Il Cantone dice la sua sulla mancata operazione di recupero della Masseria di Castel San Pietro. Questione di cifre e di Legge sulle commesse pubbliche
Il Consiglio di Stato (CdS) non ne sapeva nulla, non in veste formale almeno. Dalla "facoltosa famiglia" pronta a farsi carico del recupero della Masseria di Vigino, a Castel San Pietro, l'autorità cantonale "non ha ricevuto comunicazioni". In ogni caso non sulla sua decisione di abbandonare idea e progetto dopo una transazione finita male. Il CdS lo ribadisce due volte nel rispondere al gran consigliere della Lega Daniele Caverzasio, interessato (in una interrogazione) a sapere di chi fosse la colpa dell'operazione mancata. Insomma, si motiva fra le righe, i promotori ne hanno parlato con l'Ente regionale per lo sviluppo (Ers), con il Comune ma non con Palazzo dell Orsoline. Sta di fatto che a livello locale veder naufragare l'iniziativa, la sola in campo per salvare quello che, dal 2007, è un bene culturale di interesse cantonale, ha lasciato tutti interdetti. A tal punto da puntare l'indice proprio verso il Cantone, criticato su queste pagine dagli attori locali - in primis l'Ers, che ha rimesso il mandato per il restauro di Vigino - proprio per aver cambiato le carte in tavola al momento di quantificare finanziariamente la trattativa con il privato, rincarando semmai il valore del complesso rurale.
Il Consiglio di Stato, però, non ci sta. "Lo Stato - si chiarisce - ha dato la sua piena disponibilità, accettando le condizioni poste dai promotori privati e, in particolare, la cessione a condizioni di favore a una costituenda fondazione della proprietà dell’edificio con un’adeguata superficie di disimpegno – in totale circa 4’100 metri quadri – e confermando la propria disponibilità a proporre al Gran Consiglio lo stanziamento di un contributo finanziario per l’esecuzione dei lavori". Quindi, come mai non se ne è fatto più nulla? Nella ricostruzione dell'autorità cantonale, "la trattativa è divenuta problematica allorché è stato segnalato agli interessati che la Legge sui sussidi equipara la donazione di un fondo dello Stato a un sussidio e che, qualora la somma del valore della donazione immobiliare e dei sussidi aggiuntivi avesse superato 1 milione di franchi o la metà della spesa, sarebbe divenuta applicabile alla fattispecie la Legge sulle commesse pubbliche, con il conseguente obbligo di un concorso di appalto pubblico per le opere di ristrutturazione e il correlato obbligo di aggiudicazione a ditte elvetiche, con divieto di subappalto".
Il Cds entra nel merito e dà anche altre cifre. "Il Cantone - si spiega - avrebbe ceduto gratuitamente l’edificio e il terreno annesso, e inoltre avrebbe sussidiato i lavori per 700mila franchi, per un totale di 1,5 milioni di franchi di sussidio, valutando quindi molto prudentemente in 800mila franchi il valore della cessione immobiliare, da computarsi nel sussidio complessivo". Una somma eccessiva agli occhi dei privati, visto da dove si era partiti, ovvero qualche migliaio di franchi, come ci aveva rivelato l'allora presidente dell'Ente Corrado Solcà. In effetti, come annota lo stesso Cantone, "i due Enti chiedevano sostanzialmente di pressoché azzerare il valore della cessione immobiliare, atto peraltro di competenza formale del Gran Consiglio, in modo di aumentare il contributo finanziario alla fondazione e nel contempo escludere l’applicazione della Legge sulle commesse pubbliche". Va detto che, da nostre informazioni, i promotori, che si sono fatti avanti nel 2018 dichiarando la disponibilità a seguire il progetto selezionato da un concorso e dunque ad accettare i vincoli di un restauro conservativo, erano anche disposti a rinunciare in parte al contributo cantonale a fronte di un investimento di circa 10 milioni, più che altro, come ci era stato illustrato, per snellire le procedure. In ogni caso, la proposta di creare una 'Maison du terroir', vetrina dei prodotti locali, è rimasta sulla carta.
È invece visibile a tutti lo stato di degrado della Masseria, che il Mendrisiotto teme di perdere. Tant'è che a inizio giugno i consiglieri comunali di Castel San Pietro hanno indirizzato un appello al Consiglio di Stato e ai parlamentari, affinché si riprendano le trattative con la famiglia interessata sino a qualche mese fa. Infatti, il loro timore, fondato, è di veder andare tutto in rovina.