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I 10 progetti ‘faro’

WWF e Nazioni Unite, insieme per ricostruire

Ripristino della Foresta Atlantica
4 febbraio 2023
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La Foresta Atlantica, che si estende dal Brasile nord-orientale verso sud lungo la costa atlantica e nell’entroterra dell’Argentina nord-orientale e del Paraguay orientale, è un paesaggio complesso che comprende ecosistemi multipli e un’enorme biodiversità. È anche uno dei biomi più minacciati al mondo: solo in Brasile ha perso l’88% della sua vegetazione originale. Per anni, comunità, esperti e organizzazioni si sono uniti per ripristinare la Foresta Atlantica. Conosciuto come Patto trinazionale per la Foresta Atlantica, il loro lavoro urgente e vitale è ora ufficialmente dichiarato dalle Nazioni Unite come uno dei dieci fari mondiali per il ripristino. Con l’obiettivo condiviso di ripristinare 15 milioni di ettari entro il 2050, questo accordo è una coalizione transfrontaliera che riunisce oltre 300 organizzazioni per ripristinare la Foresta Atlantica. Le Nazioni Unite riconoscono che bisogna andare oltre la piantumazione di alberi e promuovere molteplici benefici per la natura e le persone. "È un processo inclusivo e a lungo termine che rispetta i contesti locali e coinvolge le comunità tradizionali e l’empowerment femminile. È un impegno per la qualità della vita di migliaia di persone", afferma Taruhim Quadros, rappresentante dell’Alleanza trinazionale e del WWF-Brasile. La Foresta Atlantica del Sud America non è famosa come la sua vicina, l’Amazzonia, ma la supera per due aspetti importanti: l’entità del degrado che ha subito e l’enorme sforzo in corso per rinvigorirla. Un tempo questa foresta copriva una vasta area del Brasile, del Paraguay e dell’Argentina, ma secoli di disboscamento, espansione agricola e urbanizzazione l’hanno frammentata. Da qui sono nate città come Rio de Janeiro e San Paolo. In Brasile solo un terzo della foresta originale esiste ancora (in Argentina il 40% e in Paraguay il 71%). Centinaia di organizzazioni, tra cui il WWF, stanno creando corridoi per la fauna selvatica di specie minacciate, come il giaguaro e il tamarino leone dorato, assicurando l’approvvigionamento idrico per le persone e la natura, contrastando e costruendo la resistenza al cambiamento climatico e creando migliaia di posti di lavoro. La nomina a "World Restoration Flagship" ha preso in considerazione più di 20 criteri di valutazione, tra cui il coinvolgimento delle comunità locali nel processo decisionale, la creazione di coalizioni, il contributo agli accordi internazionali per la riduzione delle emissioni, il potenziamento di crescita e la replicabilità. In tutto il mondo, sono state presentate 156 proposte per il titolo di "World Restoration Flagship" e le prime dieci sono state dichiarate alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica di Montreal, in Canada. Oltre alla Foresta Atlantica, sono state nominate Faro mondiale del restauro iniziative in Africa, Oceania, America centrale, Medio Oriente e Asia.

I ‘fari’ mondiali

Un restauro marino ad Abu Dhabi

I dugonghi, creature simili a delfini che gli antichi navigatori potrebbero aver scambiato per sirene, sono un barometro della salute dei nostri oceani. Dove le condizioni permettono a questi affascinanti mammiferi marini di prosperare, possono farlo anche i coralli, le tartarughe e una miriade di altre specie. Salvaguardare la seconda popolazione di dugonghi al mondo è uno degli obiettivi degli Emirati Arabi Uniti, che hanno deciso di ripristinare le praterie di fanerogame, il cibo preferito da questi animali, le barriere coralline e le mangrovie lungo la costa del Golfo.

La Grande Muraglia Verde

Questo progetto è uno spettacolare tentativo di ripristinare savane, praterie e terreni agricoli in tutta l’Africa. È stato progettato per aiutare le famiglie e la natura a far fronte ai cambiamenti climatici e per evitare che il Sahara si estenda ulteriormente in una delle regioni più povere del mondo. Lanciato dall’Unione africana nel 2007, l’obiettivo è trasformare la vita di milioni di persone nella regione del Sahel creando un mosaico di paesaggi verdi in 11 Paesi. Obiettivi per il 2030: ripristinare 100 milioni di ettari e creare 10 milioni di posti di lavoro. L’ONU ha deciso di aumentare gli sforzi in Burkina Faso e sul Niger. La crescente insicurezza in questa regione aumenta l’urgenza di contrastare il degrado ambientale, che può alimentare conflitti e sfollamenti. Nonostante le sfide, le iniziative di ripristino stanno avendo successo, ad esempio incoraggiando gli agricoltori a raccogliere l’acqua, lasciare che gli alberi si rigenerino naturalmente e adottare tecniche agricole sostenibili.

Namami Gange

La crescita della popolazione, l’industrializzazione e l’irrigazione delle coltivazioni sempre più numerose hanno degradato gran parte del fiume Gange lungo 2’700 km che va dall’Himalaya al Golfo del Bengala. La crisi climatica rappresenta un’ulteriore grave minaccia. Lanciata nel 2014, l’iniziativa Namami Gange, guidata dal governo, ha investito nella gestione dei rifiuti e nel trattamento delle acque, sensibilizzando l’opinione pubblica e coinvolgendo le comunità nella conservazione e nel ripristino dell’ecosistema. Sono 370 i chilometri ripristinati. La nuova iniziativa punta a piantare nuovi alberi lungo gli argini, promuovendo un’agricoltura sostenibile. L’obiettivo è anche quello di riportare le specie selvatiche più importanti, tra cui i delfini di fiume, le tartarughe dal guscio molle, le lontre e il pesce hilsa. Il ripristino del Gange, il fiume più sacro dell’India, porterà benefici a milioni di persone e salvaguarderà il loro profondo legame spirituale e culturale con le sue acque.

