A 19 anni ha vinto il suo primo Slam. Quando è esplosa ne aveva 15: da lì è cresciuta in campo e fuori, sostenendo anche le battaglie per i diritti civili
“È un onore stare con Althea Gibson, Serena, Venus, Naomi, Sloane. Hanno tracciato la strada per farmi essere qui” ha detto Coco Gauff, con l’aria calorosa e determinata che abbiamo imparato a conoscere. Lo ha detto nella conferenza stampa successiva alla vittoria dello Us Open: il primo Slam della sua carriera, così atteso, così desiderato. A fine partita è crollata sulle ginocchia, la bocca che bisbigliava “thank you, thank you” come una preghiera.
Ha 19 anni, ma ai microfoni parla con la consapevolezza di chi conosce il proprio ruolo, e sa da dove viene. È la sesta afro-americana a vincere gli Us Open, ma la prima che non ha dovuto lottare per il suo diritto a essere una campionessa di tennis. Gauff sa che senza quelle cinque donne prima di lei non sarebbe stato possibile.
Althea Gibson da bambina doveva aspettare che i bianchi uscissero dai campi, la sera tardi, per potersi allenare. È diventata la prima campionessa nera di Wimbledon, sul campo più bianco di tutti, nello sport più bianco di tutti. Per farcela è sempre dovuta passare dal retro: non poteva entrare nei loro spogliatoi, pranzare ai loro tavoli. Per molti era meglio non fosse mai esistita. “Stringere la mano alla regina d’Inghilterra è stata una lunga strada da quando ero costretta a sedermi nella parte riservata ai neri dell’autobus”. Dopo il ritiro è tornata a essere una donna nera in una società ostile, ed è morta povera.
Keystone
Black Lives Matter
Con Venus e Serena il razzismo ha smesso di essere istituzionale ed è diventato sistemico. Ha preso una forma meno visibile, più subdola, ma non per questo meno violenta. Il body shaming, le risatine velenose, il desiderio sempre più o meno taciuto di volerle veder perdere. I fischi, gli ululati a Serena nel 2001, a Indian Wells, quando il razzismo è diventato esplicito. Serena che dopo il torneo si chiude dentro la macchina a piangere. “È diventato subito normale per me che le persone non facessero il tifo per me, perché ero diversa, il mio aspetto era diverso”.
Coco Gauff viene da queste storie e lo sa. È stata la lotta di chi è venuta prima di lei ad aprirle la strada, a permetterle un inizio di carriera più normale, più luminoso. Ma non viviamo in una società pacificata e nemmeno per Coco Gauff le cose sono state facili. Ha dovuto convivere con la pressione della predestinata, con gli sguardi invidiosi di chi aspettava al bordo del fiume il cadavere dei suoi sogni. Ha dovuto rispettare le assurde aspettative che proiettiamo su atleti ancora bambini, e lo ha dovuto fare da ragazza nera, da cui ci si aspetta quindi nient’altro che la perfezione.
Keystone
Dopo aver battuto Venus Williams a Wimbledon: aveva appena 15 anni
A 15 anni e un centinaio di giorni è la più giovane a entrare nel tabellone di uno Slam. Sul campo centrale di Wimblebon trova Venus Williams. Vince 6-4, 6-4 e quando va a stringerle la mano è quasi triste, deve ancora smaltire le lacrime, la ringrazia per quello che ha fatto per lo sport, per lei – “Hanno reso i sogni credibili” dirà anni dopo. Dopo la partita le chiedono quali sono i suoi obiettivi: “A breve termine vincere il torneo, a lungo termine diventare la più grande”.
