Gli eredi del ‘papà’ dello shopping center si oppongono al progetto di ristrutturazione. Evocata la Legge sui diritti d’autore
Non chiamatela ristrutturazione. Chi, pur a distanza di oltre mezzo secolo, ha ancora negli occhi l’idea architettonica che ha ispirato il Serfontana, quel maxi lifting messo in cantiere dalla comproprietà proprio non lo digerisce. L’operazione, imponente nell’investimento – si parla di circa 55 milioni di franchi per tre anni di lavori – e radicale nell’intervento – dai sotterranei al tetto –, sta incontrando infatti delle chiare resistenze. Se l’intento di togliere la patina del tempo che passa è comprensibile, meno accettabile per gli eredi del ‘papà’ dello storico shopping center di Morbio Inferiore, l’architetto Franco Bircher (1925-2005), è un ammodernamento che possa tradire lo spirito originario. Il loro verdetto è senza appello: il progetto depositato in Comune (e in pubblicazione sino alla giornata odierna) "annulla" linee, qualità e concetto spaziale e geometrico del complesso così come fu concepito.
Ragioni più che sufficienti per recapitare al Municipio una opposizione formale alla licenza edilizia. Dare via libera ai lavori, si legge nel documento, è come ridurre il complesso – un unicum all’epoca in Ticino – a "una qualsiasi scatola commerciale priva di qualità e spazi particolari per poterla ancora definire effettivamente shopping center". E di questi esempi, si sottolinea, "il cantone ne è ormai pieno".
Chi contesta oggi l’opera di ammodernamento del centro, pensato e progettato da Bircher tra il 1969 e il 1974 non ne fa solo una questione tecnica. Qui, fanno capire a chiare lettere i firmatari dell’opposizione, si lede la proprietà intellettuale. Un po’ a sorpresa ci si appella alla Legge sui diritti d’autore. Tanto più che, si annota, sembra che per scegliere il progetto vincente si sia lanciato un concorso privato, "senza interpellare gli interessati". Il risultato? Un risanamento interno ed esterno "invasivo e di dubbia qualità funzionale".
All’epoca, ricordano gli autori del documento, si è data forma a "una costruzione innovativa, di particolare qualità, un disegno preciso, un carattere spaziale d’uso rilevante e distintivo, di geometria intrigante, di ragguardevoli misure che permetteva un’esperienza degli acquisti, socialmente aggregativa e di confronto collettivo unici". Caratteristiche, si annota, "ancora salde, attuali e contemporanee". Si tratta, si rilancia, di un "esempio di architettura industriale qualitativa che va tutelata". Ecco perché la proposta messa sul tavolo del Comune viene ritenuta di "carattere fuorviante". L’opposizione, del resto, non va per il sottile. "Anziché riqualificare il disegno volumetrico e di facciata originari, valorizzandoli e rendendoli attuali e contemporanei, si procede a un loro annullamento, tentando di nascondere goffamente un’opera industriale di pregio con strutture e alberature che non hanno uno scopo se non irrito, fuorviante e offensivo", si ribadisce.
I firmatari dell’opposizione mettono in dubbio, d’altro canto, anche le modifiche, "importanti", apportate nel corso degli anni. Il riferimento qui è "all’oscuramento della piscina" e alla "trasformazione degli spazi interni su più livelli, volti concettualmente a sostenere la connessione sociale combinata all’esperienza d’acquisto". Ebbene, sembra, si ipotizza, che le opere eseguite "non siano dotate di un titolo autorizzativo valido (licenze edilizie)". Dopo verifica, si fa presente, risultano di principio solo "parziali autorizzazioni di opere minori". La richiesta ancorata all’opposizione sollecita quindi la visione dell’intera documentazione. L’obiettivo? Duplice: da un lato verificare se quanto realizzato sia conforme al diritto edilizio, dall’altro tutelare la proprietà intellettuale. Nel mirino dei censori finiscono anche elementi puntuali al centro dell’operazione, a cominciare dalla futura facciata punteggiata da alberature viste come uno "pseudo filtro verde". La critica raggiunge, però, anche la disposizione degli spazi interni: con l’intervento si traduce una "anonima razionalizzazione dei percorsi interni", che riduce "all’essenziale gli spazi liberi al di fuori dei negozi, aumentando invece la superficie degli spazi di vendita". Insomma, si scandisce, niente a che vedere con l’idea iniziale. E se si prospetta come un problema l’inserimento armonioso nel paesaggio, la revisione del disegno originale della torre elimina di fatto i riferimenti alle sorgenti del luogo, "trasformandola in una sorta di canna fumaria". Morale: "L’esercizio estetico è sconcertante" e si somma ad altri interventi "lesivi, come la cancellazione degli spazi, la luce e la fontana sorgiva". Ergo, tutto da rifare.