Ente regionale per lo sviluppo e Municipio di Castello puntano il dito contro il Cantone: 'Ha alzato il prezzo'. E il privato lascia. Rimesso il mandato
Il tetto è coperto da plastiche. Le mura potrebbero non reggere ancora per molto ai segni del tempo che passa. Il destino della Masseria di Vigino a Castel San Pietro potrebbe essere ormai segnato. Le istituzioni del Mendrisiotto lo temono fortemente, oggi più di ieri. Una Fondazione promossa da un privato ma di utilità pubblica era pronta, in effetti, a lanciare un salvagente per il recupero di una testimonianza storica e culturale che riporta alla prima metà del XV secolo, ma il Cantone (ovvero il proprietario) non l'ha preso al volo. Anzi, agli occhi dell'Ente regionale per lo sviluppo (Ers) e del Municipio di Castel San Pietro ha, semmai, messo il bastone fra le ruote, facendo naufragare il progetto: i promotori, una famiglia di imprenditori, hanno infatti preferito rinunciare all'impresa. Il risultato? Nei giorni scorsi l'Ers, ha rimesso a sua volta il mandato ricevuto, giusto dieci anni orsono, dall'autorità cantonale. Una decisione inevitabile, fa capire il presidente Corrado Solcà, seppur presa, ammette, a «malincuore». È tutto in una lettera imbucata la settimana scorsa all'indirizzo del Consiglio di Stato e del presidente del Gran consiglio, dalla quale traspaiono delusione e amarezza, oltre a una certa dose di risentimento, come riconosce Solcà. Anche perché l'incarico di trovare una soluzione per il restauro della Masseria, l'Ente l'ha pur sempre portato sino in fondo, epilogo a parte.
Che qualcosa non quadrava lo si era già intuito fra le righe della risposta dell'autorità cantonale a un atto parlamentare interpartitico (primo firmatario Nicola Schoenenberger). «A cambiare le carte in tavola - dice oggi a chiare lettere il presidente dell'Ers - è stato il Cantone, con lo stupore e il rammarico di tutti. E ancora non abbiamo capito davvero il perché». Eppure una via d'uscita era stata individuata dopo anni di tentativi e riflessioni; e per di più a farsi carico di investire quasi una decina di milioni nella ristrutturazione di un edificio iscritto dal 2007 nell'Inventario cantonale dei beni culturali protetti sarebbe stato, si rimarca più volte, un attore privato, pronto ad adeguarsi a tutti i vincoli e le restrizioni che una tutela comporta.
Cosa è successo? «Sono cambiate le basi della trattativa - spiega a 'laRegione' Solcà -. Data per assodata l'intenzione di cedere la Masseria, circa un anno fa un bene che si era pronti a concedere per qualche migliaio di franchi, da un momento all'altro valeva un milione e rotti - cifra poi scesa a 800mila franchi, ndr -, salvo poi garantire il contributo cantonale - di 1,5 milioni, ndr -, prospettato sin d'all'inizio dell'operazione (e al quale i promotori privati erano disposti anche a rinunciare in parte), e scorporare i terreni agricoli, da affidare alle cure dell'Isitituto agrario di Mezzana, alla ricerca di nuovi appezzamenti per la sua attività didattica». Una mossa, quella della modifica del 'prezzo', che, di fatto, ha arrestato un processo già in corso. Tutto, in effetti, fanno notare a una voce Solcà e la sindaca di Castello Alessia Ponti, era già predisposto per la costituzione della Fondazione (allargata agli enti locali) e la presentazione al Municipio della domanda di costruzione. Autorità comunale che, dal canto suo, aveva già aperto la strada allestendo le varianti di Piano regolatore (avallate dal legislativo).
