I paladini della privatizzazione sono diventati statalisti, ma sempre per riempirsi le tasche
Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il nuovo blog naufraghi.ch
“Un autogol”, “Bisogna pensare alle piccole e medie imprese”, “Si gioca con il fuoco”, “Responsabilità sociale delle imprese”, “Moral suasion”, “Pragmatismo”, “Patto di paese”; scampoli del frusto armamentario retorico di certa rozza destra imprenditorialista. Una destra che per onestà dovrebbe invece avere il coraggio di scrivere, sui propri vessilli, “Libera volpe in libero pollaio”, o adesso “Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite”.
L’emergenza sanitaria è assai poco in confronto all’emergenza socio-economica che stiamo vivendo e che ci porteremo addosso per anni. Di certo impareremo a vivere con i virus che saranno scomodi compagni di strada nel nostro futuro, con serenità e (finalmente) con coraggio, e soprattutto senza la corale isteria e l’insopportabile retorica di questi mesi; ben più difficile sarà fare i conti con questa inedita cultura dell’incertezza del domani, con la assai sgradevole coscienza che la Svizzera è diventata, dopo secoli di beata festa, un paese come tutti gli altri, un paese “normale”.
I politici di cui sopra hanno passato anni-decenni a dire peste e corna dello Stato, a ogni piè sospinto trovando modi diversi per privarlo di risorse e per limitarne il perimetro di attività. Hanno voluto in pratica privatizzare le aziende di servizio pubblico; l’effetto tremendo è sotto gli occhi di tutti, con il verticale scadimento del servizio e manager preoccupati solo per i risultati economici di fine anno (addirittura capaci di tentare di truffare lo Stato, e di quasi riuscirci, come insegna il caso di PostAuto). Siamo al punto in cui i ministri delle finanze, mediocri ma arcigni contabili mezzemaniche senza visione politica e senza capacità progettuale, sono diventati coloro che dettano le strategie sociali ed economiche del paese; un inedito a livello mondiale, direi.
Adesso quegli stessi ambienti si fanno statalisti per chiedere, anzi per esigere, aiuti alle imprese a causa della pandemia (e, soprattutto, delle decisioni assunte per cercare di controllarla), dopo avere per anni riempito le tasche di queste stesse imprese e dei loro azionisti a colpi di sconti fiscali, non esitando a sbagliare, o peggio a mentire, a proposito degli effetti futuri di questi sgravi sulle casse dello Stato (Merz). E per ottenere il risultato non esitano davanti a nulla, nemmeno ad appropriarsi di argomenti sindacali (la difesa dei posti di lavoro), che hanno passato anni a delegittimare, anzi a svillaneggiare; e che saranno pronti a prontamente abbandonare quando farà più comodo.
Siamo sempre lì, alla “libera volpe in libero pollaio”, declinata ai tempi della pandemia. Qualcuno dovrà pur un giorno scrivere, senza compromessi, la storia di questo Paese cucendola con il filo rosso dell’ipocrisia e dell’improntitudine che certi ambienti hanno messo in campo, impunemente e anzi con il sostegno elettorale di noi popolobestia. Un bel capitolo potrebbe essere quello dedicato alle banche, che hanno prosperato per decenni sull’instabilità politica dei paesi vicini e sull’evasione fiscale estera, per arrivare oggi a volerci sdoganare – bianchi come gigli – la tesi che non è vero niente, che mai aiutarono cittadini esteri a evadere il loro fisco nazionale, che è tutto un complotto internazionale contro la bella Elvezia e il suo modello di successo. Già, sarebbe bello leggerla, questa storia.