Nel 2024 i risultati delle aziende ticinesi sono stati in generale soddisfacenti, anche se, rispetto al 2023, vi è stata una flessione dovuta soprattutto alle difficoltà per le aziende del settore industriale, legate al difficile contesto internazionale e in particolare alla forte crisi economica della Germania. Per il 36% delle aziende l’andamento è stato sufficiente (40% nel 2023), per il 34% buono (35% nel 2023) e per il 4% eccellente (2% nel 2023). Il settore dei servizi ha registrato risultati migliori di quello secondario (77% di risultati di segno positivo contro il 67%), in linea con le previsioni espresse a fine 2023. Per il 2025 la tendenza resta sostanzialmente simile, con maggiori difficoltà per le aziende del settore secondario rispetto a quelle del terziario. Si riscontra l’identica tendenza in tutte le altre regioni svizzere.
Malgrado le difficoltà, il livello degli investimenti, parametro fondamentale nell’ottica della competitività delle aziende e del territorio è rimasto complessivamente stabile, confermando i valori fatti registrare nel 2023, con il 46% delle aziende che ha dichiarato di avere effettuato investimenti. Questo benché sia scesa in maniera marcata la percentuale per le aziende del settore secondario (dal 67% al 60%). La media generale rappresenta un consolidamento degli investimenti rispetto agli anni difficili della pandemia, che avviene malgrado un contesto internazionale molto instabile, catene di approvvigionamento più complesse e costose e rincari diffusi (materie prime, energia, ecc.). Resta aperta la questione della costante erosione dei margini, in atto da diversi anni, che al momento non sembra avere però effetti eccessivi. Il buon grado di investimenti, comparato anche a quello delle altre regioni svizzere, costituisce un importante segnale di fiducia verso il territorio.
L’autofinanziamento, altro parametro a cui prestiamo sempre particolare attenzione per comprendere lo stato di salute delle imprese, si è confermato stabile anche per il 2024, con il 34% delle aziende che lo considera buono e il 36% che lo ritiene soddisfacente.
Le previsioni per il 2025, in parte difficili a causa del forte panorama di incertezza internazionale e di diverse iniziative politiche interne che creano notevole insicurezza, sono improntate a una sostanziale stabilità, sebbene prevalga una maggiore prudenza rispetto al passato. Il 71% delle imprese prevede un andamento da sufficiente a buono nel primo semestre del 2024 e leggermente migliore per il secondo semestre. Più preoccupante per contro il dato concernente gli investimenti previsti, con il 39% delle aziende che manifesta tale intenzione, in calo rispetto al 2024 (46%). Anche qui pesano particolarmente le difficoltà di taluni settori industriali.
Come avviene regolarmente da quando vengono effettuati questi rilevamenti, i risultati del 2024 e le attese per il 2025 sono in linea con quanto rilevato negli altri Cantoni.
L’andamento generale degli affari nel 2024 è risultato di segno tutto sommato positivo, benché, come previsto a fine 2023, leggermente inferiore al passato. Il 74% delle imprese (77% nel 2023) ha valutato in maniera favorevole l’andamento degli affari nello scorso anno (soddisfacente per il 36% delle aziende, buono per il 34%, eccellente per il 4%). Sul fronte delle aziende esportatrici i dati sono, senza sorprese, leggermente inferiori, sebbene restino ancora di buon livello, con il 36% delle aziende che definisce l’andamento soddisfacente e il 28% che lo considera buono e il 3% eccellente (per un complessivo 67%).
La differenza con il settore dei servizi è facilmente spiegabile con le difficoltà nell’ambito delle esportazioni. Difficoltà che fortunatamente non sono generalizzate, ma colpiscono solo taluni settori, in particolare l’industria MEM per la parte metallurgica e metalmeccanica, come sottolineato da Swissmem qualche settimana fa (“Industria tecnologica: la crisi continua”). Dato che le nostre aziende sono strettamente legate all’esportazione, direttamente o indirettamente attraverso le collaborazioni con altre imprese elvetiche, il risultato deve essere considerato “normale” ed era atteso. In effetti, per questi ambiti industriali, la Germania, in grave difficoltà, rappresenta ancora il primo mercato di esportazione.
Per le previsioni sull’andamento degli affari a breve termine, cioè̀ per i prossimi 6 mesi, le cifre sono sostanzialmente stabili, con il 38% delle aziende che si attende un’evoluzione sufficiente e il 33% che prevede un andamento buono (il 2% prevede un’evoluzione eccellente, in totale quindi abbiamo un 73% di previsioni di tendenza favorevole). Anche qui il settore secondario è più negativo, con “solo” il 64% di attese positive. Chi esporta è tendenzialmente più negativo di chi opera solo sul mercato interno (la differenza, a dipendenza della parte di export della cifra d’affari, varia dai 7 ai 12 punti).