Il suo corpo è ancora quello di una bambina: le spalle strette, le gambe gracili qualche centimetro da prendere verso il cielo. Da anni si diceva fosse un fenomeno: giocava sotto età, dominava il ranking giovanile, veniva ingaggiata dall’agenzia di management Team8, la stessa di Roger Federer; firmava contratti di sponsorizzazione ricchissimi, con New Balance e Barilla, che hanno creduto in lei ancor prima del suo esordio fra le grandi. Il tennis le chiedeva di diventare una campionessa, di coprire almeno una parte dell’enorme vuoto che avrebbero lasciato le sorelle Williams. Un vuoto tecnico e carismatico. Serena la paragona a Venus: le stesse leve lunghe, le ginocchia piegate, una grazia estetica impeccabile soprattutto dal lato del rovescio. Molti campioni dello sport sono precoci, ma non tutti i talenti precoci diventano campioni dello sport. Perché la precocità non rappresenta di per sé un’assicurazione sul talento, ma anche perché crescere con gli occhi di tutti addosso è complicato. I decani dicono la loro: Chris Evert la pronostica vincitrice di uno Slam, McEnroe la vede numero uno.
Come si convive con questo genere di aspettative? Come scrive Cyril Connelly a proposito degli scrittori che deludono le attese iniziali: “Gli dei chiamano promettente colui che vogliono distruggere”.
Raccontando lo sport si parla spesso di come gli esseri umani gestiscono il dono del talento. Anche se accettiamo una visione fatalista di questo dono – come cioè qualcosa di distribuito da Dio, o da un’entità superiore – dobbiamo riconoscere che avere talento non basta. Siamo tremendamente affascinati da chi questo talento non riesce a gestirlo, e ne viene sopraffatto. Ci interessa lo sperpero.
Agli esordi nel circuito
Non è raro in questi anni in cui lo sport professionistico ha creato una gabbia di pressioni difficili da sostenere, dentro cui diversi atleti di talento appassiscono. Volevamo così tanto che Naomi Osaka ed Emma Raducanu fossero le nuove regine del tennis, che quelle hanno finito per restare bruciate dal nostro desiderio. La storia di Coco Gauff non ha quel tipo di esplosione bruciante: è una storia di perseveranza, coltivazione e cura del proprio talento. Una storia di pazienza, durezza, resistenza alle pressioni e agli accidenti esterni. Di miglioramenti piccoli ma costanti.
Nel 2019 entra fra le prime cento al mondo, nel 2020 fra le prime 50. Nel 2021 arriva in semifinale al torneo 1000 di Roma. Si spinge fino ai quarti di finale del Roland Garros, la più giovane a riuscirci dal 2006. Sulla terra gioca bene, è lì che può brillare la sua arte difensiva. Nel 2022 raggiunge la sua prima finale Slam, sempre a Parigi. Perde dalla più forte giocatrice su terra del circuito, la numero 1 al mondo, Iga Swiatek. Niente di sorprendente, ma perde in maniera netta ed è una sconfitta dura per un’agonista come lei.
Nel frattempo, però, tutto il suo tennis migliora: al servizio è sempre più incisiva, è meno fallosa, tatticamente più ordinata. Il dritto resta il suo punto debole, a volte sembra far fatica ad aggiustarsi con il corpo e i piedi, ma anche diventa meno incerto. Soprattutto, diventa più alta, più muscolosa, più reattiva. Diventa la migliore atleta del circuito Wta. Smette di fidarsi troppo del suo atletismo in recupero: quando può prende l’iniziativa, è la prima regola per sopravvivere nel tennis di oggi.
Keystone
In lacrime dopo l’ultimo punto con Sabalenka agli Us Open
È la più giovane e promettente sportiva afro-americana, e si assume le sue responsabilità. Nel 2020 a Delray Beach, in Florida, sfilano le proteste per Black Lives Matter in seguito all’assassinio di George Floyd da parte della polizia. Coco è una ragazzina ma prende parte alla protesta. Sua nonna la convince a parlare al microfono. Ha imparato molto da lei, che è stata la prima nera nella sua scuola, nel 1961. Allora, vestita di nero come si addice ai lutti, prende parola: “Il mio nome è Coco e ho appena parlato con mia nonna. È triste che io debba lottare per le stesse cose per cui lottava lei più di 50 anni fa. Dobbiamo innanzitutto amarci l’uno con l’altro”. Poi inizia un discorso strutturato, deciso. Invita a educare i propri amici bianchi, ad alzare la voce, a votare, a provare a cambiare le cose. Ha 16 anni, parla per il proprio futuro e per quello di tutti.
