Per il Ministero pubblico della Confederazione l’ex manager di Bank of America ha agito consapevolmente. ‘Il reato è quello di riciclaggio aggravato’
Tre anni di detenzione, 300 aliquote giornaliere di 100 franchi l’una per una pena pecuniaria pari a 30 mila franchi oltre a 45 mila franchi di multa. È questa la richiesta formulata dall’accusa, al termine di una lunga requisitoria (otto ore), a carico di Luca Sala nell’ambito del processo Parmalat bis che si sta celebrando presso il Tribunale penale federale di Bellinzona. Il Ministero pubblico non si oppone all’eventuale sospensione condizionale parziale della pena. Inoltre, è stata chiesta la confisca di tutti i saldi attivi dei conti riconducibili all’ex manager di Bank of America e consulente, da luglio 2003, del gruppo Parmalat poi fallito da lì a pochi mesi. E questo a titolo di risarcimento equivalente del danno finanziario subito dall’azienda agroalimentare italiana. Per l’accusa anche gli importi di atti di riciclaggio prescritti devono essere oggetto della confisca in quanto comunque frutto di crimine. Anche la parte civile, costituitasi accusatrice privata e rappresentata dall’avvocato Ivan Paparelli, ha rinnovato, facendole proprie, le richieste formulate dal procuratore federale Stefano Herold. Ma andiamo con ordine.
Al secondo processo Parmalat si è arrivati dopo che una prima sentenza aveva prosciolto Luca Sala dagli addentellati svizzeri del crack miliardario della multinazionale fondata da Calisto Tanzi. La Corte, infatti, non aveva riconosciuto l’aggravante al reato di riciclaggio e i 501 atti di riciclaggio contestati a Sala era caduti in prescrizione. Il Tribunale federale di Losanna, accogliendo l’istanza del Ministero pubblico della Confederazione, ha poi rinviato a Bellinzona l’incarto per un nuovo giudizio. In particolare la Corte è chiamata a esaminare se Luca Sala – si legge nella sentenza di rinvio – “si è reso autore colpevole di riciclaggio aggravato e di istigazione alla falsità in documenti, per avere nel periodo tra ottobre 2002 e aprile 2004, compiuto atti di riciclaggio di valori patrimoniali provento di attività criminali, anche distrattive, da lui stesso e da altri commesse tra il 1996 e 2003 nell’ambito della bancarotta fraudolenta del gruppo Parmalat; rispettivamente per avere nel mese di maggio 2004 o successivamente, determinato una terza persona a fare uso dell’apposito formulario bancario (il formulario A, ndr), sul quale la stessa persona aveva precedentemente attestato un’avente diritto economico diverso da quello reale”.
Nella lunga requisitoria il procuratore Stefano Herold ha ricordato che Sala era cosciente che aveva a che fare con denaro provento di reato avendo esso stesso – secondo le autorità giudiziarie italiane – partecipato attivamente almeno fino al luglio del 2003 alla bancarotta fraudolenta di Parmalat.
Le operazioni finanziarie messe in piedi da Luca Sala gli avrebbero permesso di guadagnare illecitamente oltre 151 milioni di dollari. Le somme oggetto del filone svizzero sono però inferiori: 52,4 milioni di franchi di cui solo 36 milioni attinenti ai 212 atti di riciclaggio – su 501 iniziali – non prescritti. Si tratta di utili derivanti da operazioni di finanziamento a scapito di Parmalat e quindi illegali costituendo il reato a monte di quello di riciclaggio, ha ricordato il procuratore Herold citando le sentenze italiane di condanna passate in giudicato e a carico di Calisto Tanzi e Fausto Tonna. Che il provento fosse illecito, ha continuato il procuratore, lo ha ammesso lo stesso Sala rendendo dichiarazioni spontanee agli inquirenti italiani. “In pratica sono riuscito a mettere in piedi una struttura che mi permetteva di guadagnare all’insaputa di Bank of America e Parmalat”, la frase citata dall’accusa e attribuita a Sala. E il frutto di queste operazioni dove è finito? In una complessa costellazione di società offshore e di conti in banche svizzere e del Liechtenstein. Costellazione pensata e organizzata dall’ex manager di Bank of America con la complicità di consulenti svizzeri accondiscendenti e prestanome reclutati tra familiari e amici dello stesso Sala. Da qui, per l’accusa, oltre all’aggravante generica del riciclaggio, c’è anche quella di aver agito in banda. Il procuratore, tra le altre cose, ha citato anche due episodi emblematici del tentativo di Sala di ripulire parte dei proventi illeciti: l’utilizzo dello Scudo fiscale per somme detenute in una banca ginevrina e l’acquisto di proprietà immobiliari (una in Toscana e l’altra in Brasile).
Domani parlerà la difesa, mentre la sentenza è attesa per l’8 novembre.