Per il secondo semestre del 2025, le previsioni sono di un’evoluzione soddisfacente per il 41% delle aziende e l’andamento buono si attesta sul 34% (eccellente per il 2%, per un totale del 77%). Anche qui quanto espresso dal settore secondario è inferiore al terziario (71% contro il 79%), anche se le aspettative per il secondo semestre del 2025 risultano essere migliori di quelle del primo semestre.
I valori del margine di autofinanziamento delle aziende sono sempre osservati con attenzione particolare, trattandosi di un indicatore importante dello stato di salute delle imprese e quindi anche della capacità competitiva del sistema in generale. Il valore è in crescita rispetto al 2023, con il 78% delle imprese che giudica positivamente il margine di autofinanziamento (36% soddisfacente, 34% buono, 8% eccellente). In questo ambito non si osservano differenze marcate fra settore secondario e terziario, né fra aziende di piccole e grandi dimensioni. Il dato è evidentemente importante anche nell’ottica della capacità di investimento.
Gli investimenti si confermano in media su livelli stabili, con il 46% delle aziende che segnala investimenti, malgrado la flessione nel settore secondario (60% dopo il 67% del 2023) che tocca le aziende di tutte le dimensioni. Visto quanto detto in precedenza, ossia le difficoltà legate alla situazione internazionale e all’export, non si tratta di una contrazione inattesa.
Per il 2025 queste incertezze pesano parecchio, perché la previsione di investimenti scende al 39% (55% per il settore secondario e 33% per quello terziario). Si tratta di una tendenza riscontrata anche nelle altre regioni ed è figlia, oltre che dell’usuale e comprensibile prudenza, di fattori come un certo rallentamento nel settore delle costruzioni e delle ormai note incertezze che gravano sul settore industriale soprattutto per le tensioni internazionali e anche in parte per la forza del franco.
Come emerge anche dalle cifre ufficiali concernenti l’impiego che sono pubblicate a scadenza regolare, resta sostanzialmente alta l’attenzione verso l’occupazione, con il 59% delle aziende che segnala una stabilità dell’effettivo e il 21% che ha riscontrato aumenti. È però aumentata la percentuale di riduzione dell’effettivo, che si attesta al 20% (contro il 12% dello scorso anno), con una non inaspettata incidenza maggiore nel settore secondario (30% di aziende che rileva riduzioni dell’effettivo). Un dato che emerge soprattutto nelle aziende medie e grandi. Spesso si tratta di modifiche di qualche unità, legate anche a chiusure di attività non più richieste dal mercato, oltre alle note difficoltà congiunturali legate al panorama internazionale. Un elemento diverso rispetto al passato è costituito dal fatto che è difficile individuare settori particolari in cui vi sono interventi sull’effettivo del personale, perché la situazione varia molto a dipendenza delle strutture delle singole aziende, per cui è attualmente difficile trarre conclusioni di tendenze generali. Anche perché dai dati ufficiali del lavoro ridotto non emerge per ora un rallentamento diffuso e da quelli sulla disoccupazione non risultano impennate particolarmente importanti, per cui vi è da ritenere che, al di là di qualche chiusura aziendale, si tratti appunto piuttosto di interventi su qualche unità aziendale e quindi numericamente contenuti o comunque riguardanti personale frontaliero o facilmente ricollocabile.
Confortante è il fatto che per il 2025 le previsioni sono di segno più positivo, con il 75% delle aziende che prevede una stabilità dell’effettivo e il 17% un aumento. Per contro solo l’8% ipotizza una riduzione dell’effettivo, percentuale da considerare fisiologica e che riporterebbe in linea con gli altri anni.
Da rilevare che è in aumento la percentuale di impiegati a tempo parziale (17% rispetto al 77% di impiegati a tempo pieno) e che la percentuale di interinali si attesta sul 2%. Il 3% di apprendisti nell’effettivo è da considerare un valore buono e in linea con una generale tendenza alla valorizzazione dell’apprendistato e a un conseguente aumento di questa figura professionale nel contesto del personale aziendale.
In ambito di politica salariale, il 66% delle aziende che hanno risposto alla domanda hanno concesso aumenti di stipendio di varia entità nel 2024.
Come da tradizione, parte dell’inchiesta congiunturale prevede domande legate a un tema di attualità e quest’anno le aziende sono state chiamate ad esprimersi sul tema del commercio internazionale in generale e sugli accordi bilaterali Svizzera-UE in particolare.
