Una generazione in ansia per il futuro, sofferente, globale, connessa, un po’ moralista, che sa sperimentare e saprà essere più inclusiva
Perché la Generazione Z è così sofferente? Sono globali, fluidi, impegnati, un po’ moralisti. Parliamo della generazione (1997-2010) nata con uno smartphone in mano, che vive senza soluzione di continuità tra offline e online (ma soprattutto online); spesso cammina, mangia, si rilassa fissando un telefono. Tanti sognano di diventare blogger, influencer, youtuber, yougamer, con numeri da capogiro, per dettare gusti e abitudini ai loro coetanei, raccontando semplicemente loro stessi. Non tutti, ma una parte.
È purtroppo una generazione molto sofferente, come fotografano diversi studi. Un terzo manifesta problemi psichici, uno su undici ha già cercato di togliersi la vita, il 29% non parla con nessuno dei suoi problemi, meno della metà chiede aiuto a un servizio di assistenza psicosociale. Lo indica un vasto studio fatto in Svizzera (su 1’097 ragazzi tra 14 e 19 anni) pubblicato da Unicef. Tendenze confermate dall’Ufficio federale di statistica, che ha registrato nel 2021 tra gli adolescenti un aumento del 52% delle ospedalizzazioni per disturbi psichici e comportamentali. Una ragazza su cento è finita in ospedale.
Pandemia, guerra, inflazione hanno avuto un impatto, ma c’è di più. Dietro a tanta sofferenza c’è un’ansia sociale aumentata, accelerata, che sta maturando in rabbia e violenza. Se scaricata contro sé stessi può diventare depressione, suicidio, autolesionismo: in clinica arrivano più ragazzini che si tagliano, dipingendo così il loro dolore sulla pelle. Se condivisa è meno tossica per il singolo e può diventare il primo passo verso la nascita di movimenti strutturati. Lo vediamo ad esempio quando gli attivisti per il clima si incollano sulla strada, quando imbrattano opere di Klimt, Van Gogh, Monet. Oltre al clamore momentaneo, queste provocazioni non mettono certo una pezza all’inquinamento, allo sfruttamento non sostenibile delle risorse e al surriscaldamento. Non risolvono nulla, ma sono la spia di una rabbia sociale che monta. Da decenni gli scienziati lanciano allarmi, mentre i politici promettono soluzioni che restano inapplicate. A pagare ora sono i più poveri. A pagare in futuro saranno loro, i giovani.
È soprattutto la crisi ambientale a plasmare i valori di riferimento di questa generazione ansiosa e pessimista, che non vuole figli in un mondo che giudica senza futuro. Ce lo raccontano tre ragazzi Z: l’attivista Ismea Guidotti, l’hacker etico Riccardo Brigatti e l’aspirante giornalista Sophie Blonk. Mentre i sociologi leggono i segnali di un’imminente trasformazione. Per il professor Sandro Cattacin "vedremo accelerare il cambiamento sociale verso una società decelerata". I post-millennial stanno cercando la loro strada, fissando le priorità della prossima generazione al potere. Probabilmente avremo più divieti, ma anche più inclusione. A Ginevra metà della popolazione non ha un’auto privata. Chi l’ha viene considerato ‘irresponsabile’. La classe politica più giovane sposa questi valori e li porterà avanti. Ma darà anche voce a istanze più inclusive, tipiche di una generazione che sa sperimentare e per la quale, ad esempio, il genere non definisce una persona. Sapranno probabilmente costruire (e questo è un bene!) una società più tollerante, dove la diversità non è temuta ma normale. La vera sfida sarà riuscire a comunicare tra generazioni: l’accelerazione è tale che perfino un 20enne oggi fatica a relazionarsi con un 15enne.