Venticinque anni fa, l’ultimo – meraviglioso – concerto di Fabrizio de André in Ticino, al Palabasket di Bellinzona
Venerdì 6 febbraio 1998, esattamente 25 anni fa, al Palabasket di Bellinzona, fece tappa Fabrizio De André, con un concerto memorabile, parte del "tour teatrale" i cui video (registrati la settimana successiva a Roma) vengono a tutt’oggi molto condivisi online.
Era ancora molto viva l’emozione per l’ultimo album di inediti, ‘Anime salve’, uscito un anno e mezzo prima, con, peraltro, una favolosa foto di copertina scattata a Mendrisio.
"Tour teatrale", si diceva, quindi solo posti a sedere. Sedie di plastica, bianche, disposte ordinatamente su tutto lo spazio disponibile. Qualche panchina da palestra a ridosso delle pareti. Io trovo posto sugli spalti.
Un’altra sedia sta invece sul palco. Di legno, questa. È il posto che occuperà Fabrizio De André per le due ore e mezza di concerto. Lo spazio attorno a quella sedia sarà occupato dai suoi straordinari musicisti, tutti impeccabili. Suo figlio Cristiano, in particolare, cambia strumento praticamente a ogni brano, ed è sempre perfetto.
Nella prima parte De André propone tre ampi blocchi tratti da ‘Creuza de mä’; ‘Anime salve’ e ‘La buona novella’.
C’è spazio anche per un intermezzo con il solo Cristiano De André sul palco con due sue canzoni: "Bevevi troppo / fumavi un po’ / perso nella tua musica", i versi più toccanti, in quel contesto.
La seconda parte è un viaggio esaltante con le canzoni più conosciute del primo periodo (‘Bocca di rosa’, ‘Via del campo’, ‘La città vecchia’…) e pezzi da altri album epocali come ‘Rimini’ o il disco omonimo che tutti da sempre chiamiamo ‘L’indiano’. Le sedie iniziano a ballare, poco importa l’età di chi ci sta seduto sopra. Per ‘Il pescatore’, che è il bis finale, si alzano tutti in piedi e ci rimarranno per svariati minuti, sospesi in un emozionato e prolungato applauso.
"Non ho certezze, ho da darvi solo qualche piccola emozione", aveva premesso De André in uno dei suoi monologhi tra un pezzo e l’altro. Andò pressappoco così, salvo che le emozioni furono tutt’altro che "piccole", tanto che ancora mi riesce di ritrovarle, precise, dopo 25 anni.
Finito il concerto, nel defluire generale (camminiamo un po’ tutti a mezz’aria), scovo un amico. Siccome fuori fa freddo, decidiamo di restare dentro il palazzetto: abbiamo un po’ di cose da dirci ed emozioni fresche da condividere. A un certo punto ci mettiamo pure a cantare e arrivati – chissà come – all’antichissima ‘Canzone di Barbara’, dal fondo del palazzetto irrompe un urlo: "Belin! Questa non la sentivo da 30 anni!". Ci raggiunge, di gran carriera, Cristiano De André. È visibilmente su di giri e ha una gran voglia di parlare. Ha sentito dire che le case in Svizzera sono dotate di rifugi antiatomici (nel 1998 pareva giustamente una follia) e vorrebbe a tutti i costi vederne uno.
Dopo una surreale mezz’oretta arriva sua sorella, Luvi, poco prima sul palco come corista: "Cristiano! Allora? È da un po’ che ti cerco! Andiamo che è tardi!". Lui nicchia: "Ho trovato degli amici svizzeri… forse mi faranno visitare un rifugio antiatomico… ma tu lo sai che qui in Svizzera…". Lei gli dà platealmente le spalle, bofonchia cose irripetibili e rientra nei camerini. Tornerà di lì a poco: "Cristiano! Io torno con quello delle luci. Ma tu sei sempre il solito inaffidabile!".
Segue una breve parentesi malinconica, poi si esce all’esterno, dove cantiamo anche molto (pure ‘L’uccisione di Babbo Natale’ di De Gregori, ricordo).
È ormai notte, davanti al Palabasket arriva un’auto della polizia, quando abbassano il finestrino mi prendo la briga di spiegare la situazione. Cristiano, da dietro, da buon genovese urla ai poliziotti che rivuole indietro "i 40 sacchi" della vignetta autostradale.
Se ne vanno i poliziotti, se ne va anche Cristiano, con i suoi fantasmi, sulla sua auto targata "800".
Poco meno di un anno dopo, un lunedì mattina, sto studiando nella biblioteca di Lettere, sembra una giornata ordinaria, finché non mi raggiunge un amico con la faccia affranta: "Mauro, hai sentito di De André?".
Chiudo i libri e me ne vado, verso una giornata friborghese irreparabilmente diversa dalle altre, "senza atti d’amore, senza calma di vento".
Mauro Stanga
Il biglietto del concerto del 6 febbraio 1998, un anno prima che morisse