da superfavorita, campione del Mondo e campione d’Europa in carica: era quel periodo in cui la famosa frase di Gary Lineker sui tedeschi aveva cambiato passaporto: “Il calcio è un gioco semplice, 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e alla fine vince la Spagna”. A un certo punto, quando gli spagnoli schiantarono 4-0 l’Italia nella finale di Kiev, sembrava dovesse andare avanti così per sempre. Una delle nazionali d’élite più perdenti della storia aveva iniziato a vincere. Come se l’incantesimo si fosse ribaltato, e dopo una lunga serie di cocenti sconfitte e delusioni non si potesse far altro che battere sempre tutti, magari con un po’ di fortuna: era accaduto nel 2008 agli Europei (vittoria ai rigori proprio con l’Italia nei quarti a dare la spinta decisiva al titolo), poi al Mondiale sudafricano (tanti sudatissimi 1-0 e, in finale, contro gli olandesi, il tiro di Robben che s’infrange per una questione di centimetri sul piede di Casillas), infine anche a Euro 2012, quando in semifinale il Portogallo porta la Spagna fino ai rigori e poi perde, come capita a tutti, in un modo o nell’altro.


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Shevchenko in gol contro la Svezia, la vittoria non basterà per passare il turno

Due anni dopo gli spagnoli entreranno ancora una volta da favoriti dentro un grande torneo internazionale, il Mondiale brasiliano del 2014, uscendone però a pezzi, travolti 5-1 proprio dall’Olanda e poi sconfitti dal Cile. Eliminati al primo turno da campioni in carica, da quel momento non ci sarà più un Europeo né un Mondiale di gloria per le Furie Rosse.

La sera del primo luglio 2012, allo stadio Olimpico di Kiev, la Spagna si alzò da tavola con la pancia piena e l’ennesimo trofeo tra le mani: era il terzo di fila, era la normalità, era l’ultimo. Nell’istante in cui il capitano Casillas alzò la coppa, per dirla alla Didion, la vita era già cambiata. A volte lo sai subito e ne resti sconvolto, a volte lo capisci dopo e ti chiedi com’è stato possibile, se hai gioito abbastanza quando dovevi, se avessi potuto fare qualcosa per evitare che tutto crollasse.

Chissà se queste domande se l’è fatte (o se le farà, prima poi) Balotelli dopo quell’europeo che lo fece quasi re, in una stagione che sembrava quella giusta per farlo entrare definitivamente nel giro dei fuoriclasse del nuovo millennio: campione d’Inghilterra con il Manchester City in un’annata tribolata - come da copione balotelliano, tra scherzi pesanti, polemiche e una casa andata a fuoco - ma vissuta da protagonista, con tanto di assist decisivo per il titolo all’ultimo minuto dell’ultima partita al compagno di squadra Sergio Agüero.


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Rooney condanna l’Ucraina all’ultima giornata

Balotelli, che all’Inter aveva fatto vedere grandi cose e grandi limiti, sembrava poter veramente sbocciare lontano da casa, come dimostrava quella stagione al City. E in effetti era lontano da casa la sera del 28 giugno 2012, quando l’Italia affrontò la favorita Germania sul campo di Varsavia.

I tedeschi erano, insieme alla Spagna, la squadra da battere (dimostreranno tutto il loro valore e il compimento del percorso di crescita due anni più tardi, al Mondiale brasiliano, battendo i padroni di casa con un sontuoso e irripetibile 7-1 e poi sconfiggendo in finale l’Argentina del primo Messi, quello che in Nazionale non riusciva a fare la differenza). La terza grande favorita di inizio torneo era l’Inghilterra della generazione dei Rooney dei Terry e dei Gerrard, alla sua ultima occasione, sconfitta nei quarti di finale ai rigori proprio dall’Italia (celebre resta quello a cucchiaio di Pirlo, forse il più elegante mai calciato a così alti livelli). Una gara dominata in lungo e in largo dagli azzurri in cui forse mancò proprio il guizzo decisivo di Balotelli, già messo in croce da una parte della critica più retrograda che, più delle prestazioni, non gradiva il colore della sua pelle.


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Il rigore di Pirlo contro l’Inghilterra

Balotelli, che faceva coppia con un altro grande incompiuto del calcio italiano, Antonio Cassano, sembrava non poter essere abbastanza per reggere l’urto con i tedeschi, che per la prima volta potevano pensare di battere l’Italia in un grande torneo (cosa mai accaduta fino a quel momento). Invece è proprio Cassano, dopo venti minuti, a inventarsi sulla fascia una gran giocata e a mettere la palla a centro area dove Balotelli insacca di testa. Sedici minuti dopo, il capolavoro del numero 9 italiano, uno di quei gol rimasti nella storia degli Europei: lancio di Montolivo che sorprende la difesa tedesca, Balotelli stoppa, avanza e calcia di potenza sotto l’incrocio. Un tiro talmente forte che Neuer, uno dei migliori portieri al mondo, nemmeno prova a buttarsi e alla fine s’inginocchia. Balotelli si toglie la maglia, mostra i muscoli, i compagni gli si buttano addosso: lui, come d’abitudine, non esulta. Sembra una statua capace di reggere il peso di uno, due, dieci persone.


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Balotelli formato statua abbracciato dai compagni

Quando i tedeschi accorciano le distanze è troppo tardi. Balotelli trascina l’Italia in finale. Ma contro la Spagna, l’Italia si arrende presto e Balotelli con lei. Sbocciato il 28 giugno a Varsavia, quattro giorni dopo a Kiev Mario era già evaporato, come certi fiori incantevoli e profumatissimi che però durano un niente. Passerà il resto della carriera a litigare con tutti, a partire da se stesso. Lasciandoci negli occhi quell’immagine lì, da moderno David di Michelangelo, a promettere una vita calcistica luminosa che invece non sarà. A differenza della Spagna, che è stata grande, grandissima, e poi non più, di e su Balotelli resterà un interrogativo senza una vera risposta: abbaglio collettivo o talento sprecato?


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Festa in campo per i figli dei calciatori spagnoli

Questa è la quattordicesima di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagnerà fino alla vigilia di Germania 2024.