Inutile dire che da queste parti non hanno preso bene il cambio di passo cantonale. «L'atteggiamento di chiusura del Consiglio di Stato - esterna la sindaca Ponti - ha offeso i privati e le istituzioni locali. Insomma, si millanta tanto il dialogo con i Comuni e i cittadini, ma in questo caso non si è neppure accettato di incontrare i fautori dell'iniziativa per discutere del progetto e cercare un punto di contatto. Il privato, affezionato al nostro territorio e in grado di vedere il potenziale della Masseria, non è stato coinvolto. In più l'autorità cantonale non si è neanche recata sul posto, per vedere da vicino il complesso di Vigino». Complesso che, si assicura, sarebbe rimasto fedele all'idea originaria di trasformarlo in una 'Maison du terrroir', dove potersi fermare qualche giorno e assoporare le peculiarità della regione. Così come se l'era immaginata, a suo tempo, il compianto Mario Ferrari.
«All'Ente - ribadisce il suo presidente - siamo rimasti delusi e sconcertati per il comportamento riservato al Distretto». In effetti, l'Ers come l'esecutivo di Castello hanno sollecitato in più occasioni spiegazioni al Cantone - l'ultimo incontro a Bellinzona è di un mese fa -, senza, però, poter evitare quanto accaduto. «Ci è stato anche detto - fa sapere ancora Corrado Solcà - che vi era il timore di portare un tale progetto in parlamento, pur sapendo di avere il sostegno dell'intero Mendrisiotto e di tutti i partiti locali. Non vi è stato coraggio politico». Poi a mezza voce si lascia intendere che, forse, il nome del promotore (coperto dalla riservatezza) ha portato a questo irrigidimento da parte del Cantone. In ogni caso il risultato non cambia.
Claudio Guidotti, che ha da circa un anno raccolto il testimone da Bettina Stark alla direzione dell'Ers, non nasconde il suo dispiacere. «Penso soprattutto alla regione e all'opportunità che non è stata colta. In fondo si è lavorato al progetto di recupero per un decennio e ora fa male al cuore vedere in che stato si trova la Masseria di Vigino». Masseria, ricordano tutti, che aveva la possibilità di diventare uno dei punti di riferimento anche nell'itinerario turistico del Mendrisiotto. E allora, anche senza volere, affiora un po' di campanilismo. «Parliamoci chiaro - non si trattiene Alessia Ponti - se Vigino si trovava nel Sopraceneri era già stata ristrutturata. In tutta onestà - ci mette a parte - sono un po' preoccupata per la mancanza di lungimiranza del nostro Cantone».
Guardando al prossimo futuro, cosa c'è da aspettarsi? «Stando alle ultime informazioni ricevute durante l'incontro a Bellinzona - ci risponde Solcà -, ci è stato detto che l'edificio sarà tenuto così com'è. Perché il Cantone ne ha anche altri di stabili in condizioni simili». Ecco che il senso di frustrazione per la scarsa attenzione per i beni locali è aumentato, si confessa. «Dall'autorità cantonale ci aspetteremmo un po' più di coerenza nella salvaguardia del patrimonio pubblico», si rilancia a una voce.
E pensare che sin qui le risorse (di tempo e di denaro) non si sono risparmiate, all'inseguimento di una soluzione definitiva. Del resto, Vigino era la terza sfida - con le Cave di marmo di Arzo e le Fornaci di Riva San Vitale, progetti condotti a buon fine - che l'Ente regionale per lo sviluppo si è assunto, appunto dieci anni orsono. «L'iter - fa notare Corrado Solcà - è stato travagliato. Resa partecipe, in un primo tempo, tutta la regione, strada facendo ci siamo accorti che una operazione pubblica avrebbe comportato una cambiale in bianco per i Comuni quanto a costi di gestione. Rendendo difficoltoso raccogliere il consenso attorno a un progetto impegnativo. Una situazione che ci ha convinto - ripercorre Solcà - a cambiare direzione e a trovare dei finanziatori privati. Con la consapevolezza che sarebbe stato arduo individuare dei privati disposti a investire in un complesso a valenza pubblica. Ma siamo riusciti a superare gli ostacoli e a incrociare delle persone interessate, dei mecenati pronti a dare vita una Fondazione con scopo pubblico e a seguire il concetto che aveva caratterizzato il progetto originario (firmato da Baserga e Mozzetti nel 2013, ndr). Tanto da mettere a punto anche una convenzione». Un approccio, confida Solcà, che aveva appassionato pure i funzionari cantonali che hanno accompagnato il gruppo di lavoro: loro sì, i piani alti no.