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‘Basta con gli americani, facciamo un disco mediterraneo’

A 25 anni dalla morte e a 40 da ‘Crêuza de mä’, il ricordo di Fabrizio De André e di un disco che ‘non lo capiscono nemmeno a Genova’ (era il 1984)

Fabrizio De André (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999)
(Fondazione Fabrizio De André Onlus)
11 gennaio 2024
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È l’11 agosto del 1984, data del primo concerto ligure di ‘Crêuza de mä’, album dopo il quale la musica italiana cambierà. Magari non subito, ma per sempre. Fabrizio De André con musicisti al seguito ha appena suonato sul palco allestito nel campo sportivo di Pietra Ligure in provincia di Savona, 13mila lire il biglietto, 3mila i paganti; negli spogliatoi dello stadio, tra un treno e l’altro che gli passano alle spalle perché il campo è vicino alla ferrovia, il cantautore – una bottiglia di Johnnie Walker al suo fianco, giornalisti e membri dello staff che vanno e vengono – è “stanco ma loquace” e si fa intervistare.

Il tour di 21 concerti è iniziato a Zelarino, nel Veneziano, è passato da Bregenz, in Austria, e promuove un disco tutt’altro che radiofonico. La prima domanda riguarda quella che per il tempo fu una totale anomalia: “Non è, quello di questo ultimo 33 giri, un linguaggio molto immediato, il dialetto”, chiede Radio Savona Sound a De André, che subito vuole che si distingua tra dialetto e idioma e si produce in una lunga dissertazione sul genovese per dire di un disco che “ha come suo obiettivo fondamentale quello di fare una specie di sintesi di quelli che sono le voci, i fonemi, i suoni mediterranei”. E col bouzouki parte una dissertazione aggiunta sulla strumentazione del disco, rivoluzionaria, una cosa da fare strabuzzare gli occhi al futuro premio Oscar David Byrne, fondatore dei Talking Heads, e pure a Peter Gabriel, informato dal collega dell’esistenza di “uno strano disco italiano, dal titolo ancora più strano, composto da un certo Fabrizio De André”.

“È una musica creata dal nulla, è come un viaggio nel tempo inventato che descrive il Mediterraneo senza viaggiare veramente, un po’ come un libro di Salgari” (Mauro Pagani)

‘Facce di marinai – L’avventura mediterranea di Fabrizio De André e Mauro Pagani’ (Arcana), libro scritto da Alfonso Amodio e Ferdinando Molteni, è una sorta di carta nautica di ‘Crêuza de mä’, album uscito nel marzo di quarant’anni fa. Si apre proprio con la nota introduttiva di Peter Gabriel, ex frontman dei Genesis, colpito dalla “purissima world music” contenuta in quel disco; un pianeta, la world music, che anche l’artista britannico aveva iniziato a esplorare alla fine degli anni 70, “sia pure viaggiando su traiettorie diverse”. Il destino avrebbe portato Peter Gabriel ad acquistare una casa di vacanza in Sardegna, a pochi chilometri da quella di De André, a sancire un percorso lavorativo ed esistenziale almeno simile. “Era come se il potere insondabile della musica e gli spiriti dell’isola – scrive ancora l’ex Genesis – ci avessero guidati su sentieri paralleli”.

L’intervista

‘Più popolare oggi di quand’era vivo’

Rimaneggiato, riscritto in tante parti e aggiornato, ‘Facce di marinai’ (che nel 2011 fu ‘Controsole. Fabrizio De André e Crêuza de mä’) porta con sé l’intervista ritrovata nel 2010, di cui all’inizio. «Fu una vera scoperta», ci racconta Ferdinando Molteni, giornalista, saggista, docente e musicista, già autore de ‘L’ultimo giorno di Luigi Tenco’, fedele ricostruzione di un presunto suicidio. «Ho lavorato per tanti anni a Radio Savona Sound, tra le prime radio libere, nata tra il ’73 e il ’74 e rimasta comunque indipendente, e lavoro tutt’ora con Alfonso Amodio, storico e Dj», coautore del libro. «La radio seguiva tutti i concerti, ha conservato per anni montagne di cassette C60 con le registrazioni delle interviste e per il fatto che le musicassette potevano essere reincise più volte, molte cose sono andate perdute». Molte tranne quella registrazione dell’estate dell’84: «Una sera arriva Alfonso e mi dice: “Senti cos’ho trovato…”, e ascoltiamo questa voce che arriva dal passato, che ci ha spinto a fare il libro». La voce “baritonale, strascicata e un po’ brilla di Fabrizio De André”, per dirla col libro.

Ferdinando Molteni: a parte riepilogarne la grandezza, cosa si può dire, venticinque anni dopo, senza cadere nella retorica?

Si può dire che oggi Fabrizio De André è molto più popolare di quand’era vivo. Dalla sua morte in avanti è stato un crescendo, molto ben gestito da Dori Ghezzi, dalla Fondazione, dagli amici di Genova di Via del Campo (Via del Campo 29 rosso, ndr), dove è allestito un museo dei cantautori imperniato comunque su De André. Da loro è venuto un gran lavoro anche di riedizione, mentre di alcuni artisti di cui abbiamo parlato in passato, come Luigi Tenco, manca un’edizione definitiva delle relative canzoni. Di Fabrizio, al contrario, le riedizioni abbondano, non ultima la raccolta di concerti pubblicata qualche anno fa.

Mettiamoci anche la morte in età relativamente giovane…

Beh, gli eroi sono sempre giovani e belli, o come dicono gli americani “solo i migliori muoiono giovani”. De André è morto prematuramente e, oltretutto, al vertice creativo della carriera. Ciò che colpisce di lui, in questo senso, è il crescendo continuo: gli ultimi due album sono il picco della sua produzione, pur avendo egli già dato molto, artisticamente. Quando è morto, ci è proprio mancato ‘il prossimo disco’.

