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Noi ragazzi Z non vediamo un futuro. Moralisti? Impegnati

Fluidi, inclusivi, ansiosi, connessi, non vogliono figli, attivisti. Una nuova classe politica senz’auto, che sogna una società decelerata

Fluidi, inclusivi, ansiosi, connessi, non vogliono figli, attivisti. Una nuova classe politica senz’auto, che sogna una società decelerata

9 gennaio 2023
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La Generazione Z sta cercando la sua strada. Attenti a sé stessi, ansiosi, pigri, social, post-capitalisti, moralisti. Contenitori che non dicono tutto ma tratteggiano tendenze. I giovani Z (1997-2010) vogliono più attenzione a sostenibilità, tengono al clima e sono pronti alla rinuncia. Non tracciano confini netti tra hobby e lavoro retribuito. Sono fluidi, sperimentano, anche la loro identità sessuale. Di conseguenza sono rispettosi delle differenze, sognano una società inclusiva. Sono anche più ‘moralisti’. Lo si vede a Ginevra dove il 55% della popolazione (e chi governa) non ha un’auto. Come si vedono loro ce lo raccontano Sophie, Riccardo e Ismea. «Quello che è certo è che siamo di fronte a un enorme cambiamento. Vedremo accelerare il cambiamento sociale verso una società decelerata», ci spiega il professor Sandro Cattacin, docente di sociologia all’Università di Ginevra. Vediamo perché.

Quali sono i tratti della Generazione Z?

Ogni generazione è più o meno marcata da eventi che la definiscono. Dai 16 ai 25 anni si costruisce la propria identità: cosa succede influenza il sistema di valori di riferimento. Abbiamo attraversato varie crisi che stanno plasmando una generazione ansiosa, che fatica ad avere una visione positiva del futuro. Una parte dei 20enni sta soffrendo molto. Lo attestano vari sondaggi.

Crisi ambientale, economica, pandemia, guerra… che tipo di leader potrebbero produrre?

Anche negli anni 80 e fine anni 60, una parte dei giovani stava male ed era depressa. ‘No future’, ad esempio, era lo slogan dei gruppi punk. Anche allora, la condivisione di questo malessere ha creato rabbia e violenza. Vedevamo vetrine rotte nelle città. Oggi i giovani attivisti si incollano sulla strada. Come nel 1968, all’inizio si rompeva tutto, dopo circa 10 anni sono nati movimenti strutturati in favore dell’ecologia, della pace, contro il razzismo. Detto questo: manifestare la rabbia è salutare perché scongiura la depressione ed è il primo passo verso la razionalizzazione, l’agire consapevole. Da queste dinamiche collettive nascono movimenti.

Quali valori stanno emergendo?

Siamo agli inizi di un cambiamento sociale. Fino agli anni 60 c’erano rivendicazioni materialistiche. Poi iniziano a emergere movimenti orientati a valori sociali antimaterialisti. Dagli anni 80, si sviluppano movimenti che mettono al centro l’individuo, la sua soggettività, una vita essenziale. Questi esperimenti oggi si stanno radicalizzando. Siamo confrontati con movimenti ego-centrati: al centro ci sono l’individuo e le sue sofferenze condivise, tra l’altro facilmente grazie ai social media, adatti a questo tipo di messa in scena della sofferenza.

Come sono diversi dalle generazioni precedenti?

Sono centrati su sé stessi, sperimentano, e hanno una grande consapevolezza della fragilità dell’individuo. Ed è una forza perché questi movimenti produrranno una società inclusiva, rispettosa delle differenze. Se chiedi a un 18enne quale è il suo orientamento sessuale, facilmente può risponderti che non lo sa. Sta sperimentando.

Lavoro, amici, tempo libero… come stanno cambiando le priorità?

Osserviamo una disaffezione al lavoro che in media si cambia ogni 5 anni. Da qualche decennio il lavoro ha perso la sua centralità nella costruzione identitaria, che avviene in altri ambiti. I giovani non vogliono essere come i loro genitori che lavoravano 60 ore la settimana anche quando nessuno glielo chiedeva. Vogliono una vita che abbia un senso e permetta loro di vivere in modo dignitoso. Di riflesso sempre più imprese stanno sperimentando la settimana di 4 giorni.