Regioni di montagna

Le regioni montane devono affrontare sfide uniche in un mondo in continua evoluzione. La crisi climatica sta sciogliendo i ghiacciai, erodendo il suolo e portando molte specie all’estinzione. E l’acqua che le montagne forniscono alle fattorie e alle città delle pianure diventa cosa sempre più rara. Tre le regioni scelte per il progetto. Nel massiccio vulcanico dei Virunga, i gorilla di montagna in via di estinzione sono tornati in auge nelle aree protette della Repubblica Democratica del Congo, del Ruanda e dell’Uganda. I turisti attratti da questi esseri iconici e in via di estinzione forniscono gradite entrate alle autorità e alle comunità delle aree povere e densamente popolate vicine ai parchi. In Kirghizistan, i pastori gestiscono le praterie in modo più sostenibile, in modo da fornire cibo migliore sia al bestiame che allo stambecco siberiano. Anche altri animali selvatici stanno traendo vantaggio da due nuove aree protette. I leopardi delle nevi, che predano gli stambecchi, stanno tornando. In Serbia, le autorità stanno espandendo la copertura arborea e rivitalizzando i pascoli in due aree protette, e prevedono di ampliarle e di elevarle allo status di parco nazionale. Gli orsi bruni sono tornati nelle foreste, dove i vari progetti stanno anche aiutando gli ecosistemi a riprendersi dagli incendi.

Piccoli Stati insulari

Le tre aree scelte sono: Vanuatu (Sud Pacifico), Santa Lucia (America Centrale) e le Comore (Africa orientale). In tutto l’arcipelago di Vanuatu, gli obiettivi di ripristino includono la riduzione delle pressioni sulle barriere coralline, che ospitano una vasta gamma di forme di vita marina, in modo che gli stock ittici possano riprendersi. Nelle Comore, il ripristino sta aiutando le comunità a migliorare i loro redditi grazie a una gestione più sostenibile delle risorse di quattro aree protette. A Santa Lucia, il lavoro sulle mangrovie e le praterie di fanerogame marine protegge le aree costiere utilizzate per la coltivazione del muschio marino e sostiene gli stock ittici.

Il ‘corridoio secco’

Salvare Atlyn Dala: come molte praterie in tutto il mondo, le vaste steppe dell’Asia centrale sono in declino a causa di fattori quali il pascolo eccessivo, la conversione in terreni coltivabili e il cambiamento del clima. In Kazakistan, l’Altyn Dala Conservation Initiative lavora dal 2005 per ripristinare gli ecosistemi steppici, semidesertici e desertici all’interno dell’areale storico della saiga, un’antilope un tempo abbondante e gravemente minacciata dalla caccia e dalla perdita di habitat. Oltre a far rivivere e proteggere la steppa, l’iniziativa contribuisce alla conservazione di zone umide che rappresentano uno scalo vitale per circa 10 milioni di uccelli migratori ogni anno. La saiga è fondamentale per la salute delle praterie. Insieme alle iniziative per bilanciare le esigenze della fauna selvatica e del bestiame, il ripristino della steppa sostiene il sostentamento dei pastori tradizionali e protegge dagli incendi. Le comunità locali di questa regione scarsamente popolata stanno inoltre beneficiando della creazione di centinaia di posti di lavoro in diverse nuove aree protette. Importanti anche gli interventi lungo quello che viene definito il "corridoio secco" dell’America centrale. Esposti a ondate di calore e precipitazioni imprevedibili, gli ecosistemi e le popolazioni di questa zona sono tra i più vulnerabili al mondo ai cambiamenti climatici. Nel 2019, un quinto anno di siccità ha reso necessari aiuti alimentari per 1,2 milioni di persone nella regione. Sfruttare i metodi di coltivazione tradizionali per aumentare la produttività di interi paesaggi, compresa la loro biodiversità, in queste condizioni difficili è il cuore di questa iniziativa di restauro che copre sei Paesi: Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama. In Indonesia, Demak, una comunità costiera di Giava, è stata afflitta da erosione, inondazioni e perdita di terreno a causa della subsidenza e dell’abbattimento di una vicina fascia protettiva di mangrovie. Invece di ripiantare alberi di mangrovie, vengono costruite strutture simili a recinzioni con materiali naturali lungo la costa per placare le onde e intrappolare i sedimenti, creando le condizioni per la ripresa naturale di questi alberi marini. Infine, c’è il progetto ambizioso Shan-Shui in Cina, che comprende settantacinque iniziative su larga scala per ripristinare gli ecosistemi, dalle montagne agli estuari costieri, in tutta la nazione più popolosa del mondo. Lanciata nel 2016, l’iniziativa deriva da un approccio sistematico al ristabilimento. I progetti si inseriscono nei piani nazionali di utilizzo del territorio, operano su scala paesaggistica o di bacino idrografico, includono aree agricole e urbane nonché ecosistemi naturali.