Con Matteo Finali tra le storie musicali (anche di famiglia) di un album che è un invito a riprenderci i suoni delle nostre vite (reali).
Ammesso che la fusion preveda l'uscita di un singolo, ‘Disconnections’ è, comunque, il brano che traina un nuovo, omonimo album di nove tracce assai ben suonato e registrato. In verità, ascoltati e visti nel relativo video, i Final Step paiono più vicini a una ‘Connection’, per entusiasmo, groove, e per il fatto che, a tratti, questo disco fresco di stampa (anche fisico, arancione, consigliabile) pare una festa: «La pandemia, inutile dirlo, l'abbiamo vissuta tutti», ci dice Matteo Finali, fondatore di una band da cinque episodi discografici, tanta musica suonata, anche a Estival. «All'inizio della prima ondata abbiamo conosciuto la sensazione di ritrovarci disconnessi dalla vita che eravamo abituati a vivere, malgrado tecnologicamente superconnessi, cosa che ci ha permesso di continuare a lavorare, di sentirci con gli altri anche nella più totale assenza di contatto umano. Ma era una falsa connessione». Da qui, il bisogno di disconnettersi da tutto il virtuale, «per riconnettersi in modo reale. Sì, il titolo gioca sul doppio concetto».
Title-track a parte, la riconnessione pare perfettamente completata alla traccia 4, ‘In A Brooklyn Store’, dichiaratamente ispirata e dedicata agli Snarky Puppy. È il centro del disco: «È una composizione di Alessandro Ponti e Dario Milan, è un crescendo progressivo che porta al solo di Alessandro, molto carico. Il brano era originariamente pensato per una big band, poi è stato riarrangiato per il quintetto». Al suo interno, «una sovraincisione di fiati per avere un effetto d'insieme». Il tutto in nome di un titolo, e di un pezzo, che richiamano moltitudini da ‘Black Market’. E in mezzo alla rinascita, se proprio si cercasse la disconnessione, il silenzio di un quarto sul funk di ‘Prickly Pear Jam’ è una graziosa nevrosi perfettamente aderente al concetto, che spezza un brano ispirato da dolci con marmellata e fico d'India mangiati in Grecia dal suo autore (Finali). Tra le cose degne di nota più di altre altrettanto degne, ‘Sunday Morning Rev.’, con un organo Hammond buono come i dolci di cui sopra.
L'intero ‘Disconnections’ si muove tra un preludio – ‘Prelude (Love Ballade)’, traccia 1 – un interludio – ‘Interlude (Country Road)’, traccia 5 – e un postludio –‘Postlude (Dreamtime)’, traccia 9, quella conclusiva –, tre misurati e sentiti tributi a tre figure importanti del Finali strumentista, dal punto di vista musicale ma non solo. Andando per ordine. Il preludio è quello della ‘Love Ballade ’ del grande pianista canadese Oscar Peterson, su ‘Time After Time’, album in studio del 1986: «Non ho mai conosciuto mio nonno – racconta Finali – perché è scomparso l'anno prima che nascessi. Dai racconti di mio padre, sembra fosse un pianista amatoriale, che gli piacesse il jazz e sapesse suonare discretamente bene. Certo è che ha tramandato a mio padre l'ascolto di Oscar Peterson, perché papà in auto aveva i suoi cd, che io ascoltavo». I due minuti e cinque secondi che aprono ‘Disconnections’, con la sola introduzione di ‘Love Ballade’ riarrangiata per chitarra, sono dunque «un mio piccolo tributo a una storia familiare, la mia».
Quattro brani più tardi, l'interludio è ‘Country Road’ di Pat Martino, una delle prime cose studiate da Finali al Musicians Institute of Los Angeles, dove si è formato con musicisti come Scott Henderson, Jeff Richman, Ross Bolton, Allen Hinds, Sid Jacobs, Art Renshaw, Daniel Gilbert, Masaki Toraiwa e Keith Wyatt: «Anche questo è un brano che mi piace tenere sempre pronto, e per il quale ho sentito che era arrivato il momento di pubblicarlo». Il tributo non è solo all'autore, ma anche a un insegnante: «Avevo vent'anni e Daniel Gilbert, per noi che arrivavamo dall'estero, era più di un insegnante, quasi un tutor. Per quell'inevitabile bisogno di sostegno personale, una specie di papà. Gilbert è il chitarrista che mi ha seguito per metà del mio percorso in California». Quanto a ‘Postlude (Dreamtime)’, attingiamo dal comunicato ufficiale: “Un omaggio ad Art Renshaw, mio mentore a Los Angeles: ha avuto un ruolo fondamentale se sono oggi ancora un chitarrista e non un pescivendolo”. Con tutto il rispetto per i pescivendoli.
Di tempo ne è passato da ‘Desert Trolls’, esordio del 2010, da ‘Uncle Joe’s Space Mill’ (2014), dal live ‘Three Sails-Live @ Il Magazzino’ (2015) e il ‘Live At Estival Jazz’ che viene da Mendrisio 2016, in apertura di quegli Steps Ahead dai quali viene (anche) metà del nome. Oggi, insieme al fondatore – in una formazione dalla quale sono transitati, tra gli altri, Gabriele Pezzoli, Fabio Buonarota, Francesca Morandi, Walter Calafiore, Silvano de Tomaso, Max Pizio, Rocco Lombardi, Gian-Andrea Costa, Frank Salis – ci sono Mirko Roccato (sassofoni), Alessandro Ponti (tastiere), Federico Barluzzi (basso) e Dario Milan (batteria), e rispetto alle intricate strutture del secondo album, ‘Disconnections’ porta con sé ampio respiro melodico: «In quanto musicisti – spiega Finali – evolviamo, cresciamo, maturiamo, e forse rispetto al passato tutti ricerchiamo qualcosa di più melodico».
Una certezza c'è: «Sicuramente ha influito il vissuto di ognuno di noi in questo periodo durissimo. Parlando con Dario, alla fine delle registrazioni, ci siamo detti che qualche anno fa ci saremmo ascoltati ‘Disconnections’ o ‘In a Brooklyn Store’ senza sosta, forse solo quelle. Ora ascoltiamo più volentieri le cose tranquille. Credo che sia un cambiamento che viene naturale, che viene da sé» (www.finalstep.ch).
L'album, su Bandcamp e negli store digitali