Il presidente del Plr scrive alle associazioni di categoria, e a ‘laRegione’ spiega: ‘Vogliamo un partenariato forte: economia libera, ma a misura d'uomo’
“Per il Plr la tutela del partenariato sociale è fondamentale e motore di progresso. In questo senso, ci permettiamo di evidenziare l’importanza di un rinnovo del Contratto collettivo di lavoro che vada nella direzione di una politica salariale giusta, moderna e al passo coi tempi”. Il presidente liberale radicale Alessandro Speziali prende carta e penna e scrive ai rappresentanti delle associazioni di categoria e del settore del commercio, ed è una mossa che spariglia il dibattito in vista della votazione cantonale del 18 giugno sulla modifica della Legge sull’apertura dei negozi. Scrive ancora Speziali nella sua lettera: “Anche nell’ottica del mantenimento della pace sociale nel nostro paese, è essenziale che le persone che lavorano possano ricevere un adeguato riconoscimento per il loro impegno professionale”. A colloquio con ‘laRegione’, il presidente del Plr è ancora più chiaro: «Nessuna paura del referendum sulla possibilità di aprire una domenica in più, la nostra è coerenza: l’economia va aiutata, ma va sostenuto anche chi i negozi li anima e offre un servizio alla comunità col suo lavoro».
Da cosa nasce l’idea di farsi promotore di questa iniziativa?
Il senso della proposta approvata dal parlamento e ora in votazione è noto, è un’idea pensata per sostenere il commercio, il turismo e la vitalità dei centri cittadini e dei paesi. Il partenariato sociale, però, è fondamentale: lo abbiamo sempre sottolineato, anche quando si parlava di salario minimo o si menzionano le pressioni sul mercato del lavoro. Il Ccl rappresenta uno dei migliori strumenti di cui possono disporre le parti per arrivare a una soluzione che soddisfi entrambi. E allora, in questo dibattito è emersa più volte la questione del mercato del lavoro? Bene, per noi è stata una volta di più l’occasione per ricordare che il partenariato non è un esercizio retorico, ma in cui davvero crediamo. Il contratto collettivo è importante sia per l’economia, sia per la società. Soprattutto trovandoci in Ticino, a pochi metri dalla frontiera e con una manodopera straniera molto competitiva e che esercita una notevole pressione. Siamo in linea con quanto abbiamo detto fin dalla presentazione di questo atto parlamentare: non vogliamo precarizzare niente, né sdoganare nulla di selvaggio. Anzi, troviamo perfettamente liberale da una parte spingere per maggiori opportunità e libertà per il commercio, e dall’altra chiedere che queste maggiori opportunità e libertà vadano di pari passo con una sensibilità sociale di cui c’è bisogno. Questa nostra lettera vuole essere un contributo concreto, una dimostrazione che abbiamo a cuore sia chi dà lavoro, sia chi prende il lavoro, e restiamo fiduciosi dell’intenzione di queste associazioni di arrivare a concludere questo nuovo Ccl.
Pensa che i sindacati saranno favorevoli a questa proposta anche se viene da un partito, il suo, solitamente dall’altro lato della barricata?
Noi abbiamo scritto ai datori di lavoro perché i sindacati sono ovviamente i primi a volere un Ccl. Noi, è chiaro, siamo più vicini a un mondo sindacale che non è barricadero, ma che vuole arrivare a una sintesi. Nel nostro Comitato cantonale dell’11 maggio abbiamo avuto occasione di avere un dialogo con Mattia Bosco, dei Sindacati indipendenti ticinesi, e mi pare che anche nel mondo sindacale ci sia chi vuole da una parte preservare la qualità del mondo del lavoro, dall’altro permettere a un sistema economico di evolvere, assicurare posti di lavoro e permettere all’economia di essere al passo coi tempi. Evidentemente, come succede in tanti ambiti, i sindacati non sono tutti uguali. Ci vuole pragmatismo. La nostra non è un’iniziativa ideologica, bisogna finalmente congedarsi dalle retoriche massimaliste e cercare concretamente di far fare passi avanti al Cantone. Al commercio in questo caso, senza che ciò si traduca in un passo indietro per chi lavora.
Questa è la sua prima, vera mossa dopo delle Elezioni cantonali che vi hanno visto arretrare. Può essere considerato come l’inizio di una nuova fase?
Il Plr non agisce per reazione, ma per convinzione. Da sempre rivendichiamo di essere un partito interclassista e trasversale non per riempirci la bocca, ma perché lo siamo. Quando c’è un eccesso di assistenzialismo o di statalismo, noi evidentemente lo denunciamo. Ma siamo altrettanto sensibili alla salute del mercato del lavoro, e ci attiviamo concretamente e pragmaticamente in suo sostegno. Vogliamo essere fedeli ai valori della libertà, della coesione e del progresso. Sempre. Senza paraocchi ideologici, portiamo avanti un discorso di crescita, di sviluppo e pure di tutela del mercato del lavoro, perché non ci si può nascondere dietro a un dito. Opporsi al salario minimo come abbiamo fatto non significa essere contro l’interesse dei lavoratori, ma preferire misure migliori e più efficaci come il Contratto collettivo di lavoro: con questo gesto confermiamo coerentemente la nostra posizione quando si è parlato di salario minimo, al quale preferiamo qualcosa di profondamente radicato nella cultura liberale della Svizzera, e senza arrossire chiediamo si consolidi.
In questa proposta c’è anche un po’ di timore davanti alla campagna incisiva del fronte contrario in vista del 18 giugno e al loro ‘la domenica non si tocca’?
Noi andiamo avanti per la nostra strada, insieme a tutti coloro che hanno a cuore il commercio e la vitalità del territorio. Il Ccl non è un fulmine a ciel sereno, come detto: lo rivendichiamo da sempre come pietra angolare per arrivare alla pace sociale. Dopo, al di là delle parole, è importante passare ai fatti e sostenere a viso aperto quanto si sostiene. Per il nostro partito è un segno non tanto verso quelli che a prescindere sono contrari alla possibilità di aumentare le aperture dei negozi, ma un gesto di coerenza. Nella sua storia, il Plr si è sempre contraddistinto per l’idea di progresso: andremo avanti a sostenere un’economia libera, ma anche a misura d’uomo. Con una buona dose di realismo.