Tennis

Al di là delle lacrime, è comunque un privilegio

Per Roger Federer la beffa è atroce, l'occasione persa è incredibile: ma averlo ancora a questi livelli è un regalo per cui non possiamo che ringraziarlo

(Keystone)
15 luglio 2019
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Alla storia passerà in quanto è stata la finale più lunga della storia di Wimbledon. Ma è solo un dato statistico di infima importanza, se paragonato al valore emotivo che contiene, per poi sbatterlo in faccia a chi ha palpitato, affinché vincesse Roger Federer: quel clamoroso 13-12 al quinto set, lo ricorderemo per la beffa atroce con la quale il basilese si congeda dall’amata erba di Londra. Respinto, battuto, per certi versi spodestato, lui che lì è il sovrano, dopo averla vinta un paio di volte, quella maledetta finale. D’accordo, nel tennis non è finita finché non vinci il matchball.

Tuttavia, al netto dei regolamenti e della retorica da bar sport, resta la netta impressione che l’abbia veramente gettata via, questa. Più di altre, in quanto non è la prima, e vorremmo tanto che fosse l’ultima, però. Per una serie di motivi: per i due matchball sprecati sull’8-7 40-15, in un quinto set caratterizzato da ottime percentuali alla battuta, oltretutto; per le due palle di break non convertite sull’11-11, qualcosa di simile al terzo e al quarto matchpoint, perché poi avrebbe servito per chiudere; soprattutto, perché Novak Djokovic – al quale va riconosciuto l’onore al merito – non ha disputato una prestazione su livelli d’eccellenza ai quali ci aveva abituato in passato. E quando ricapita che il serbo faccia tante concessioni, fino a rischiare di lasciarci le penne, dopo averla portata dalla sua parte nonostante fosse sempre costretto a rincorrere. Insomma, c’erano i presupposti – tutti i presupposti – perché Roger potesse suonare la Nona, a Wimbledon, e porre un timbro indelebile su una carriera che si avvia a conclusione, pur continuando a regalarcelo su livelli tecnico-atletici sbalorditivi.

Già, tanto piangiamo sugli ettolitri di latte versato, che ci scordiamo che colui che la finale l’ha persa dopo averla vinta un paio di volte, si è arreso al numero uno al mondo, che di Wimbledon ora ne ha vinti cinque. Passi per le tonnellate di rimpianti da smaltire, e per la delusione che solo una sconfitta così amara sa generare, ma che Federer! Siamo viziati, ammettiamolo, e terribilmente ben abituati, anche se non è la prima volta che Roger getta alle ortiche una vittoria che pareva acquisita. Così, ci crogioliamo nello sconforto per una sconfitta che alla storia passerà per quanto incredibile è stata (nel quinto set, non prima), non per la sua lunghezza della quale pochi si sono accorti, rapiti com’erano dalla raffica di emozioni, tra un vincente e un erroraccio. Dopo poco meno di vent’anni di trionfi e record, averlo ancora lì, il Sommo, a combattere, pur soccombendo sul piano sportivo, con un avversario da sedici Slam che punta tutto sui tornei principali perché sa che sono gli unici che fanno davvero la differenza tra grandissimi, è un regalo. Dobbiamo per forza rendercene conto. Glielo dobbiamo.

Di più: un privilegio per occhi, cuore e passione. I primi sono lucidi, di lacrime, pur tradendo fierezza e gratitudine, a ben guardarli. Il cuore risente di cotante emozioni, a prescindere da vittoria o sconfitta, ma sono pulsazioni sane, anche se accelerate. Quanto alla passione, non c’è modo migliore di richiamarla, di alimentarla, che godendo di recite come la finale di Wimbledon 2019. La più lunga, la più dolorosa, una delle più belle in assoluto. Degnissimo sequel della semifinale di venerdì tra Federer e Nadal. Al netto del suo esito, ci sia consentito. Detto e scritto dalla prospettiva di Federer, beninteso. Con tutto il rispetto che merita Novak Djokovic, confermatosi sul trono più ambito, degno vincitore.