Il progetto privato sostenuto da Castel San Pietro e dall'Ente regionale per lo sviluppo non ha fatto breccia. E ora si teme per il futuro dell'edificio
Che ne sarà della masseria di Vigino, a Castel San Pietro? L'interrogativo appare legittimo, oggi più che mai. Un'alternativa per garantirsi il recupero e la tutela dell'antica testimonianza rurale del Mendrisiotto, infatti, c'era e aveva preso forma e sostanza in questi ultimi due anni. Tanto da entrare nella sfera di attenzione dell'Ente regionale per lo sviluppo (Ers) e da chiedere una decisione da parte del Cantone. Il progetto, firmato da privati - pronti a costituire una Fondazione senza scopo di lucro -, non sembra, però, aver fatto breccia. Lo si intuisce fra le righe della risposta dello stesso Consiglio di Stato (CdS), sollecitato da un atto parlamentare interpartitico (primo firmatario Nicola Schoenenberger), che lascia poco margine a un lieto fine. "Purtroppo - scrive il governo -, a tutt'oggi, non è ancora maturata un'intesa". Un epilogo che nella regione lascia l'amaro in bocca.
Eppure l'interesse ad acquistare e ristrutturare la masseria era staro dichiarato, fin dal 2018, conquistando, come riconosce il Cantone, il sostegno del Comune di Castello e dell'Ente. Ma soprattutto, come dà atto il CdS, "i contenuti del progetto, così come le modalità di intervento, rispecchiavano quanto previsto dal Piano regolatore e le esigenze di rispetto del monumento protetto in base alla Legge sulla protezione dei beni culturali". A tal punto da spingere l'autorità cantonale a confermare, "anche a favore di detta Fondazione privata interessata", un contributo "equivalente a quello che a suo tempo avrebbe garantito a favore degli attori pubblici, quando essi avevano intenzione di assumere direttamente l'esecuzione degli interventi di valorizzazione". Allora, viene da domandarsi, cosa non ha funzionato? Dalle parole del governo non emerge.
Un dato è certo: lo stato di abbandono nel quale si trova Vigino chiama un intervento risolutivo, pena anche la perdita della masseria o comunque il degrado della struttura. Quanto alle cifre in gioco, pure quelle sono chiare da tempo. Si è sempre parlato di un investimento globale stimato in 8 milioni di franchi e di un sostegno cantonale di un milione e mezzo nel solco della politica economica regionale. Ecco che, naufragata la possibilità di condurre in porto una operazione pubblica - sul tavolo le basi pianificatorie e un progetto selezionato da un concorso di architettura lanciato dall'Ers -, la soluzione proposta dai privati a livello locale era parsa come un'ancòra di salvezza. E questo proprio perché, come ripercorre il CdS, le premesse organizzative e finanziarie della prima iniziativa non si erano avverate.
Così, mentre il Distretto attendeva un cenno da Palazzo delle Orsoline, il Cantone ha rimesso il dossier sulla salvaguardia dei beni culturali (masserie incluse) nelle mani dei Municipi. Autorità comunali alle quali non mancherà il lavoro. In effetti, sulla base del rapporto dell'Ufficio beni culturali sulle masserie del Mendrisiotto e Basso Ceresio e a seguito dell'esame della Commissione dei beni culturali oggi si sa che vi sono 34 edifici "storicamente e architettonicamente interessanti" e inseriti "in un contesto paesaggistico meritevole". In questo elenco, come riferisce il Cantone, 13 beni sono già tutelati, gli altri 21 meritano di esserlo. Anche se il rapporto, messo a disposizione dei Comuni, costituisce un "documento di lavoro interno" ma non ha ricevuto un sigillo politico: a oggi "non è stato sottoposto ad approvazione del Consiglio di Stato". Di conseguenza, adesso tocca ai singoli esecutivi interessati, si fa capire, mettere mano all'Inventario dei beni culturali.