Senza sorprese, quasi tutte le aziende (81%) rilevano la necessità di rafforzare le relazioni economiche con partner commerciali diversi dall’Unione europea, strategia del resto già adottata da tempo dalla Confederazione con la conclusione di Accordi di libero-scambio e dalle aziende, anche quelle ticinesi, sempre orientate a diversificare il portafoglio di clienti. In questo contesto, fra i paesi indicati quali mercati a cui dare la priorità, primeggiano senza sorpresa gli Stati Uniti (45%), divenuti primo mercato di esportazione (come paese singolo) per la Svizzera e perché vi sono fondate speranze che si possa riprendere il discorso di un eventuale Accordo di libero scambio, già discusso durante la prima presidenza di Donald Trump.
Altri paesi citati sono, nell’ordine, l’India (41%), la Cina (37%) e poi seguono aree geografiche o continenti come il resto dell’Asia (34%), il Sudamerica (23%) e l’Africa (22%).
Fra i motivi indicati per negoziare nuovi Accordi di libero scambio o aggiornare quelli esistenti, figurano la facilitazione amministrativa (73%), la riduzione dei dazi doganali (59%), la protezione della proprietà intellettuale (36%) e la protezione vincolante delle norme ambientali e sociali (31%).
Per quanto riguarda le domande più specifiche concernenti l’UE, il 79% delle aziende ha risposto di impiegare personale proveniente dall’UE (di ogni categoria di permesso, non solo i frontalieri) e in caso di restrizioni all’assunzione di lavoratori stranieri il 50% delle aziende ha indicato che proverebbe a intervenire per aumentare la formazione del personale locale, a patto ovviamente che questo sia disponibile. Per il 32% vi sarebbe invece la rinuncia a progetti di sviluppo aziendale (percentuale molto più alta nel settore secondario rispetto al terziario con 46% contro il 26%), per il 18% vi sarebbe un’esternalizzazione dei servizi all’estero e per un altro 18% la delocalizzazione all’estero.
L’impatto degli attuali Accordi bilaterali con l’UE viene valutato positivamente dal 42% delle imprese (il 2% lo valuta estremamente positivo), mentre per il 39% non vi è stato nessun impatto economico diretto. Una valutazione negativa è espressa dal 17% delle imprese.
Fra gli Accordi considerati essenziali da concludere o rinnovare sono stati menzionati: la libera circolazione delle persone (60%), ricerca e formazione (57%), riconoscimento reciproco (MRA, 43%), elettricità (35%), trasporti aerei e terrestri (34%), sanità (28%), sicurezza alimentare (25%) e agricoltura (19%).
Una firma degli Accordi bilaterali III attualmente negoziati non avrebbe un impatto economico diretto per il 56%, mentre per il 33% avrebbe effetti positivi. Conseguenze negative sono segnalate dal 10% di chi ha risposto alla domanda. La firma avrebbe per contro un impatto positivo sullo sviluppo economico per la Svizzera per il 54% delle imprese.
Alla domanda se ritengono che la protezione salariale prevista dal nuovo pacchetto di Accordi bilaterali sia sufficiente, il 64% delle aziende ha risposto di non essere in grado di formulare un’opinione, a dimostrazione della complessità del dossier e della difficoltà a esprimersi prima di potersi confrontare con gli esiti concreti dei negoziati.
Per le imprese, la firma degli Accordi bilaterali III rafforzerebbe la cooperazione economica, sociale e politica fra i 2 partner (48%), ma per il 46% imporrebbe al contempo obblighi alla Svizzera (fiscalità, concorrenza, protezione dei lavoratori, ecc.) Per il 38% garantirebbe un migliore accesso al mercato interno europeo, mentre per il 17% aumenterebbe la disoccupazione e la pressione sulle assicurazioni sociali.
Infine, il 39% delle aziende si esprime in maniera favorevole sulla firma degli Accordi bilaterali III, mentre rimane una percentuale alta (47%) di imprese che non sono ancora in grado di esprimere un’opinione.
In sostanza, i risultati non sono molto differenti da quanto è emerso negli altri cantoni. Si riconosce l’importanza delle relazioni con l’UE, manifestando al contempo la volontà di diversificare le attività, laddove possibile, su altri paesi. Vi sono dossier nell’ambito delle trattative con l’UE che sono considerati assolutamente imprescindibili, anche se gli impatti per molte aziende non sarebbero diretti. Anche fra chi non è direttamente toccato emerge comunque che Accordi aggiornati accrescerebbero lo sviluppo economico della Svizzera in generale. È importante sottolineare l’alto numero di risposte che indica come la tematica sia complessa e non ancora compiutamente valutabile nei suoi effetti. Data la complessità della materia e le scarse informazioni a disposizione su quello che sarà il contenuto effettivo di eventuali Accordi bilaterali III, la cosa non stupisce e anche in Romandia, tradizionalmente favorevole alle questioni di politica europea della Svizzera, vengono espresse le medesime riserve. Se vi sarà una firma fra Svizzera e UE, pareri più precisi potranno essere espressi nel contesto della relativa procedura di consultazione.