Il dibattimento il 23 settembre, a poco più di un anno dal delitto compiuto da un senza fissa dimora tunisino reo confesso. Oltre trenta testimoni sfileranno in aula
È un processo che rischia di essere a senso unico quello che in Corte d'Assise a Como si aprirà il 23 settembre a poco più di un anno dall'omicidio di don Roberto Malgesini, avvenuto la mattina del 15 settembre del 2020, davanti alla parrocchia di San Rocco, mentre il sacerdote stava caricando la sua auto per il giro di consegna delle colazioni ai senza fissa dimora.
Se in questi giorni il pubblico ministero Massimo Astori ha depositato l'elenco dei testimoni chiamati in aula, sono 33, il difensore d'ufficio dell'omicida reo confesso, Ridha Mahmoudi, tunisino di 53 anni, che ha accoltellato il sacerdote ritenendolo responsabile della sua imminente espulsione dall’Italia, avvocato Davide Giudice, non è stato ancora in grado di formulare richieste, in quanto l'imputato continua a rifiutare qualsiasi difesa. Un atteggiamento che complica l'arduo compito del difensore i cui margini di manovra sono davvero pochi, soprattutto dopo il rigetto, da parte del gup, di svolgere una perizia psichiatrica sull’imputato che i consulenti hanno giudicato sano di mente, per cui affronterà il processo senza possibilità di sconti di pena, rispondendo di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione. Un processo a senso unico, dunque, con un esito che appare scontato, cioè quello del carcere a vita. Fra i testi dell'accusa figurano le persone che la mattina del delitto hanno visto il tunisino allontanarsi dal luogo dell’omicidio, per poi dirigersi verso la caserma dei carabinieri di piazza Duca d’Aosta, sporco di sangue. Saranno sentiti gli appartenenti alle forze di polizia intervenuti nell’immediatezza e che hanno svolto le indagini successive. E subito dopo, una decina di senzatetto che ruotavano attorno a don Malgesini, alla sua opera di carità svolta anche nei confronti di Mahmoudi, a cui tante volte aveva dato una mano. Ottenendo in cambio di essere considerato tra i responsabili del mancato accoglimento dei ricorsi per rimanere in Italia. Infine, oltre ai consulenti tecnici – il medico legale Giovanni Scola, il genetista Carlo Previderè e lo psichiatra Nicola Molteni, che lo aveva dichiarato capace d'intendere – sarà chiamata a testimoniare la comandante della Polizia penitenziaria del carcere Bassone, dove Mahmoudi è stato detenuto prima del trasferimento a Monza, dove si trova tuttora. I tre fratelli del sacerdote si sono costituiti parte civile.