L’azienda non vuole riconoscere il tempo di attesa fra una consegna e l’altra. I dipendenti: ‘Dove sono i nostri diritti? Siamo esseri umani, non schiavi’
I driver Divoora incrociano le braccia, al grido «la dignità e i diritti non si possono... divorare». In piazza della Riforma a Lugano è stata annunciata oggi una giornata di mobilitazione e di astensione dal lavoro, dopo che le trattative fra dipendenti e sindacati da un lato e azienda dall’altro sono ieri naufragate. Così, i dipendenti si sono riuniti in assemblea e sostenuti dai sindacati Unia e Ocst hanno deciso di entrare in sciopero.
Il caso Divoora è esploso circa due mesi fa, quando ai dipendenti sono stati cambiati i contratti peggiorandone notevolmente le condizioni di lavoro, non riconoscendo in sostanza i tempi di attesa fra una consegna e l’altra. «Ieri purtroppo l’azienda ha rifiutato la richiesta base, ossia il riconoscimento di ogni ora lavorata», ha detto Giangiorgio Gargantini (Unia). La tesi padronale sarebbe che i lavoratori possono rifiutare le ordinazioni: «Non sta né in cielo né in terra». «A fronte del rifiuto dei lavoratori di adattarsi a queste condizioni – ha proseguito il sindacalista – l’azienda sta investendo in targhe ticinesi da apporre sui veicoli per trovare in tal modo lavoratori disposti a essere pagati così poco (il riferimento è ai frontalieri, ndr)». E qualcuno che accetta di essere sottopagato sarebbe già stato trovato: «Abbiamo informazioni di dipendenti assunti con contratti che prevedono doppie condizioni salariali: il minimo per il lavorato e il 20% (ossia 4 franchi, ndr) per i tempi d’attesa».
Sul piede di guerra anche il sindacato Ocst: «Il popolo ha voluto il salario minimo proprio perché ci sono sempre più spesso queste situazioni – ha detto Diana Camenzind –, è ora di dire basta! Queste porcherie in Ticino non le vogliamo più». Toccanti, in questo contesto, anche le testimonianze di due dipendenti scesi in piazza: «Siamo persone semplici che lavorano con dignità, dignità che ci è stata brutalmente tolta con la modifica del contratto che prevedeva 35 centesimi al minuto» ha detto una; «dove sono i nostri diritti? Siamo esseri umani, non schiavi. Siamo arrivati a Natale stanchi e con stipendi miseri» le ha fatto eco un altro.
Gargantini ha precisato che questa è sì una prova di forza, ma che si intende tornare al tavolo delle trattative. Ma a due condizioni: «L’azienda deve mettere nero su bianco una durata minima del lavoro e il riconoscimento dei tempi d’attesa».
Queste, nel dettaglio, le richieste dei dipendenti: