L’azienda di delivery vuole che i driver riconoscano l’attesa come ‘orario non lavorativo’. Unia insorge: ‘nessuna raccomandazione dall’Ufficio cantonale’
«Ormai non abbiamo più alcuna richiesta per Divoora. Il loro modo di lavorare e la loro politica aziendale sono chiare. Ognuno si assumerà le sue responsabilità». Non è andata a buon fine, come si può intuire dalle parole del segretario regionale di Unia Giangiorgio Gargantini, la conciliazione tra la ditta di delivery e i rappresentanti dei fattorini (‘driver’). Al centro della vertenza la paga di 35 centesimi al minuto, corrisposta esclusivamente durante il periodo effettivo della consegna, indicata all’interno dei contratti sottoposti ai collaboratori lo scorso mese di ottobre. Un escamotage, come lo avevano definito i sindacati, per aggirare l’introduzione della Legge sul salario minimo. «Durante il periodo di conciliazione, con le discussioni ancora in corso, Divoora ha sottoposto ai driver un nuovo contratto», ha spiegato Chiara Landi di Unia durante un incontro con i media. «Firmando questo documento il dipendente riconosce che il tempo d’attesa non è lavoro, e quindi non va retribuito. Non è accettabile, si vuole creare un vincolo psicologico con il lavoratore e spingerlo a rinunciare ai suoi diritti». Questo il passaggio del nuovo contratto contestato: "Di comune accordo i contraenti pattuiscono pertanto, che il tempo tra un servizio e l’altro non è da considerarsi ‘tempo d’attesa’, ‘di prontezza’ o di disponibilità’. Per orario di lavoro si intende ai sensi del presente contratto unicamente il tempo impiegato per effettuare una singola consegna". Sono state in totale tre le sedute di conciliazione che si sono tenute tra le parti, nel periodo compreso tra il 10 marzo e il 14 aprile. L’azienda, dai noi interpellata, ha comunicato che al momento non intende prendere posizione.
Il nuovo contratto entrerà in vigore, nelle intenzioni dell’azienda di Breganzona, a partire dal 1° maggio (giorno della festa dei lavoratori, ndr). «Alcuni dipendenti hanno già firmato, altri si sono presi del tempo per decidere. Questo però non cambia le rivendicazioni, che vanno avanti anche se si mette la firma sul contratto. Una scelta spesso dettata da una situazione economica molto delicata», ha proseguito Landi. Un altro punto contestato è quello legato ai rimborsi spesa (come ad esempio la benzina), che Divoora riconosce ai suoi collaboratori. «Sono stati introdotti dei nuovi tariffari, diversi per ogni dipendente. Non si capisce quali sono i criteri utilizzati per stabilire le cifre, che sono irrisorie». Qualche esempio? Ai driver che utilizzano il proprio veicolo viene corrisposto un rimborso pari a circa 17 centesimi al chilometro. «Per altri si parla di 16 centesimi, o magari 20. Siamo comunque ben distanti dai 70 centesimi indicati dal Touring club svizzero (Tcs). Senza considerare gli attuali prezzi di benzina e diesel». Per chi invece si sposta con la bicicletta (anche elettrica) il rimborso ammonta a 30 centesimi l’ora, mentre per quanto riguarda il cellulare (utilizzato per ricevere l’ordine, e di proprietà del driver) si riconosce 5 franchi fino a 110 ore di lavoro e 10 franchi dalle 110 ore alle 184. «I rimborsi non coprono le spese effettive dei corrieri. Siamo nella situazione dove si deve pagare per lavorare», ribadisce Landi. A essere rimproverato all’azienda è il non voler riconoscere che un modello sostenibile, che corrisponda paghe dignitose, può essere applicato. «L’esempio ci è dato da alcuni paesi limitrofi, dove i sindacati hanno trovato un accordo con Justeat alle condizioni da noi proposte». Il riferimento è al pagamento corrisposto al dipendente per tutto il tempo durante il quale è a disposizione dell’azienda.
Chiamato in causa nelle trattative anche l’Ufficio cantonale di conciliazione, presieduto da Christian Vitta. «Auspicavamo che l’Ufficio desse delle raccomandazioni all’azienda, ma non è stato così», ha spiegato Gargantini. «Non si trattava di un passaggio obbligato. Ma in altri cantoni, durante vertenze di questo genere, era successo». Ufficio che da noi contattato ha spiegato di non voler commentare casi specifici, sottolineando tuttavia che il suo ruolo è quello di cercare di conciliare le parti, nel limite della volontà di quest’ultime, e non fornire raccomandazioni. Dell’esito della trattativa è stato avvisato anche il Consiglio di Stato. L’appello dei rappresentanti delle parti sociali si è quindi rivolto ai sindaci dei grandi centri urbani, ai ristoranti partner della piattaforma («che vedono sotto i loro occhi questi abusi») e alla popolazione. «Come clienti non possiamo essere complici di queste politiche aziendali. Se la consegna è gratis, come indica l’ultima pubblicità promossa da Divoora, vuol dire che c’è qualcuno che la sta pagando per noi. In questo caso il driver». La vicenda è comunque destinata a far discutere anche in futuro. Recentemente Divoora ha infatti ampliato la sua offerta di consegne. Oltre al cibo è ora possibile farsi portare a casa anche altri generi, come i farmaci o la spesa. «Questo comporta, secondo la Legge federale sulle poste (Lpo), il doversi notificare come ditta di spedizione. Cosa che Divoora al momento non ci risulta abbia fatto». La notifica è quindi stata inoltrata negli scorsi giorni da Unia alla commissione competente. «Se venisse accettata imporrebbe l’introduzione di un contratto collettivo di lavoro, che saremmo felici di discutere per trovare una soluzione soddisfacente per tutti», conclude il segretario cantonale di Unia.