La città si conferma la più dinamica del Paese, ma stupisce l’ancor forte calamita demografica esercitata dai comuni limitrofi a fronte del suo potenziale
«Da Lugano ci siamo passati tutti». Sembrerà paradossale partire da un diffuso luogo comune in Ticino per commentare un tema scientifico come le statistiche demografiche di Lugano. Ma quando cifre e sensazioni empiriche combaciano, forse è la strada più diretta. Soprattutto se l’esercizio è sintetizzare un centinaio di pagine, fitte di dati e analisi. L’aspetto più significativo che ne emerge è che la ragione che ha posto fine a un lustro abbondante di decrescita demografica, mentre gli altri principali centri svizzeri crescevano, è una sola: l’immigrazione. Con buona pace di chi piuttosto che ammettere l’esistenza di aspetti positivi del fenomeno preferirebbe trasferirsi permanentemente su Plutone.
A questi ultimi consigliamo la lettura della ‘Storia svizzera delle migrazioni’. Di pagina 172, per esempio. Sui 13’000 abitanti scarsi che Lugano contava nel 1910, oltre 6’500 erano stranieri: il 50,5%. Più di qualsiasi altra città elvetica: Ginevra era al 42%, Basilea al 38%, Zurigo al 34% e Bellinzona al 33%. Ma soprattutto: oltre cent’anni fa la quota di residenti stranieri era superiore a quella odierna (oggi siamo sul 60% di svizzeri e il 40% di stranieri). Oltre alla storia, c’è la statistica moderna, che ci dice che rispetto a tutte le altre grandi città del Paese, ovviamente con le dovute proporzioni, Lugano è in assoluto la città svizzera a mostrare la maggiore dinamicità migratoria. Ossia, ci si trasferisce da e in città molto più che nel resto della Svizzera. Il luganese ha quindi la valigia facile e le migrazioni sono nel Dna della città.
Pur mantenendo questo status di capitale migratoria anche durante la recente recessione demografica, Lugano ha purtroppo patito il confronto con il dinamismo delle altre città svizzere e ticinesi. Bellinzona, che con oltre 22’000 abitanti in meno non è proprio alle sue calcagna, l’ha fatta sfigurare più di una volta negli ultimi anni. Per non parlare poi dei comuni limitrofi del Luganese, che nel 2022 hanno attirato il 70% di tutte le persone che hanno lasciato la città. E proprio in quest’ultimo aspetto risiede un paradosso nonché una rilevante sfida politica, a nostro avviso, per Palazzo civico.
Lo spopolamento dei centri a favore delle periferie non è certo una caratteristica solo luganese, ma la fetta di persone che se ne vanno potrebbe essere significativamente minore. È questo l’aspetto più inedito che emerge dal censimento condotto l’anno scorso in città, che rivela che quasi il 40% delle motivazioni che portano le persone a trasferirsi sono legate a fattori potenzialmente evitabili, quali: la qualità di vita, le aree verdi, il costo degli affitti, i problemi legati alla mobilità o all’inquinamento. Temi sui quali l’azione politica può rivelarsi decisiva.
Prendiamo le aree verdi, che a Lugano non mancano. Cosa porta i luganesi a trasferirsi nei comuni collinari che circondano la città invece che in Val Colla o a Carona e Carabbia? Quartieri della Val Colla che, peraltro, registrano i tassi più bassi di reddito pro capite. E chi se ne va da Lugano, altra evidenza scientifica, è per il 62% di ceto medio-basso. La Città negli ultimi anni si è molto impegnata dal profilo della conciliabilità famiglia-lavoro, a partire dal dossier ‘Mense per tutti’. Grazie all’immigrazione la macchina demografica che si era inceppata è ripartita, ora ‘l’altra Lugano’ aspetta di essere valorizzata. C’è ancora un ampio margine di azione e di miglioramento.