Il video le attira una grande attenzione, e intercetta i grandi conflitti di un Paese diviso. Chi ha visto in lei una giovane donna forte e determinata, e chi invece la considera un prodotto della propaganda woke. A Gauff non importa: non ha paura di esporsi come cittadina, anche a rischio di attirare un tipo di morbosità rischiosa per la propria carriera.
Torna alla mente quel discorso a Delray Beach, quel tipo di carisma naturale, di tenacia, vedendola giocare in questa calda estate americana. Vince a Washington, vince a Cincinnati. In semifinale scaccia uno dei suoi fantasmi, Iga Swiatek, dalla quale aveva perso sempre nei 7 precedenti. C’è qualcosa che è cambiato nel suo gioco, un piccolo salto quantico.
Keystone
In campo al Roland Garros nella finale persa con Iga Swiatek
David Foster Wallace in Infinite Jest parla di “plateau” per descrivere quei gradi d’apprendimento in cui i tennisti si bloccano. Poi qualcosa cambia, più o meno all’improvviso. A Wimbledon Gauff rimedia una sconfitta terrificante, contro Sofia Kenin al primo turno. Ci si comincia a chiedere se le aspettative su di lei non erano mal riposte. Decide di chiudersi in una stanza d’hotel per due giorni senza uscire. Si prende il tempo per riflettere, si concede il lusso di essere triste. “Ho davvero cambiato la mia mentalità”, dice di quei giorni. Se ne accorgono anche le sue avversarie, Jessica Pegula dice: “Ti costringe davvero a dover vincere la partita. Non ti darà più niente“.
Nello sport professionistico, ai livelli più alti, dove l’aria è più rarefatta, spesso tutto finisce per ridursi a questi concetti primordiali: il desiderio della vittoria, il rifiuto della sconfitta. Però Coco Gauff amplia il suo staff, che diventa numeroso. Lavora sul gioco di piedi e sul suo dritto. Lavora insieme a Brad Gilbert, il teorico di “Vincere Sporco”, che ha già aiutato diversi campioni a superare gli inciampi di una carriera, come Agassi e Roddick. Nel suo libro sostiene una tesi semplice: non sempre è il più talentuoso a vincere, più spesso ci riesce il giocatore che pensa di più e meglio. Agli ottavi di finale Gauff ha bisogno di Gilbert, quando fronteggia gli enigmi del gioco metodico di Caroline Wozniacki. Sembra correre più di lei, sbagliare meno di lei, e non sa cosa fare. Soffre gli scambi lunghi e Gilbert le offre un consiglio arcano: “Cerca punti più lunghi”. Funziona: Gauff si attacca allo scambio, e fa valere la maggiore resistenza, la maggiore tenacia, un tennis complessivamente più profondo di quello della sua avversaria.
L’allenatore Brad Gilbert
Durante il torneo resiste alle folate di vento più folli, come quelle di Aryna Sabalenka, che nel primo set la travolge di accelerazioni. Gauff pian piano si attacca alla partita, un punto alla volta, un colpo alla volta. Gli scambi si allungano e si induriscono; farle punto diventa un’impresa complessa. Vince battendo la numero uno del mondo, vince il primo Slam a New York di fronte al pubblico di casa, ispira le lacrime di tutti.
Siamo fortunati che lo sport contemporaneo si sia aperto al racconto della fragilità, ma Coco Gauff ci ha ricordato quanto è bello vedere una giovane atleta realizzare il proprio talento, dimostrare una durezza mentale che prima dei vent’anni è solo magia.
Quando entra all’Arthur Ashe Stadium, Coco Gauff sfiora con le dita la frase di Billie Jean King che accoglie i giocatori. La scritta recita: “La pressione è un privilegio”.
Keystone
Chiamatemi Coco