Giovedì 26 settembre 1991, Giovanni Falcone sul palco del Teatro Parioli, casa del ‘Maurizio Costanzo Show’ che sfidava la mafia
Se la mafia tenta di farti saltare in aria e non appartieni alla famiglia mafiosa concorrente, allora vuol dire che qualcosa di buono hai fatto nella vita, non importa quante siano state le stupidate precedenti. Anche avere la tessera 1819 della P2, loggia massonica. "Sono stato un cretino perché non me ne sono accorto, perché sono stato molto leggero, perché era una stagione della mia vita, ero piuttosto giovane, senza nessun tipo di attenzione. E quindi sono stato un cretino e sono stato felice di aver chiamato Scalfari di Repubblica per farmi intervistare da Pansa, e mi sono liberato. Altri della lista mi hanno insultato, ma non me n’è mai fregato niente".
Così, nel 2019, Maurizio Costanzo riassumeva a Peter Gomez del ‘Fatto’ quella scomoda appartenenza risalente al 1980. E dunque, nel ricordare chi ha fatto la storia di un Paese – e il giornalista, conduttore televisivo, radiofonico, autore, sceneggiatore italiano spentosi ieri a Roma ne ha scritta più di una pagina – per non cadere nell’agiografia, è bene e bello metterci tutto. Perché di tutta quella parte di vita, piccola o grande, che abbiamo trascorso davanti alla tv tra ‘Bontà loro’ – talk-show nuovo e affascinante – e il ‘Maurizio Costanzo Show’, c’è un momento di televisione eroica che conta più di ogni altra azione. Andò in onda giovedì 26 settembre 1991, con Giovanni Falcone sul palco del Teatro Parioli, sede del ‘Costanzo Show’, e il giovane militante Cuffaro, futuro presidente della Regione Sicilia, collegato da Palermo a denunciare la "volgare aggressione alla classe dirigente migliore che abbia la Democrazia Cristiana in Sicilia", ovvero il ricordo di Libero Grassi, imprenditore ucciso da Cosa Nostra un mese prima, all’interno di una staffetta televisiva che univa Rai 3 a Mediaset, il Michele Santoro di ‘Samarcanda’ al ‘Maurizio Costanzo Show’, lo dice il nome, di Maurizio Costanzo. "Quello che avete fatto questa sera è giornalismo mafioso", disse Cuffaro. Un giornalismo così mafioso che di lì a due anni la mafia tentò di far saltare in aria l’auto di Costanzo – con Costanzo dentro – senza riuscirci. Nel c’ero anch’io televisivo (grazie al Tubo, l’esperienza è per tutti), quello fu un momento di grande televisione, come si è soliti dire, tanto per la portata politica e sociale del messaggio, tanto per il coraggio di chi quella sera ci mise la faccia, quanto per la qualità del cosiddetto ‘intrattenimento’, quello migliore, che in un’epoca non ancora dominata dal bisogno di classificazione poteva andare da Platinette alla camorra, da Walter Nudo alla Storia dell’Arte, da Gorbaciov a Maradona, tutto nella stessa trasmissione.
Nell’intrattenimento collettivo, nell’arco di qualità fisiologica di ogni proposta editoriale/televisiva, il ‘Costanzo Show’ ha sempre avuto una doppia funzione: se ne poteva essere regolari e appassionati fruitori oppure, se proprio in televisione non davano nulla d’interessante, si poteva disporre di un modo dignitoso per finire la serata: girare su Canale 5, con la certezza di trovare Costanzo sul trespolo, chioccia di un’umanità varia – di un talentuoso tra l’estremamente e il sufficientemente – lì per raccontare e raccontarsi, tra vere e finte timidezze, piccole e grandi ammissioni di colpa, lanci autopromozionali, autobiografie viventi, manie di grandezza, deliri di onnipotenza, carriere in rampa di lancio e monumenti vari.
Se davvero una pecca si vuole trovare nella storia mediatica di un comunicatore senza pari, è semmai l’intrattenimento domenicale, che segnò il declino della proposta televisiva italiana. Con l’arrivo del Grande Fratello – non la prima edizione, dove ancora il voyeurismo aveva una sua ragion d’essere, ma dalla seconda in avanti, quando il trucco era ormai noto a tutti – quella ‘Buona domenica’ che era stata a lungo un contenitore popolare di gente che ballava e cantava assai bene, sotto la guida di Costanzo perse l’identità del salotto di famiglia così come l’aveva concepita la Rai da Corrado in poi, per darsi – gradatamente ma irrimediabilmente – al reality spinto, aprendo, un ventennio più tardi, ai fenomeni da baraccone. Fu così che l’utente medio si trovò a passare dalla satira del Trio a ‘Domenica In’ al canguro arrapato (o ‘Cangurotto’) di ‘Buona domenica’: guerra in tv non ve n’era, i virus pandemici sonnecchiavano ancora nei romanzi e nessuno sentiva il bisogno di trascorrere le domeniche con un pupazzo che tentava d’ingropparsi chiunque.
In senso negativo, quella piccola deriva televisiva che ci ha portati sino a ‘Domenica Live’, punto di non ritorno (nel senso che pare l’abbiano chiusa e forse così in basso non torneremo più), non ha prezzo; per tutto il resto, c’è il giornalista.