Chissà cosa sarebbe arrivato da un artista capace di giocarsi tutto in ‘Crêuza de mä’. Se la Pfm dovette convincerlo della bontà dell’idea di riarrangiare la sua musica, nessuno lo distolse dalla convinzione che così doveva essere quel disco, in barba alla poca commerciabilità del dialetto, dell’idioma…

Un’operazione straordinaria, coraggiosa, caratterizzata da un briciolo d’incoscienza, io credo. De André veniva dal rapimento e da un paio di dischi pubblicati anche per fare un po’ di cassa, perché ‘L’indiano’ e il secondo volume con la Pfm si devono anche al fatto che non avesse più un centesimo. Una volta riuscito a liberarsi da questa prigione, realizza un disco incredibile, il cui rischio si può spiegare con un aneddoto: quando il funzionario della Rca di Milano chiama il negozio Ricordi di Genova, chiedendo come stiano andando le vendite, il proprietario risponde “questo disco qua non lo capiscono neanche a Genova”.

Benedetto il 1984, quando ancora si potevano fare ragionamenti così arditi…

Sì, nel 1984 ancora c’era la possibilità di rischiare su un disco. Forse ci sfugge la portata totale dell’operazione: il cantante italiano che ha fatto della lingua italiana il proprio cavallo di battaglia, rinuncia totalmente alla lingua che lo ha reso virtuoso, un’azione oggi inimmaginabile. Ma anche allora rimanemmo tutti abbastanza perplessi.

Di come, musicalmente, i germi di ‘Crêuza de mä’ siano in ‘Mauro Pagani’, l’album solista del 1978, si dice ampiamente nel libro. Bello è anche ripercorrere ‘l’invenzione di una tradizione’, dall’idea del tributo all’amata Gallura, ma lingua e musica non vanno d’accordo, al ritorno a Genova in cerca di una ‘lingua da marinaio’ che è bell’e che pronta nella città natia. Ma De André respinge la tradizione genovese, non ama le voci di chi rimpiange la Lanterna. “Perché non tornano?”, dice…

De André combatteva la retorica di noi liguri, quella dell’emigrante che va e vuole tornare ma non sa se può tornare, e forse è meglio che resti in Argentina, per esempio, terra verso la quale la nostra emigrazione è stata prevalentemente diretta. Fabrizio detestava quel concetto ma anche lo stile, perché la tradizione genovese annovera tanghi, valzer e mazurche che non sono esattamente ‘nostri’.

‘Facciamo un disco mediterraneo, basta con gli americani’, dice De André a Pagani, e Dylan è messo in discussione...

Fabrizio si è sempre affidato a musicisti. Era anch’egli un eccellente musicista, ma non era un compositore dalle moltissime possibilità. Uno dei musicisti più importanti per lui è mancato solo pochi giorni fa, Gian Franco Reverberi, forse il suo primo grande collaboratore. Poi sarebbero arrivati Mario Piovani, l’allora sconosciuto Bubola, un ragazzino che De André avrebbe fatto debuttare con un disco prodotto da Oscar Prudente. Fabrizio era stanco delle sonorità che erano state di De Gregori e di molti altri, cercava un linguaggio musicale diverso.

Cito dall’intervista ritrovata per dire di un altro ‘scarto’: “È finito il tempo del poeta che se ne stava sopra il monte, con la gobba, e voleva essere Leopardi e gli altri potevano anche andare a fare nel culo…”.

Da questo punto di vista, De André è stato di un’intelligenza formidabile. Ha avuto l’umiltà per capire chi avrebbe potuto aiutarlo. L’ultimo episodio riguarda Ivano Fossati, col quale è rimasta della ruggine per quel disco (‘Anime salve’, ndr) che sarebbe dovuto essere firmato a quattro mani e poi non successe. Ma De André assorbiva anche a livello di testi: un giorno arriverà qualcuno a raccontarci le fonti di ciò che ha scritto, citazioni che ancora non cogliamo e che provengono dalle sue infinite letture.


Per Arcana

Ticino e dintorni

Navigando con Fabrizio

Domenica alle 20 allo Stelio Molo, la Rsi si produce nel terzo volume del suo ‘E sono mille papaveri rossi’. Il tributo del 25ennale si tiene alla presenza di Mauro Pagani, Riccardo Tesi, Giua ed Erica Boschiero. Il Murrayfield Pub di Chiasso festeggia questa sera con gli Area Faber, band-tributo della serata organizzata in collaborazione con l’Associazione Espérance Acti – Aiuto e Cooperazione tra Ticino e Indocina – di Balerna. Sono due delle iniziative più vicine a noi.

L’iniziativa della Fondazione Fabrizio De André Onlus, insieme a Sony Music Italia, si chiama invece ‘Way Point. Da dove venite… dove andate?’. Accompagnata da foto da marinaio, è un navigare attraverso le parole di De André, il pensiero, la visione, i viaggi. Ricco di iniziative, il progetto si svilupperà lungo tutto il 2024 a partire dalla riedizione (durante l’anno) di tutti i dischi in studio. Agli appassionati di musica fisica farà piacere sapere che gli album saranno ristampati in versione Lp nero 180 gr e Cd, arricchiti da annotazioni autografe dell’artista, riflessioni, estratti di interviste inerenti alle canzoni e agli album, e documenti inediti conservati al Centro studi De André dell’Università degli Studi di Siena. I primi 4 dischi saranno disponibili dal 16 febbraio.


‘Crêuza de mä’, per Peter Gabriel ‘purissima world music’