Le assicurazioni sociali sono strutturate su una popolazione che lavora a tempo pieno, non rischia di saltare tutto?

Se lavori quattro giorni e guadagni lo stesso salario (come in Islanda) non avremo un effetto sulle assicurazioni sociali. La nuova direzione è lavorare in modo diverso senza diminuire i salari. Osserviamo invece una decelerazione: riciclare, affittare piuttosto che acquistare, vivere più modestamente, mettere in primo piano valori ambientali e relazionali. Gli oggetti con una forte simbologia materiale (la villa, il Suv) interessano meno le nuove generazioni. Preferiscono un’economia di qualità: vai meno al ristorante, ma quando ci vai, cerchi quello attento ai prodotti biologici e a chilometro zero.

Quando saranno al potere che tipo di società plasmeranno?

Vista una predisposizione al moralismo avremo probabilmente più divieti. Lo vediamo già: a Ginevra il 55% della popolazione (anche chi governa) non ha un’auto privata. Chi ce l’ha viene giudicato un ‘irresponsabile’. La nuova classe politica si identifica con questi valori. Inoltre, assisteremo a un salto generazionale: i ‘boomers’ (chi ha 55-70 anni) hanno bloccato le posizioni di potere per tanto tempo, di fatto saltando la generazione dei 40enni. I trentenni avranno presto il palcoscenico libero: con loro, vedremo accelerare il cambiamento sociale verso una società decelerata.
La prossima generazione è già in attesa. Chissà come saranno i nati tra il 2010 e il 2015. Quello che è certo, conclude il professore, è che oggi possiamo parlare di nuove generazioni ogni 4 anni: i 20enni faticano a relazionarsi coi 16enni, non ascoltano la stessa musica, usano linguaggi diversi.

La testimonianza di Ismea

‘Non vediamo un futuro, la mia generazione non vuole fare figli’

Ismea Guidotti, 22 anni, studentessa di Relazioni internazionali all’Università di San Gallo, attivista ambientale, consigliera comunale a Stabio (Gus) incarna lo spirito della Generazione Z: socialmente e politicamente impegnata, anticapitalista, in ansia per il futuro, giudicata da alcuni anche moralista. «Certo c’è pessimismo. Chiunque abbia letto le tendenze ambientali può provare una preoccupazione più che giustificata. Anzi, dirò di più. Pur cercando di rimanere speranzosi, tanti miei coetanei non vogliono avere figli in un mondo dove la crisi climatica sta scavando enormi diseguaglianze. Quale futuro ha l’umanità? Sarebbe nell’interesse di tutti, anche dell’economia, costruire un futuro sostenibile».

Sta esplorando vari ambiti extra curricolari, dai movimenti per il clima a club politici che ricalcano il modello delle nazioni unite. Nel suo piccolo, opta per scelte coerenti. «Sono vegana, ero a New York per studio e ci sono andata in aereo, ma per le ferie scelgo il treno, sogno di non dover mai acquistare un’auto». Da grande vorrebbe lavorare per un’associazione non governativa attiva per i diritti umani e l’ambiente. Non esclude la diplomazia statale. Sulla fluidità di genere, un tratto che caratterizza la sua generazione, aperta alla sperimentazione, anche in ambito d’identità sessuale, è pragmatica: «È molto positivo, che ciascuno possa sperimentare senza rientrare in un’etichetta sociale, allo stesso tempo a tratti è destabilizzante perché senza etichette inizialmente può risultare più difficile orientarsi, sia riguardo la propria identità che rispetto agli altri. Ci sono tanti termini nuovi e tante sfaccettature quando si parla di sesso, genere, e orientamento sessuale e a volte è difficile esprimersi in modo inclusivo». Quando lei era adolescente, spiega, la fluidità di genere non era ancora un tema così dibattuto.

