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Chi conosce l’antilope Saiga?

Un ungulato sull'orlo dell'estinzione

22 settembre 2018
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Pochi conoscono l’antilope Saiga, eppure è un animale molto particolare, che a causa del bracconaggio e della perdita di habitat rischia di estinguersi. La si trova solo in alcune parti della Russia, nel Kazakistan e in Mongolia. Ha un musetto che ricorda un po’ la nostra pecora. Purtroppo, questo animale così buffo rischia di scomparire per sempre dalla faccia della Terra. Il fatto che lo si conosca poco non aiuta: pochi sostengono progetti finanziari per salvare l’antilope Saiga. Ora il WWF ha dato il via a una raccolta dati per capire quanti esemplari ne esistano ancora in natura. Il progetto prevede l’installazione di fototrappole e telecamere nascoste. Dopodiché, si valuterà come procedere per salvare questo ungulato. Alcune sottospecie si trovano già in aree protette, ma vanno rinforzati i controlli da parte dei ranger contro i bracconieri, che uccidono l’antilope Saiga per rivenderne le corna, ma anche la pelliccia invernale in alcuni Paesi asiatici.

Un santuario che salva vite

È ancora presto quando la nostra imbarcazione riesce finalmente a lasciare Angoche (una piccola città costiera del Mozambico). Le piogge battenti hanno frenato il nostro viaggio, ma alla fine il nostro piccolo gruppo di ricercatori e ambientalisti del WWF e dell’organizzazione CARE è potuto ripartire. La nostra meta: Pulizica, una piccola comunità di pescatori dell’arcipelago delle Primeiras e Segundas.

A Pulizica è nato un santuario ittico, voluto e istituito da WWF-CARE Alliance, una partnership globale che ha come obiettivo combattere alla radice la povertà e il degrado ambientale. Dopo alcuni anni, si vede già come l’area protetta stia recuperando gli stock ittici, che erano in declino nella regione. Il santuario di Pulizica, una delle tre zone di pesca gestite dalla comunità, fa parte di uno dei maggiori progetti dell’alleanza nati per migliorare le condizioni di vita dei locali, aiutando le comunità a gestire meglio le loro risorse naturali.
Con una superficie di 4’020 miglia quadrate, l’arcipelago Primeiras e Segundas è una riserva marina costiera composta da 10 isole che fungono da barriera per la terraferma, foreste di mangrovie, piccole barriere coralline e cosiddette praterie marine, che sostengono un’incredibile varietà di specie. È qui che si trova la più grande concentrazione del Mozambico di tartarughe verdi, tartarughe embricate e tartarughe Olive Ridley.

Le 340mila persone che vivono nella regione sono intimamente legate alla terra e al mare; circa due terzi delle famiglie dipendono dalle diverse attività di pesca dell’arcipelago per il cibo e il reddito. Ma a causa della pesca eccessiva e della gestione sbagliata delle risorse, gli stock ittici sono diminuiti rapidamente nell’ultimo decennio. Le comunità costiere si sono ritrovate a dover affrontare una serie di problemi: fonti di reddito sempre più inaffidabili, l’incertezza e in molti casi le famiglie non sanno dove trovare il cibo per sfamare i propri figli.

Il paradosso della “non pesca”

L’idea di non pescare per catturare più pesci sembra contraddittoria. Ma quando questo principio viene gestito bene, le zone di “non cattura” – zone in cui la gente non può pescare – possono aiutare ad aumentare la varietà di pesce negli oceani.

I santuari come quello di Pulizica impediscono ai pescatori di catturare le specie sbagliate o pesci troppo giovani, dando agli animali la possibilità di ripopolarsi e crescere.

E funziona. A Pulizica, l’abbondanza e le dimensioni dei pesci nella zona “off limits” per i pescatori sono notevolmente aumentate e la diversità delle specie è triplicata. Oramai, sono gli stessi pescatori a sostenere i santuari. Ci fermiamo a chiacchierare con gli osservatori della comunità che si assicurano che non vi siano casi di pesca illegale.

I locali affermano che dopo tanti anni sono tornati i delfini, segno che il mare abbonda di pesce in questa zona, così tanto da attirare predatori più grandi.

Il WWF e CARE stanno collaborando con il governo del Mozambico e con le comunità locali per far rispettare il santuario e la sua barriera corallina. Con l’aiuto dei pescatori che hanno visto il successo di questi santuari, stiamo dimostrando che la scelta di non pescare – e di ricorrere all’agricoltura o ad altre alternative di reddito – può andare a beneficio sia delle persone che della fauna selvatica.

Il dialogo con gli autoctoni rimane un punto centrale: da una parte si ricorda che le aree protette sono efficaci, dall’altra aiutano a far capire che una migliore gestione dell’ecosistema comporta un miglioramento della qualità di vita delle comunità locali. Le loro azioni possono fare la differenza.