Da ‘The Alfred Hitchcock Hour’ a ‘L'esorcista’, da ‘Citizen Kane’, che lo ispirò, al suo ‘The French Connection’, da Oscar
In questo caldo 7 agosto, tra notizie di film al Festival e cronaca fuori, arriva quella ferale della morte (ieri) del regista e sceneggiatore statunitense William David Friedkin, conosciuto al mondo come autore di ‘The French Connection’ (Il braccio violento della legge, 1971) – cinque Academy Awards tra cui Miglior film, Miglior sceneggiatura adattata e per lui stesso Miglior regista – e de ‘L’esorcista’ (1973), il film horror soprannaturale che gli è valso una nomination all’Oscar come miglior regista.
Un bel lavoro quello di Friedkin, senz’altro tra i più bravi, anche se Sir Alfred Hitchcock, come lo stesso Friedkin ricorda nel suo commento fuori campo nella riedizione in dvd di ‘Vertigo’, del maestro inglese, lo aveva rimproverato: nel 1965, Friedkin aveva diretto uno degli ultimi episodi di ‘The Alfred Hitchcock Hour’, intitolato ‘Off Season’; Hitchcock lo ammonì per non aver indossato la cravatta durante la regia. Erano altri tempi, e il fatto rende comunque bene le difficoltà che esistevano in quel mondo.
Interessante è la storia personale di Friedkin. Nato a Chicago, Illinois, il 29 agosto 1935, era figlio di Rachael (nata Green) e Louis Friedkin; suo padre era un giocatore di softball semi-professionista, marinaio mercantile e venditore di abbigliamento maschile; sua madre, che Friedkin chiamava “una santa”, era un’infermiera in sala operatoria; i genitori, i suoi nonni, e altri parenti fuggirono dall’Ucraina durante un pogrom antiebraico particolarmente violento, il ben conosciuto ‘Pogrom di Kishinev’, nel 1903, che portò molti ebrei a rifugiarsi negli Stati Uniti; storie di violenza, di uccisioni e di stupri, che probabilmente il futuro regista sentiva raccontare in casa.
Friedkin ha iniziato ad andare al cinema da adolescente e ha citato ‘Citizen Kane’ come una delle sue principali influenze. Tra i film visti, da adolescente e da giovane adulto, c’erano ‘Les Diaboliques’, ‘The Wages of Fear’ (in cui molti vedono nel suo ‘Sorcerer’) e ‘Psycho’ (visto ripetutamente, come ‘Citizen Kane’). C’è anche un documentario televisivo, ‘Harvest of Shame’, degli anni 60, che fu importante per il suo sviluppo del senso del cinema.
Tra i suoi sforzi iniziali è incluso ‘The People vs. Paul Crump’ (1962), documentario che vinse un premio al San Francisco International Film Festival e contribuì alla commutazione della condanna a morte di Crump. Un successo che gli spalancò le porte: il suo primo film, ‘Good Times’ (1967), porta in scena le vicissitudini artistiche di un famoso duo canoro dell’epoca, Sonny e Cher, che interpretano sé stessi (il regista lo definirà “inguardabile”). Sono anni di esperimenti, Friedkin si avvicina al mondo del teatro, ne studia le possibilità cinematografiche e al cinema applica la sua visione teatrale. Ecco ‘The birthday party’ (1968, ‘Festa di compleanno’), lo attirano lo spazio stretto, e la possibilità di situazioni claustrofobiche; ecco ‘The French Connection’, gli Oscar e la sua vita cambia.
Chissà, se fosse vivo oggi, cosa direbbe di lui Sir Alfred Hitchcock? Forse, “Signor Friedkin si è messo la cravatta per dirigere i film”?
Friedkin, che nel 2009 aveva ricevuto il Pardo d’onore in occasione della 62esima edizione del Locarno Film Festival, è fra gli esponenti della Nuova Hollywood (un periodo di rinnovamento del cinema statunitense fra la metà degli anni Sessanta e i primi Ottanta) ed è considerato l’innovatore dei generi poliziesco e horror tanto che è stato soprannominato “il regista del Male”.
La sua filmografia, almeno quella cinematografica (si dedicò anche alla televisione), conta una ventina di titoli fra cui il documentario del 1974 ‘Fritz Lang Interviewed by William Friedkin’, cui seguono ‘The Brink’s Job’ (1978), ‘Cruising’ (1980), ‘Deal of the Century’ (1983) e saltando agli anni Duemila ‘Rules of Engagement’ (2000), ‘The Hunted’ (2003), ‘Killer Joe’ (2011) e il recente ‘The Caine Mutiny Court-Martial’ (2023), per il quale era atteso alla prossima Biennale di Venezia, dove, nel 2013 aveva ricevuto il Leone d’oro alla carriera.
Friedkin non è mai stato un autore “facile”, non ha mai cavalcato le mode, si è imposto per uno stile rigoroso e personale, assistito da grande maestria tecnica e da un impegno ideologico poco usuale quanto spesso scomodo. (ANSA/RED)
Keystone
Una scena del film ‘The French Connection’