La testimonianza di Riccardo

‘Non siamo solo su TikTok, vogliamo fare la nostra parte’

Della sua generazione dice: «Non siamo solo su TikTok, vogliamo fare la nostra parte per migliorare questo mondo». È un nativo digitale, la rete è la sua seconda casa, ci è entrato per la prima volta a 7 anni, oggi ci passa fino a 12 ore al giorno. Di mestiere fa l’hacker e gioca con la squadra dei buoni, in gergo si chiamano ‘ethical hacker’. Riccardo Brigatti, 24 anni, cresciuto a Lugano è un esperto di cyber sicurezza. Lavora e studia. La sua passione è diventata la sua professione. «Testiamo la sicurezza di grandi aziende, simuliamo un attacco criminale informatico e analizziamo se ci sono falle", ci spiega. Il suo primo cellulare l’ha avuto a 10 anni. Coi social media ha un rapporto tiepido, non gli piace mettersi in vetrina. «La tecnologia è un’opportunità per tutti. I social li guardo ma non posto di frequente. Vedo dei vantaggi, ad esempio, per piccole aziende che possono fare marketing a costi ridotti". E tanti rischi. «C’è sempre chi vuole venderti qualche formula magica, la scorciatoia per ottenere risultati incredibili senza sforzo. Funziona forse per pochissimi. Queste mode stanno intaccando valori che ritengo importanti. Senza impegno non si raggiunge nulla».


Dopo l’apprendistato come informatico sistemista, Riccardo Brigatti fa il militare, l’esercito lo arruola in una task Force specializzata in sicurezza informatica. Continua gli studi superiori come ingegnere informatico e lavora per una azienda di cyber sicurezza. «Mi piace molto».
Non è in ansia per il futuro, come altri giovani della generazione Z. «Questo settore è in forte crescita, sono le aziende che vengono a cercarti, ma devi impegnarti. Vedo miei coetanei più rassegnati». Leggiamo tra le pieghe della sua vita, un altro tratto tipico della sua generazione: l’etica. Nel suo settore, girano tantissimi soldi, un bravo hacker potrebbe anche passare alla parte oscura... "Un hacker etico ha un buon stipendio. Inoltre, credo che la parte buona vinca sempre su quella criminale. Lealtà, fiducia e impegno portano gratificazioni anche nel mondo virtuale". Non è un attivista ma è sensibile ai temi ambientali. "Riutilizzo il riutilizzabile". Definisce "una follia ambientale", le sigarette elettroniche usa e getta. "Mi chiedo come possano produrle per sedurre una generazione che sarà proprio la più toccata dai cambiamenti climatici".

La testimonianza di Sophie

‘Il lavoro non definisce chi sono’

Fin da bambina, si è esibita in spettacoli teatrali, in serate di flamenco, ha organizzato bancarelle al mercato di Bellinzona. Tutto con un obiettivo: salvare gli animali. «La mia priorità è rendere il mondo un posto più bello, soprattutto per i più indifesi, come animali e bambini. Da adolescente ho organizzato cene di beneficenza e campi estivi in favore di WWF, durante gli studi ho lavorato per l’Unicef Svizzera e Liechtenstein. Volevo esserci, fare la mia parte in un mondo sempre più difficile e ansiogeno», ci racconta Sophie Blonk, 25 anni. Studi in scienze politiche e germanistica, cresciuta a BellFinzona, con una finestra aperta sull’Olanda, patria nativa dei suoi genitori. Ora lei vive e lavora a Zurigo, dove sta facendo uno stage alla televisione SRF. Vuole diventare giornalista.

La sua motivazione ricalca le aspirazioni della sua generazione, molto impegnata socialmente. Secondo il barometro della gioventù del Credit suisse, tra le preoccupazioni dei giovani, al secondo posto c’è il cambiamento climatico e sta aumentando la paura di non farcela economicamente. «Voglio raccontare le storie degli ultimi, chi non ha diritti, gli emarginati, i più svantaggiati, voglio far emergere la loro resilienza, il loro coraggio. Far luce su ingiustizie e disuguaglianze, aiuta la comunità a creare un cambiamento». È pragmatica e il futuro lo vede a tinte rosse. «Mi preoccupa vedere come va la politica, la guerra in ucraina mi mette ansia, e mi rattrista vedere le carestie in Africa peggiorate dai cambiamenti climatici. Capisco chi scappa per stare meglio, ma non è nemmeno possibile che tutta l’Africa venga qui. Occorre trovare soluzioni per farli stare bene a casa loro». La 25enne, non ricalca di certo un tratto della sua generazione, una certa pigrizia, tratti depressivi. «Il lavoro non definisce chi sono, ma è importante e voglio investirci energie, anche per far carriera. Un giorno sarò madre, la famiglia è importante. Anche gli amici lo sono, con loro mi diverto, mi rendono felice».